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La Repubblica Rassegna Stampa
04.12.2021 'Le terre dello sciacallo': finalmente tradotto in Italia il primo libro di Amos Oz
Recensione di Wlodek Goldkorn

Testata: La Repubblica
Data: 04 dicembre 2021
Pagina: 17
Autore: Wlodek Goldkorn
Titolo: «La vita agra nel kibbutz»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA Robinson di oggi, 04/12/2021, a pag.17 con il titolo 'La vita agra nel kibbutz' l'analisi di Wlodek Goldkorn.

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Wlodek Goldkorn

Le terre dello sciacallo di Oz Amos - Bookdealer | I tuoi librai a domicilio
La copertina (Feltrinelli ed.)

Siano perdonate una nota e un'interpretazione personale. C'era un modo sicuro per mettere di buonumore Amos Oz, un uomo che dietro la sua quasi proverbiale gentilezza e immensa generosità, celava un'inconsolabile tristezza. Quel modo era dirgli: in fondo, tu sei uno scrittore russo che scrive in ebraico. Adorava infatti Cechov, un medico di campagna e autore dalla scrittura e dai toni delicatissimi, sfumati, nei cui racconti in apparenza succede poco, perché tutto si svolge nelle teste e nell'immaginazione dei protagonisti. E anche un autore molto amato dalle donne. La premessa di sopra serve a dire che Le terre dello sciacallo, una raccolta di racconti e che segna il debutto (trionfale) di Oz, nel 1965, e ora, finalmente, proposta da Feltrinelli nella traduzione di Elena Loewenthal, svela al lettore uno scrittore, fra i più grandi di questi ultimi decenni, prima che diventasse appunto "uno scrittore russo". Ma cominciamo dall'inizio. Quando non ha ancora compiuto i quindici anni, Amos lasciala casa paterna a Gerusalemme, si trasferisce nel kibbutz Hulda e cambia il cognome dal diasporico Klausner all'ebraico Oz, che vuole dire coraggio e forza. Lui è un reduce. Non sopporta l'atmosfera che regna nella famiglia d'origine, coltissima, ma estranea all'ethos laburista e pionieristico egemone. E soprattutto non riesce a fare i conti con il fatto che la madre, Fania Mussman, si sia suicidata quando lui aveva poco più di dodici anni (e non riuscirà a farli, fino alla fine della sua vita). Il ragazzo Amos vuole essere abbronzato, laconico, fortissimo.

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Amos Oz

Nel kibbutz tuttavia, crescendo, gli capitano due cose: si innamora di una ragazza di nome Nily, a cui dedica il libro (e l'amore corrisposto di lei, lui lo considerava il suo più grande successo nella vita) e viene conquistato dal demone della scrittura. All'epoca è molto influenzato da scrittori americani: Melville e Faulkner ma anche da Sherwood Anderson e dal suo Winesburg Ohio, un libro sulla vita delle persone in una cittadina del Midwest degli States. Lui stesso avrebbe poi raccontato che ad iniziarlo a quello scrittore (citato pure da Faulkner) fu una insegnante nel kibbutz e che cosa capì che il mondo non erano solo Parigi a New York ma anche le piccole realtà e la piccola gente. Le vie che conducono agli spazi russi di Cechov sono passati per gli spazi americani, per approdare in Israele, fra i pionieri ispirati al socialismo tolstojano e al mito del superuomo di Nietzsche in una meravigliosa mescolanza e contaminazione di fonti e di immaginari. I nove racconti, più un decimo a soggetto biblico, aggiunto successivamente, e che compongono Le terre dello sciacallo, sono stati scritti quando Oz aveva poco più di vent'anni. Alcuni si misurano, in una maniera piuttosto brutale ("americana" si potrebbe dire), con l'esperienza del kibbutz, con sullo sfondo le reminiscenze del recente servizio militare e i miti dei combattenti forti ma in fondo terribilmente infelici e in preda alla paura. Israele è all'epoca un Paese piccolo, povero, che si sente minacciato dai nemici che lo circondano. La letteratura e le arti servono a rafforzare lo spirito patriottico. Il kibbutz è sinonimo del migliore dei mondi possibili, utopia realizzata dell'altruismo. Ed ecco che arriva il libro di Oz, in cui tutto quanto viene messo in discussione, e non con argomenti ideologici ma con un esercizio di letteratura in cui è presente tutta la capacità dell'autore di creare immagini e atmosfere con le parole, le frasi, le trame, l'uso dei nomi e nomignoli. Cosi, scopriamo che gli uomini del kibbutz sono spesso egoisti, ridicoli, infedeli e l'elenco potrebbe continuare, mentre le donne sono prigioniere della loro solitudine e sottomissione. Abbiamo detto nomignoli. I protagonisti vengono indicati con vezzeggiativi, in origine russi o polacchi (Sashka, Abramek) caratteristici dell'epoca in cui i dirigenti dello Stato ebraico venivano dalle terre dell'Est europeo e amavano sfoggiare un atteggiamento da Grande Famiglia. Ma dietro ci sono la sete del potere (per quanto transeunte), una forte carica erotica (ma le donne sono oggetti o trofei), molta idiozia (nel senso di mancanza di elementare intelligenza empatica) e storie di incesti veri e immaginari. Di notte, quando le tenebre incutono paura, si odono le voci degli sciacalli. Due anni dopo la comparsa di questo libro, accolto con l'entusiasmo dovuto sia alla novità dell'approccio che al talento del narratore, nel 1967 Oz dà alle stampe Michael mio, un romanzo che resta il suo capolavoro assoluto e uno dei più importanti del Novecento. Narra, con una delicatezza rara, di una donna infelice a Gerusalemme, di nome Hannah Gonen, e il sospetto che dietro Hannah ci sia un po' di Fania Mussman è più che lecito. E Le terre dello sciacallo? È utile e bello leggerlo per capire come nasce un gigante.

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