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La Repubblica Rassegna Stampa
31.05.2022 Jan Rachinskij: Russia come l'Urss
Intervista di Rosalba Castelletti

Testata: La Repubblica
Data: 31 maggio 2022
Pagina: 11
Autore: Rosalba Castelletti
Titolo: «Rachinskij: 'Censura e repressione dal basso. Così si torna all’Urss'»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 31/05/2022, a pag.11, l'intervista di Rosalba Castelletti dal titolo "Rachinskij: 'Censura e repressione dal basso. Così si torna all’Urss' ".

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Rosalba Castelletti

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Jan Rachinskij

Lo storico Jan Rachinskij conosce bene gli anni più bui dell’Unione Sovietica. Guida Memorial, l’ong fondata nel 1989 dal Nobel per la pace Andrej Sakharov che custodisce la memoria di oltre tre milioni di vittime del Terrore staliniano e che resiste malgrado lo scorso marzo la Corte Suprema russa abbia sentenziato la chiusura della costola Memorial International. «Ma la liquidazione di una sola persona giuridica non può sopprimere tutto il nostro movimento che coinvolge diverse organizzazioni e centinaia di migliaia di persone, non solo in Russia. Continuiamo a portare avanti la nostra ricerca sperando che neppure in futuro si scontri con ostacoli insuperabili».

Da quando il presidente russo Vladimir Putin ha lanciato la cosiddetta “operazione militare speciale”, prosegue al telefono con Repubblica , sono diversi i paralleli tra l’Unione Sovietica e la Russia odierna che si possono tracciare. La Russia è davvero sempre più simile all’Urss, dunque? «L’Urss durò settant’anni e comprende periodi diversi tra loro. Adesso si può parlare di mostruosa aggressività della propaganda che supera persino quella del periodo della stagnazione e assomiglia a quella staliniana. La scala delle repressioni, per il momento, per fortuna, non è paragonabile. Ma è una macchina che si avvia facilmente e si ferma a stento. E, a differenza che nei tempi staliniani, c’è il rischio che inizi a funzionare a discrezione del singolo, senza linee guida delle autorità centrali. Oggi vediamo molta “iniziativa dal basso”. I casi caricaturali di gente multata ad esempio per le citazioni di Aleksandr Pushkin dimostrano l’eccessivo zelo delle autorità locali senza che quelle centrali le apostrofino. C’è il pericolo di una reazione a catena e che diventi un processo incontrollabile».

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Negli ultimi tre mesi in Russia sono tornate in voga parole come “delazione”, “defezione”, “censura”. Che cosa, secondo lei, ricorda più l’Urss tra tutto quello che sta accadendo? «La gente per ora non ha ancora paura di esprimere il proprio dissenso “in cucina”. Non c’è una grande rete di infiltrati o informatori come nell’Urss. Le soffiate inoltre non erano il problema principale né allora, né adesso. Succedono sì, ma sono percepite come un’anomalia. La cosa più grave oggi è la censura. È un fenomeno totale. È sorprendente che le autorità non abbiano ancora capito che la censura priva loro stesse della possibilità di vedere la situazione in modo chiaro. E il fallimento dell’operazione speciale èin parte conseguenza della soppressione del feedback, della possibilità di ricevere risposte esatte alle domande che si fanno. Quello che oggi fa l’autorità dei media Roskomnadzor assomiglia a quello che all’epoca faceva il Glavlit: contrariamente a tutte le leggi, in via extragiudiziale, vieta la diffusione dell’informazione a diverse testate. Siamo vicini alla soppressione di ogni voce come sotto i bolscevichi».

Generali e dirigenti dell’Fsb sarebbero stati rimossi, secondo varie fonti. Si può parlare di ritorno delle purghe? «C’è una differenza sostanziale. Le purghe sovietiche erano perlopiù dovute alle paranoie di Stalin e del suo entourage. Si lottava contro un’ombra, contro un avversariofantomatico. Adesso vengono rimossi dirigenti responsabili del fallimento della cosiddetta “operazione”. Un fallimento del tutto evidente. Dallo spargimento di sangue e dal fatto che non sia stata un’operazione lampo, è chiaro che sono stati fatti male i calcoli».

Le autorità russe issano bandiere con falce e martello o statue di Lenin nei territori ucraini “liberati”. Putin stesso si rifà all’Urss come grande potenza. È possibile distorcere la memoria cancellando ogni ricordo del Grande Terrore? «Noi di Memorial non piacciamo al potere proprio perché diciamo sempre che l’Unione Sovietica fu uno Stato criminale. Che nei “territori liberati” ci siano bandiere rosse e statue di Lenin dimostra la miseria ideologica del potere di oggi. Non ha nulla da proporre. Cerca di sfruttare la nostalgia per i tempi che “non” ci furono perché in realtà era tutto diverso. È la nostalgia della giovinezza, non della vita reale. È difficile che i miei coetanei abbiano dimenticato la carenza di merci, libri, giornali, jeans, dischi e tanto altro. E penso che le autorità sbaglino a pensare che questo richiamo all’Urss possa attrarre la popolazione nei territori occupati o annessi. Non è chiaro cosa siano».

Putin accusa Lenin del crollo dell’Urss, ma fa reinstallare le sue statue in Ucraina. Come spiega questa contraddizione? «Il pluralismo di idee in una singola testa è un fenomeno piuttosto diffuso. Putin non fa eccezione. Da un lato dice che Lenin era un traditore al soldo dei tedeschi, dall’altro lo considera un simbolo della Grande Russia restaurata. Restaurata con le baionette! Perché sia il Caucaso che l’Ucraina, e praticamente tutto il territorio dell’Urss, fu recuperato con ostilità. Ma a issare le bandiere rosse non sono le autorità centrali, ma i “patrioti” locali, i dirigenti delle autoproclamate Repubbliche del Donbass cresciuti in un contesto filo-sovietico. Per quanto siano scarsi i cervelli al Cremlino, credo sappiano che riproporre il mito di Lenin adesso sia senza prospettive».

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