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Riprendiamo da SETTE di oggi, 13/02/2015, a pag. 56-59, con il titolo "Dal carro piombato al ritorno, un Primo Levi da scoprire", l'articolo di Ernesto Ferrero.
Lapin, Coniglio, lo chiamavano affettuosamente i compagni di viaggio di quell'interminabile ritorno a casa, da Auschwitz a Torino passando per mezza Europa. Compagno ideale, sempre gentile, disponibile, beneducato, di una mitezza che non sembrava di questa terra, ingegnoso, provvisto di una quantità incredibile di conoscenze. Strano coniglio avventuroso, che avrebbe voluto girare il mondo e invece è stato chiamato a calarsi come Dante nell'imbuto dell'inferno più nero. Primo Levi/dottore in chimica/corso Re Umberto 75/ Torino, stava scritto sui parsimoniosi foglietti della carta da lettera con cui rispondeva puntualmente a tutti, seccatori e importuni compresi. A settant'anni dalla liberazione di Auschwitz e dal suo libro più celebre, Se questo è un uomo, che cosa sappiamo realmente di lui? Chi era l'uomo capace di guardare fino in fondo l'orrore senza tremare, con la freddezza del ricercatore che non si lascia contagiare dal materiale infetto che deve analizzare? Chi è davvero lo scrittore complesso, multiplo, quasi segreto, che sembra tutto chiaro, trasparente, comprensibile, non problematico? Primo Levi è uno di quei continenti che si credevano già mappati in ogni dettaglio, e più lo esplori e più rivela terre incognite. Adesso prova a raccontarlo la mostra che si è aperta al Palazzo Madama di Torino, per le cure di Fabio Levi e Peppino Ortoleva. In piazza Castello, nel cuore della città, è parcheggiato un carro merci di un rosso tra la ruggine e il vecchio mattone, di quelli che si usavano per la deportazione e il 22 febbraio 1944 ospitarono il giovane chimico torinese, allora ventiquattrenne. Dodici vagoni, 650 persone, i quattro quinti finiti direttamente in gas all'arrivo. Il carro piombato vuole indirizzare il visitatore all'ingresso della mostra. Sembra un'invenzione di De Chirico o di suo fratello Alberto Savinio. Primo diceva che era tornato più volte in lager, ma nulla gli dava più angoscia della vista di quei vagoni. È un simbolo forte, provocatorio. Autobiografia del genere umano Auschwitz è l'autobiografia del genere umano, come lo sono oggi le imprese dell'Isis? Le modalità dei campi della morte sono inscritte nel Dna dell'homo sapiens? Dentro Palanco Madama affiora un Primo Levi poco noto. Un poliedro di tante facce: il chimico, il memorialista, il narratore, il poeta, il saggista, il traduttore, l'antropologo, il linguista, l'etologo, il naturalista, persino l'artista che sperimenta le nuove tecnologie. Un ibrido orgoglioso di esserlo ("la vita nasce dall'impurità", dice), che sogna di produrre altri ibridi, che vagheggia (e racconta) incroci portentosi tra mondo animale, vegetale, minerale. Un tecnico che maneggia con eguale piacere la materia più refrattaria e le parole, studiate e collezionate con passione di lessicografo e ghiottoneria di gourmet. Uno sperimentatore insonne che vorrebbe porsi in diretta competizione con quell'altro demiurgo, Dio, che ha lasciato incompiuta la creazione: ci sono ampi margini per chi voglia cimentarsi in nuove sfide. A parte i due anni del Lager e del travagliato ritorno e qualche viaggio di lavoro in Germania e Unione Sovietica, una vita spesa nel pendolariato tra la casa avita di corso re Umberto, boulevard dall'aria parigina, e la fabbrica di vernici nella prima cintura torinese, a Settimo, diretta per molti anni con dedizione assoluta. Pochi amici selezionati; consumi più che sobri, una passione per la bicicletta e la montagna che è stata poi quella che ha forgiato il suo fisico, preparandolo agli stress del lager. Al suo corso è stato lo studente più brillante. La chimica gli ha offerto un metodo per coltivare e collegare sterminate curiosità enciclopediche. "Primo sa tutto", si dicono ammirati gli amici dei vent'anni, ed è vero. Sa tutto, ma non dà a vederlo. È un campione di understatement, di modestia, di garbo. Preferisce sperimentare il suo sapere in sempre nuove combinazioni mentali. A vent'anni ha già chiara la struttura di quello che sarà uno dei racconti più geniali che siano stati mai scritti, Carbonio (lo possiamo leggere a chiusura del Sistema periodico): le avventure, le tante incarnazioni di un atomo di carbonio. L'amore proibito AI Liceo d'Azeglio una professoressa è riuscita incredibilmente a rimandano in italiano, ma lui intanto ha metabolizzato Dante come il più consumato degli umanisti. L'uomo che parte per Auschwitz ha già l'attitudine dello scrittore (o del pittore) di selezionare gli elementi che gli serviranno per costruire l'opera che progetta. È il migliore degli inviati speciali perché ha mente scientifica, capacità di scrittura, eccezionale proprietà di linguaggio. Se questo è un uomo è in primo luogo un capolavoro letterario: il valore aggiunto della letteratura sta nel come racconta quel che racconta. Eppure anche quando con gli anni la sua notorietà cresce, continua a tenere un profilo basso, quasi a occultare le ambizioni giovanili. Si definisce scrittore della domenica, che ha sentito il dovere di testimoniare, ma dopo La tregua non parlerà più di Lager (invece continuerà ad occuparsene per quarant'anni, sino al vertice di I sommersi e i salvati, capolavoro dell'antropologia contemporanea). Forse teme, da buon etologo, l'aggressività della corporazione del letterati, assai poco propensi ad accogliere nel branco chi abbia una formazione diversa. Quasi si scusa delle intrusioni scrittorie nell"'altrui mestiere", come recita il titolo di una sua raccolta di saggi. Forse ancora gli brucia lo smacco del 1946, quando Pavese e Natalia Ginzburg ritornano cortesemente al mittente il manoscritto di Se questo è un uomo con la giustificazione che ci sono troppi libri in argomento. Uscirà da Einaudi in una nuova edizione soltanto nel 1958. L'abito di gabardine Se ne accorgono presto anche i lettori. Accompagno Primo a Venezia, dove vincerà il neonato Premio Campiello. È un po' preoccupato perché dispone solo di un abito di gabardine poco adatto alle cerimonie e non si trova a suo agio nelle mondanità (casa Valeri Manera affacciata sul Canal Grande). Azzarda una battuta scherzosa: la giuria non può annunciare che Primo Levi è arrivato secondo. Vince a mani basse. La chimica della letteratura Invece quando raccoglie i bellissimi racconti "fantabiologici", che pure sono piaciuti a Calvino, gli suggeriscono di adottare uno pseudonimo, come se stesse facendo qualcosa di politicamente scorretto; e quando vuol pubblicare un volume di poesie, che sono il prolungamento del discorso con altri mezzi, da Einaudi storcono il naso. Da buon chimico di laboratorio, che mette in conto gli insuccessi, non si scoraggia. Va avanti a sperimentare. È in quei momenti che si sente un artigiano felice, uno di quelli che "pensano con le mani", il bambino che giocava con il meccano e il microscopio, "ilare come un bracco sulle tracce della volpe". Tra le sue passioni c'è anche la linguistica. Ha l'hobby del rebus, ne produce per piacere personale (il mestiere del chimico non è proprio un risolvere rebus continui che la materia ti pone?). Tiene a portata di mano i dizionari etimologici, da cui cava in continuazione perle con la facilità apparente dell'illusionista. Ho appreso da lui che la voce piemontese madamìn, alla lettera piccola signora, significa propriamente "giovane sposa la cui suocera è ancora in vita", e dunque è titolare di un potere assai ridotto, ancora saldamente in mano alla vera e unica madama. È stato Massimo Mila a ricordarci che Levi è anche un umorista. Lo scrupoloso analista del Lager si diletta di palindromi, e dedica un intero racconto, Calore vorticoso, a un personaggio che conia palindromi che rimandano alle situazioni in cui si ritrova. Sempre con l'aria dimessa di chi non sta facendo niente di speciale, conia pezzi di spericolato virtuosismo, come il doppio endecasillabo "eroina motore in Italia/ai Latini erotomani or è", o addirittura il bilinguistico in arts is repose to life che diventa "filo teso per siti strani". Naturalmente, con il consueto equilibrio, ammonisce: «Guai se tutte le frasi reversibili fossero vere, fossero sentenze d'oracolo... Eppure quando leggi a rovescio e il conto torna, c'è qualcosa in loro di magico e rivelatore: lo sapevano anche i latini, e le scrivevano sulle meridiane». Come ha scoperto Stefano Bartezzaghi, maestro di giochi linguistici, uno dei possibili anagrammi di Primo Levi è "l'impervio", lui che è famoso per la cristallina trasparenza della scrittura. Impervio è proprio quello con cui non smette di confrontarsi: l'indicibile, l'incomprensibile, gli abissi di ferocia e crudeltà di cui può dar prova l'uomo. Lo scrittore che è incantato dalla fascinazione dei racconti orali è anche un ottimo ascoltatore, e lamenta sommessamente che dell'arte di ascoltare non si occupi nessuno. È una delle prime cose che nota Philip Roth, che nel settembre 1986 viene a trovarlo a Torino pieno di ammirazione: «Ascoltava, e il suo intero volto, una faccia accuratamente modellata con il pizzetto di barba bianca, lo faceva sembrare allo stesso tempo un giovane fauno e un professore: una faccia di un'irresistibile curiosità e di un dottore molto stimato».
Un ospite dl riguardo Ricordando l'incontro, Roth definirà Primo "un genio della letteratura". Adesso i vecchi conti sono finalmente saldati. La crescente fama planetaria di Primo tornerà a passare per l'America, come già negli Anni 80, quando Saul Bellow s'era incantato per II sistema periodico. In autunno è prevista l'uscita delle Opere complete in inglese presso Norton Liveright. È la prima impresa del genere dedicata ad un autore italiano, e contribuirà a restituire al prigioniero n.174517 il posto che gli spetta anche fuori d'Italia come uno tra i massimi scrittori del Novecento. Per inviare la propria opinione a Sette, telefonare 02/6339, oppure cliccare sulla e-mail sottostante sette@corriere.it |
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