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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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israele.net Rassegna Stampa
08.06.2025 Ecco il cimitero intellettuale
Commento di Sabine Sterk

Testata: israele.net
Data: 08 giugno 2025
Pagina: 1
Autore: Sabine Sterk
Titolo: «Le Olimpiadi dell’ipocrisia. Ovvero, quando il woke incontra Hamas: come perdere la bussola morale per un hashtag di TikTok»

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - la traduzione dell'articolo di Sabine Sterk (Times of Israel) "Le Olimpiadi dell’ipocrisia. Ovvero, quando il woke incontra Hamas: come perdere la bussola morale per un hashtag di TikTok".

Sabine Sterk
Sul cartello: “Israele nemico dell’umanità”. Sabine Sterk: “È un’orgia di moralismo sgangherato dalla profondità intellettuale di una challenge su TikTok”

Vi ricordate quando gli studenti universitari protestavano contro le guerre, le dittature e la censura? Quando i leader per i diritti civili si battevano per diritti veri?

Ebbene, saltiamo al 2025, a quando pare si sia deciso di cancellare l’abc della storia, la logica più elementare e la coerenza morale, preferibilmente in quest’ordine.

Gli odierni paladini della giustizia sociale hanno barattato Gandhi con Hamas, Martin Luther King con i graffiti “Free Palestine dal fiume al mare” e l’uso della ragione con i retweet.

Facciamo una passeggiata in questo cimitero intellettuale.

Sul cartello: “Israele nemico dell’umanità”. Sabine Sterk: “È un’orgia di moralismo sgangherato dalla profondità intellettuale di una challenge su TikTok”

Abbiamo attivisti del Pride e comunità LGBTQ+ che marciano in solidarietà con regimi terroristici islamisti che li lapiderebbero immediatamente per strada. Non metaforicamente: letteralmente. Impiccagioni, esecuzioni, giù dai tetti. Fate voi.

Ma, ehi, è fantastico gridare slogan in mezzo alla folla, no? È quasi come essere accettati… finché non ti rendi conto che se appena provassi a camminare con una bella bandiera arcobaleno per le vie di Gaza (o di qualunque altra località palestinese, se è per questo) il tuo gran finale sarebbe un’esecuzione pubblica. Ma che importa? “Abbasso il sionismo!”.

Prossima fermata: la solidarietà femminista.

Le femministe occidentali, quelle che gridano alla “mascolinità tossica” se Tizio non risponde ai messaggi, sono improvvisamente mute quando si tratta delle donne sotto il dominio di Hamas.

Dov’è l’indignazione per il velo obbligatorio, per i matrimoni imposti alle bambine, per gli abusi domestici, per i delitti d’onore? Nemmeno un pigolìo.

Ma mostrate loro un post Instagram accuratamente modificato su un attacco aereo israeliano, e rieccole tutte in prima linea. Rabbia on-demand, nessuna necessità di informarsi.

E non dimentichiamo Black Lives Matter. Sapete, il movimento nato per combattere l’ingiustizia razziale… Ora prendono le difese di un territorio da dove gli ebrei devono essere banditi, e di regimi dove i gay neri vengono torturati e la gente di colore schiavizzata. E la parola “diversità” è legittima solo se si riferisce al numero di lanciarazzi per isolato.

Il Pride a Gerusalemme

Non si potrebbe fare di tutto questo il soggetto di una fiction: troppo assurdo, nessuno ci crederebbe.

Nel frattempo, donne israeliane violentate, mutilate e bruciate vive il 7 ottobre; adolescenti trascinate a Gaza ed esibite alla folla come trofei; neonati decapitati o strangolati nei tunnel; anziane sopravvissute alla Shoah rapite e deportate a forza.

Il silenzio di questi crociati dei “diritti umani”? Assordante. Ma provate a sfrattare un abusivo da Sheikh Jarrah e gli hashtag vi pioveranno addosso come una piaga biblica.

Siamo onesti: non si tratta di giustizia. Non si tratta nemmeno dei palestinesi. Questa è la scarica di dopamina della appartenenza, è la rivoluzione del cosplay (la festa in maschera coi costumi dei personaggi da fumetto preferiti ndr) per persone che non conoscono la differenza tra Giudea-Samaria e Westminster: studenti annoiati, di scarsissime letture e iper-caffeinati, che preferiscono urlare in massa anziché stare seduti da soli con un libro. O un fatto.

D’altra parte, gli ebrei sono un bersaglio sicuro. Lo sono sempre stati. Ci siamo abituati. Dateci la colpa per le banche. Dateci la colpa per Hollywood. Dateci la colpa per aver vinto troppi premi Nobel. È sicuramente più facile che fare i conti con la propria mediocrità.

Quello a cui stiamo assistendo non è un movimento. È un’orgia di moralismo sgangherato e apotropaico, dalla profondità intellettuale di una challenge di ballo su TikTok.

Ciò che fanno questi studenti e attivisti non è combattere l’oppressione: è esibirsi in una messinscena per guadagnarsi l’approvazione sui social media. La mentalità da gregge è la vecchia/nuova religione, e Hamas è il loro dio distorto.

La cosa più triste? Che non si tratta più solo di squilibrati marginali. Questa è la retorica dominante. Questa è Harvard, la Columbia, Oxford. Sono studenti che presto diventeranno politici, giornalisti, professori.

Dovremmo compatirli. Non perché siano malvagi. Ma perché hanno barattato la bussola morale con la popolarità in piazza e sui social, la verità con le mode di tendenza.

Alla fine, forse, la strategia migliore è non discutere nemmeno con questa gente. Non dibattere. Non impegnarsi. Forse dovremmo fare come si fa con le persone infantili che fanno i capricci: annuire, andarcene e lasciare che si sfiniscano da soli.

Perché alla realtà non importa degli hashtag. E nemmeno a Hamas.


http://www.israele.net/scrivi-alla-redazione.htm

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