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Pubblichiamo un ‘intervista a firma Mariella Radaelli ad Abraham Yehoshua apparsa su QN Il Resto del Carlino del 29 febbraio, intitolata "I ragazzi d’Israele che sognano la fuga" La famiglia come concetto politico e sociale. E’ questo il suo ruolo in letteratura. Lo sostiene Abraham Yehoshua, oggi a Milano, alla Libreria Mondatori Duomo e domani a Pavia, al Collegio Ghislieri, dove incontrerà i suoi lettori in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, Fuoco amico. "La famiglia nei miei romanzi da sempre è il mio osservatorio privilegiato sulla realtà, il punto dal quale parto per scrutare il mondo – ci dice lo scrittore israeliano al telefono nella sua casa a Tel Aviv -. E’ il microcosmo simbolo della società in generale ma anche dell’umanità intera". E il nucleo centrale di questa sua ultima fatica racconta "un duetto", come dice il sottotitolo, tra una coppia di sposi non più giovani, Amotz e Daniela, che vivono una settimana di separazione. Mentre lei si reca in Africa dal cognato per rendere onore alla sorella da poco defunta, lui resta a Tel Aviv. Per entrambi sarà una settimana intensa piena di scoperte. Se Daniela apprenderà che il cognato Yirmiyahu si è ritirato in volontario esilio da Israele, Amotz dovrà risolvere una serie di problemi familiari e non, come quelli provocati da venti che si sono insinuati nelle fessure di un grattacielo da lui progettato e che provocano sibili angoscianti. Il romanzo è ricco di metafore e di simboli. Ad esempio, "questi venti misteriosi rappresentano le vittime dell’Intifada, anime di innocenti che non trovano pace", prosegue lo scrittore. "Forse è così, anche da voi in Italia, dove però rimane comunque un caposaldo. E’ questo il motivo per cui i miei romanzi hanno così tanto successo da voi. Mentre in Francia si esamina molto la relazione tra uomo e donna, e in Inghilterra il rapporto tra le varie classi sociali, in Italia il tema della famiglia rimane un fondamentale e affascinante punto di partenza da cui prendere in esame la società con le sue problematiche. Da voi la famiglia è tenuta in considerazione come da noi in Israele, dove si fa simbolo di protezione e di calore. Ritornare in famiglia per noi significa ritornare al grembo materno. E’ rassicurante per noi che siamo immersi da troppo tempo nei conflitti. Ci difende dalle insidie del mondo esterno. Ma la famiglia è sempre stata molto importante anche per gli ebrei della diaspora, sempre per questa sua funzione" E’ così. La sofferenza di una famiglia viene condivisa da altre famiglie. E’ come se anche gli altri se ne facessero carico". "Perché la scorgo come un nuovo elemento nella società israeliana. Soprattutto i giovani sentono questa fatica e stanchezza di andare avanti in una realtà problematica di cui non si vede la fine" "Non si hanno prove. Sarebbe una cosa troppo terribile. Quei fondamentalisti non hanno nulla a che vedere con il conflitto israelo-palestinese. Gaza dista solo 60 chilometri da Tel Aviv, che è una città estremamente florida dal punto di vista sia culturale sia economico. Da qui sentivamo le esplosioni. Erano terrificanti. Insopportabili." "Non si risolve nulla boicottando la nostra letteratura, tanto più che noi scrittori israeliani ci battiamo per il riconoscimento della Palestina. Noi dobbiamo venire a parlare. E sarei felice se l’anno prossimo invitassero gli intellettuali palestinesi. Mi congratulerei con loro. Mi piacerebbe sentirli parlare liberamente contro Hamas". franca.ferri@quotidiano.net |
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