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Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 11/09/2022, a pag. 1, con il titolo "La strategia globale di Xi" l'analisi del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari Vladimir Putin con Xi Jinping La Cina di Xi Jinping inizia ad alzare il velo sulla propria strategia globale per sfidare gli Stati Uniti: il vertice multilaterale che avrà luogo questa settimana a Samarcanda, in Uzbekistan, fa seguito al rilancio dei Brics varato in luglio e lascia intendere la volontà di mettersi alla guida di un vasto schieramento di Paesi che sommano la maggioranza della popolazione del Pianeta, al fine di riuscire ad "isolare" l'Occidente. Per tentare di comprendere le mosse di Xi bisogna partire dal prossimo Congresso del Partito comunista cinese perché oltre ad assegnargli uno storico terzo mandato di presidenza - che lo proietta oltre il mito del fondatore Mao Tzedong - farà emergere una nuova generazione di alti funzionari non più formatisi nei campi agricoli o sulle materie umanistiche ma nelle migliori facoltà scientifiche del Pianeta, ovvero con le competenze tali da poter guidare la Cina al definitivo sorpasso degli Stati Uniti come motore non solo della crescita globale ma anche dell'innovazione tecnologica. È proprio in vista di questo ambizioso rilancio della competizione strategica con Washington che Xi sta gettando le basi di un assetto multilaterale che si promette di "circondare" l'Occidente.
Se l’invasione dell’Ucraina dimostra che l’intento del leader russo Vladimir Putin è cambiare l’architettura di sicurezza internazionale facendo leva sull’uso delle armi - rifacendosi ai precedenti imperiali dello zar nell’Ottocento e dell’Urss nel Novecento - Xi persegue un obiettivo assai simile ma in “forma molto più sofisticata”, come osserva un alto diplomatico da Tokyo chiedendo l’anonimato. Il primo tassello di questa strategia è stato il XIV° incontro fra i leader dei “Brics” che si è svolto in luglio a Pechino. Xi ha così guidato i leader di Brasile, Russia, India e Sudafrica a guardare oltre “le attuali difficoltà di crescita” puntando ad “allargare l’organizzazione” per includere nazioni come l’Argentina e l’Iran al fine di creare una comunità di Paesi che corrisponda ad una “supply chain di interessi”, riunendo attorno ad un tavolo le maggiori economie emergenti del Pianeta al fine, come scrive l’accademico Wang Zhuo sul Journal of Science and Technology dell’Università di Changsha, di “allontanare soprattutto l’India dal campo occidentale”. Ovvero, rispondere alle mosse di Washington nell’Indo-Pacifico - con la creazione di piccoli gruppi di nazioni dal “Quad” ad “Aukus” sfilandogli l’India, offrendo a New Delhi l’alternativa di sedere con Pechino nella cabina di regia di una rete di scambi commerciali privilegiati fra le nazioni più popolose del Pianeta, e quindi con maggiori prospettive di crescita. Il secondo pilastro del disegno di Xi è la Shanghai Cooperation Organization (Sco) che si riunisce questa settimana a Samarcanda, a 21 anni dalla fondazione, per un summit multilaterale che ha l’esplicito intento di formare un nuovo “ordine di sicurezza”. Ciò significa andare oltre il focus originale contro i “Tre Mali” terrorismo, separatismo ed estremismo - per estendere le proprie competenze a energia, sicurezza e cooperazione economica. I leader di Cina, Russia, India, Pakistan, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan più l’Iran - in via di adesione - si troveranno così impegnati a gettare le basi di un’integrazione geopolitica nell’Eurasia lungo la stessa rotta terrestre identificata da Xi per dare vita alla nuova “Via della Seta”, dunque includendo anche l’Ucraina. Al momento la scommessa somma almeno il 40 per cento della popolazione mondiale ed il 20 per cento del Pil globale ma se Xi riuscirà - come sembra essere nel suo orizzonte - a combinarla con i “Brics”, potrà contare su una rete dilegami multilaterali strategici e commerciali di tali dimensioni da trasformare l’Occidente - Usa, Europa, Giappone, Corea del Sud ed Oceania - in un’area tanto integrata quanto isolata dal resto del Pianeta. In tale ottica, l’annunciata stretta di mano fra Xi e Putin assume un valore assai diverso per le due capitali: se Mosca, in difficoltà militari sul terreno ucraino ed in affanno per le sanzioni economiche, ne ha bisogno per evidenziare che l’isolamento internazionale di Putin non sta funzionando, Pechino invece considera la Russia solo la pedina di una strategia anti-occidentale assai più estesa nel tempo e nello spazio. Il sostegno cinese alla guerra di Putin è stato, non a caso, declinato da Li Zhanshu, numero 3 del regime, con queste parole al recente Forum economico di Vladivostock: “Siamo lieti di vedere che sotto la leadership del presidente Putin l’economia russa non è stata sconfitta dalle dure sanzioni economiche imposte da Stati Uniti ed altri Paesi occidentali”. Come dire, ciò che conta non è l’esito della campagna militare in Ucraina quanto il fatto che “in breve tempo l’economia russa ha dimostrato resilienza” al punto che “la Cina ancora vede la Russia come un Paese importante per investimenti e cooperazione internazionali”. La partecipazione della Cina alle manovre militari con la Russia nel Pacifico sembra essere dunque una sorte di pedaggio che Xi paga volentieri, pur di tenere Mosca legata a sé. A Samarcanda vedremo dunque non solo il primo viaggio di Xi all’estero dopo la pandemia ed il suo primo incontro dal vivo con Putin dopo l’attacco con l’Ucraina, bensì anche il primo passo della Cina nella costruzione di un nuovo possibile ordine internazionale basato sulla contrapposizione fra The West and the Rest : la sfida più temibile che le democrazie occidentali sono chiamate affrontare. Se il presidente Usa Joe Biden pensava che il viaggio di Nancy Pelosi, speaker della Camera dei Rappresentanti, a Taiwan non avrebbe preoccupato più di tanto Pechino ora è chiamato a ricredersi: la risposta di Xi vuole allontanare la Us Navy non solo dalle acque contese dell’isola nazionalista di Taipei ma dall’intero Oceano Indiano. Resta da vedere come Stati Uniti, Europa ed Australia reagiranno a questa sfida globale cinese: apparentemente più pacifica ma non certo meno pericolosa di quella di Putin.
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