Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 09/06/2022, a pag. 23, con il titolo "Attacco alla Sinagoga svolta nelle indagini: 'Stessa mano di Parigi'", la cronaca di Giuliano Foschini, Giuseppe Scarpa.
A destra: la sinagoga di Roma
Un nome, quello del palestinese Abu Zayed. Uno stesso gruppo di fuoco, che ha colpito il 9 agosto 1982 il ristorante ebreo Jo Goldenderg di Parigi, ammazzando sei persone. E che tre mesi dopo, il 9 ottobre 1982, ha attaccato la sinagoga di Roma, uccidendo un bambino di 2 anni, Stefano Gaj Tachè, e ferendo 37 tra uomini e donne. Una perizia comparativa che indica come a Parigi e a Roma potrebbero essere state utilizzate le stesse armi. Una pista rimasta fredda per anni, da quando, nel 2015, i francesi scrissero all’Italia dopo aver chiesto l’arresto di Zayed. E che invece ora si è improvvisamente riscaldata: un incontro tra investigatori italiani e francesi c’è già stato, e altro potrebbe accadere nelle prossime settimane. L’inchiesta sull’attentato alla sinagoga di Roma è a una svolta. La procura di Roma aveva deciso di riaprire il fascicolo dopo la desecretazione di alcuni atti dell’inchiesta di 40 anni fa, e dopo l’intervista fatta da Repubblica alla vecchia fidanzata dell’unico condannato per quella strage, Osama Abdel Al Zomar, arrestato mentre cercava di passare il confine fra Grecia e Turchia. E poi sparito nel nulla.
Il pm Francesco Dell’Olio, insieme alla Digos di Roma, ha ripreso così in mano una serie di documenti che i colleghi francesi avevano inviato negli ultimi sette anni, con richieste di informazioni. Nel 2015, 33 anni dopo i fatti, la Francia aveva infatti spiccato un mandato di cattura internazionale per i tre presunti attentatori, ottenendo nel 2020 l’estradizione per l’unico di loro che ancora viveva in Europa, Zayed appunto, che da tempo si era trasferito a Oslo. Ad accusarlo un pentito, che aveva offerto elementi molto precisi sull’accaduto. «Sono innocente, in quel periodo ero a Montecarlo, non a Parigi», si è sempre difeso Zayed. Il punto è che i francesi sono convinti che le prove siano schiaccianti. Ne sono certi perché il racconto del pentito è preciso, puntuale. E colloca Zayed anche a Roma nell’estate dell’82. Ne sono convinti perché tra le prove c’è anche la singolare somiglianza tra le armi utilizzate: in entrambi i casi infatti sono state prima lanciate delle granate, e poi sparati dei colpi con armi automatiche. Ed è a partire da questa “coincidenza” che gli investigatori romani hanno deciso di fare chiarezza. L’incontro delle scorse settimane con i colleghi francesi è un primo passo di scambio di informazioni. L’obiettivo è ambizioso: la Digos di Roma può usare i moderni strumenti di indagine per fare chiarezza su un’inchiesta che nei quarant’anniprecedenti ha avuto troppi punti oscuri. Per rendersene conto basta leggere i documenti resi noti con la desecretazione degli atti classificati. Ne è emerso, per esempio, come nonostante 18 segnalazioni dei nostri Servizi proprio nei giorni precedenti – dal 18 giugno al 2 ottobre ’82 – su possibili attentati contro le sinagoghe in Italia, nessuno avesse alzato il livello di allerta. Anzi: proprio ilgiorno dell’attacco, il 9 ottobre, la sinagoga di Roma era senza alcun presidio. Nemmeno l’auto dei carabinieri o della polizia che, abitualmente, stazionava in occasione di ogni celebrazione religiosa. Perché non c’era proprio quel giorno? Nessuno sa poi che fine abbia fatto Al Zomar, l’unico condannato per l’attentato. Arrestato, è sparito nel nulla. Repubblica 40 anni dopo ha intervistato la sua fidanzata dell’epoca, grazie alla testimonianza della quale la Polizia riuscì a individuarlo: si è detta convinta che quello studente palestinese, seppur brillante e di grande carisma, non avrebbe mai potuto organizzare tutto da solo. «È chiaro che c’era qualcuno che li guidava. Non so chi. Ma da cittadina italiana vorrei saperlo». È la risposta che la Procura di Roma sta cercando, quarant’annidopo.