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La Repubblica Rassegna Stampa
13.03.2022 A Mariupol aspettando la strage
Cronaca di Giampaolo Visetti

Testata: La Repubblica
Data: 13 marzo 2022
Pagina: 4
Autore: Giampaolo Visetti
Titolo: «Niente più acqua e cibo: 'Barricati sotto terra aspettando l’ecatombe'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 13/03/2022, con il titolo "Niente più acqua e cibo: 'Barricati sotto terra aspettando l’ecatombe' ", la cronaca di Giampaolo Visetti.

La tragedia di Mariupol - RSI Radiotelevisione svizzera
Mariupol

Una fila di scarpe, rotte e sporche di fango, giace ordinata sulla terra gelata. Veglia i sacchi grigi dell’immondizia che avvolgono i corpi raccolti per le strade. Chi è costretto a uscire dai rifugi, con le ultime forze, trascina i cadaveri lontano dalle case. Si accumulano nelle aiuole e negli orti collettivi, invasi di vetri e muri crollati. Le scarpe senza più piedi sono ciò che resta di chi a Mariupol non è sopravvissuto ai primi dodici giorni di medievale assedio russo. Appoggiate sulla neve, seguono l’ordine delle persone che le calzavano quando hanno smesso di vivere, ora gettate nelle fosse comuni. Qualcuno già le passa in rassegna, alla ricerca di chi non risponde più. Forse un giorno ogni scarpa diventerà un volto e la città-martire sulle rive del Mare d’Azov riconoscerà i corpi che oggi copre di terra per non sentire l’odore della sua morte. Rare immagini e rarissime voci filtrano ancora da Mariupol. Ricordano le scene in bianco e nero riprese nei campi di concentramento nazisti della Seconda guerra mondiale. Oltre 400mila persone sono ridotte nei bunker sotterranei, imprigionate dentro case bombardate, condannate ad accamparsi nei cortili, tra le macerie crollate loro addosso. Un breve video, giunto fino a Zaporizhzhia con uno dei pochi profughi riusciti a uscire dall’inferno, mostra una vecchia scheletrica. Ha un secchio azzurro in mano, trema e aspetta di calarlo nel pozzo scavato per raggiungere l’acqua sporca di una falda. Prima di lei, in attesa, una cinquantina di spettri in silenzio. «Ci restano – dice – pochi giorni di vita. Non mi dispiace per me, penso ai bambini». Da quando l’invasione di Putin ha spinto Mariupol in un altro mondo, prendendola in ostaggio per seminare il terrore in tutta l’Ucraina, le autorità cittadine gridano di essere «a un passo dall’ecatombe ». La ripetizione della crudeltà cerca di abituare, oltre che allo scandalo del dolore, anche alle parole. Nel caso del porto dedicato alla moglie dello zar Paolo I, almeno a questa tentazione è impossibile cedere. L’armata di Mosca non si limita a volerlo conquistare per assicurarsi il corridoio che da Russia e Donbass, oltrepassata la Crimea, conduce all’intera costa del Mar Nero e fino a Odessa. Ormai la pretende quale esempio osceno da esibire contro chiunque sulla terra si ostini a resistere. Anche i numeri qui pesano l’orrore: 1.600 morti in dodici giorni secondo il consiglio comunale, 1.852 secondo il ministro degli esteri Dmytro Kuleba. I russi bombardano giorno e notte da quasi due settimane, increduli e furiosi davanti al coraggio di una resistenza popolare con pochi precedenti storici. Ieri hanno tempestato di missili e colpi d’artiglieria pesante decine di edifici civili, fino ad occupare la periferia est. Le bombe, dopo che sull’ospedale pediatrico, sono cadute anche vicino alla moschea dedicata a Solimano il magnifico e a sua moglie Roxelana: all’interno 80 rifugiati, alcuni dei quali turchi. Ad accogliere gli aggressori, solo l’apocalisse che hanno voluto. I fantasmi di Mariupol non hanno acqua bevibile, cibo e medic ine. Non hanno energia elettrica e si contendono le ultime candele per la notte, gli ultimi fiammiferi per accendere il fuoco. Interrotte le comunicazioni. Privati anche del gas, tremano in rifugi gelati. La temperatura oscilla tra meno dieci e zero gradi: decine, tra bambini, vecchi e malati, i morti assiderati o di polmonite. Chi riesce a scovare qualcosa da cuocere, affianca due mattoni per terra, dà fuoco ai rami degli alberi abbattuti e vi appoggia sopra un tegame recuperato tra i crolli. Le ultime prese di corrente, attive grazie ai generatori a gasolio, scatenano risse di massa tra chi implora di ricaricare i telefoni cellulari. La studentessa Marjia Moskalenko ha affidato al medico Bogdan Vladislavovich, il video con la sua testimonianza.

Perché Putin non è affatto isolato - Redazione
Vladimir Putin

«La mia casa – dice – non era un obiettivo militare, ma è stata distrutta dai missili. Ognuno vive adesso isolato nel suo mondo. Non sappiamo se famigliari e amici sono vivi. Non sappiamo cosa succede a cento metri da noi. Il mio vicino di 16 anni è morto nel giardino qui sotto: il suo corpo, dopo cinque giorni, è ancora lì. Siamo stati abbandonati». Per la sesta volta il governo di Kiev ha cercato ieri di aprire un corridoio umanitario. Da Zaporizhzhia, scortato da alcuni sacerdoti ortodossi, si è mosso un convoglio con 90 tonnellate di alimentari e medicine. Oltre duecento chilometri sotto il tiro incessante di tank e soldati russi. Il tragitto verso una speranza di salvezza è molto pericoloso: difficile anche convincere gli imprigionati a lasciare i rifugi. Lungo la strada la resistenza ucraina espone spaventapasseri impiccati, vestiti di rosso e di blu, i colori della bandiera russa. Gli aggressori si vendicano con il tiro a segno contro le auto degli sfollati. Un azzardo fermarsi per farla nei campi: medici della Croce Rossa testimoniano di fuggitivi saltati sulle mine seminate dai russi. Sotto esame ferite e salme, alla ricerca di prove sull’uso di armi e sostanze proibite, preludio dell’apertura di inchieste sui crimini di guerra. «Per trovare acqua in un pozzo – racconta Oleksandr, operatore di Medici Senza Frontiere in trappola – si fanno anche tre chilometri sotto le bombe. Chi possiede una radio e delle batterie, cerca di avere notizie sulla guerra nel resto del Paese. In realtà da dodici giorni ognuno vede e sa solo quanto accade a se stesso. Tra le macerie non restano che morti e feriti: chi è in agonia chiede aiuto per ore», poi anche la sua voce si spegne. Di quanti cadaveri ha bisogno Putin per tornare un essere umano? Questa è la domanda che oggi sconvolge chi capisce di assomigliare ogni istante di più a un animale. «Siamo un’isola nel mare di chi ci aggredisce – le ultime parole trasmesse dal sindaco Vadim Boichenko – ma combattiamo casa per casa, corpo dopo corpo. Stiamo morendo con i nostri bambini, ma ancora liberi». Sarajevo, Aleppo e Mariupol: la catena dei luoghi della vergogna del mondo è come la fila delle scarpe che vegliano le fosse comuni sul Mare d’Azov. Si dice mai più, sapendo che loro poi torneranno senza i piedi dei sacrificati al dio eterno dell’odio.

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