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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.08.2022 Federico Rampini è bravo, ma su Taiwan commette un errore
Ripete l'errore della GB con Hong Kong

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 agosto 2022
Pagina: 1
Autore: Federico Rampini
Titolo: «La Cina ferita che vuolo punire gli Usa (senza fretta)»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di ogg. 04/08/2022, a pagina 1/11, con il titolo "La Cina ferita che vuole punire gli Usa (senza fretta)" l'analisi di Federico Rampini

Federico Rampini è un ottimo analista quando affronta i pericoli che minacciano le democrazie occidentali, stupisce invece quanto scrive su Nancy Pelosi, un errore commesso dalla maggior parte dei commentatori sui nostri media. Taiwan va difesa per impedire che diventi preda della Cina. Quasi tutti si auguravano che non sarebbe andata, prevedevano una forte reazione della Cina. Invece non è successo niente. Purtroppo le democrazie ripetono gli stessi errori e non imparano nulla, come l'Inghilterra quando abbandonò Hong Kong alla Cina, quando sarebbe bastato un referendum. Oggi tutti rimpiangono la dipendenza coloniale inglese e vivono sotto il potere dittatoriale della Cina.
La posta in gioco di Taiwan va giudicata dai fatti, il tranello delle minacce verbali è identico di quelle di Putin: non vanno prese sul serio.
Rampini, ripensaci!

Federico Rampini - Wikipedia

Dietro la crisi di Hong-Kong ora spunta Taiwan -

Come non bastassero l’Ucraina, lo shock energetico, la crisi alimentare e climatica, i residui della pandemia… Taiwan ha il potere di innescare una terza guerra mondiale, più dell’Ucraina. Joe Biden ha promesso che interverrebbe in difesa dell’isola democratica, in caso di aggressione militare cinese. C’è la pre-condizione per uno scontro tra superpotenze nucleari, che Biden ha sempre escluso in Ucraina. Taiwan ha un’importanza strategica unica: per la sua posizione su rotte navali dove transita l’energia indispensabile a due alleati dell’Occidente, Giappone e Corea del Sud; perché è una superpotenza tecnologica che produce il 60% dei semiconduttori mondiali; perché la sua caduta nelle mani del regime comunista sarebbe fatale negli equilibri dell’Indo-Pacifico dove si gioca il futuro del pianeta. Gli Stati Uniti considerano quell’area del mondo il centro dei loro interessi vitali, più della vecchia Europa. Molti s’interrogano sui pericoli per noi, generati da una visita che la presidente della Camera Nancy Pelosi poteva evitare. I giudizi sul viaggio sono in prevalenza negativi in Occidente. L’atmosfera è: «Abbiamo già dato». Quasi che i nostri aiuti all’Ucraina siano stati sovrumani, logoranti all’estremo (sensazione inesatta ma diffusa). Occuparci ora di un’altra democrazia filo-occidentale minacciata da un regime autoritario ci sembra troppo. Se non possiamo permetterci di sostenere Taiwan, la Pelosi ha commesso un grave errore. È utile uno sguardo diverso, che parta dalla situazione di Xi Jinping. Potrebbe seguire le orme di Putin e scatenare una seconda guerra? Non affrettiamoci a giudicare la risposta cinese nell’immediato. Le manovre militari al largo di Taiwan e le sanzioni inflitte all’isola, per quanto dure, potrebbero essere un assaggio di quel che verrà. Xi non ha fretta, il «fuoco» che ha promesso a Biden può aspettare. Visto che la crescita cinese rallenta e i problemi interni si accumulano, fin dove vorrà spingersi Xi? La Cina è ben più coinvolta nell’economia globale della Russia, quindi ha più da perdere da un vero conflitto. Xi ha tuttavia un fattore in comune con Putin. Ha fomentato per anni un nazionalismo revanscista e rancoroso verso l’Occidente. Ha costruito una constituency interna assetata di vendetta, visibile in queste ore sui social media cinesi che traboccano di aggressività. Gli esperti ottimisti sottolineano che il consenso verso Xi si fonda anzitutto sul benessere economico, la stabilità e l’ordine, prima che sull’orgoglio patriottico. Gli ultrà nazionalisti che si scatenano sui social media, lui è in grado di moderarli. Due anni e mezzo di lockdown hanno ulteriormente rafforzato il controllo del Grande Fratello cinese. Una guerra non è indispensabile per la tenuta del potere personale di Xi, anche se dovrà fare dei gesti forti per evitare di perdere la faccia. Gli esperti pessimisti osservano invece che la formidabile escalation di riarmo in cui la Repubblica Popolare si è lanciata non ha spiegazioni se quella forza prima o poi non viene usata. La flotta militare di Pechino ha superato il numero di bastimenti della US Navy, un sorpasso inaudito fino a poco tempo fa. Eppure nessuno minaccia le frontiere cinesi, anzi, semmai è la Repubblica Popolare che sgomita per prendersi zone contese con i Paesi vicini. La favola per cui la Cina comunista non ha il Dna della guerra, fabbricata dalla propaganda di Xi e creduta da alcuni occidentali, è contraddetta da ben cinque guerre combattute dalla fondazione nel 1949, quasi tutte iniziate da un’aggressione di Pechino (Tibet, Corea, India, Urss, Vietnam). Annettere Taiwan alla madrepatria darebbe a Xi il trofeo che sfuggì ai suoi predecessori, lo innalzerebbe sopra Mao Zedong, fondatore della Repubblica, e Deng Xiaoping, artefice del boom economico. Perché Xi si è precluso una riunificazione pacifica, consensuale? I taiwanesi non possono credere allo scenario di «una nazione, con due sistemi politici» dopo la feroce normalizzazione di Hong Kong. La chiave dell’accanimento di Xi contro Taiwan sta qui: per un genuino leninista che crede nel primato del partito comunista e nella superiorità di quel sistema politico, non è tollerabile che sopravviva una democrazia cinese (Taiwan) così come non era ammissibile uno Stato di diritto con libertà di espressione a Hong Kong. È questa la posta in gioco, anche se la sua importanza è incompresa in Occidente.

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