“Ogni volta che si è parlato di Afghanistan in questi anni, i temi erano sempre gli stessi: violenza, traffico di droga e la guerra degli Stati Uniti. Del popolo afghano non si è quasi mai raccontato, un torto nel torto». Ultimo di cinque fratelli, figlio di un diplomatico e di un'insegnante di liceo femminile, Khaled Hosseini ha 13 anni quando lascia Kabul. Arrivato a San José in California, con poche parole di inglese nel suo vocabolario, vede il padre farsi in quattro per cercare di rialzare le sorti economiche della famiglia. «Salman Rushdie una volta ha detto che chi vive in esilio vede il mondo attraverso uno specchio rotto: un pensiero che mi sento di condividere e di fare mio». Oggi, grazie a quello «specchio rotto» e grazie al suo «Cacciatore di aquiloni» e ai suoi «Mille splendidi soli», milioni di lettori nel mondo hanno potuto conoscere il popolo afghano.
Queste ore e questi ultimi giorni devono essere stati particolarmente dolorosi. Cosa prova a vedere migliaia di persone ammassate contro le barriere di cemento dell'aeroporto? «Sono cresciuto in un Afghanistan pacifico, dove i bambini avevano diritto ad un'infanzia felice. O quantomeno io posso dire di averla avuta. Era un posto molto, molto diverso da oggi, e vedere la bandiera dei talebani sventolare nel posto dove sono nato è devastante».
Amir e Hassan, Mariam e Laica. A quale dei suoi personaggi ha pensato di più in questi giorni? «Sono preoccupato per le persone in carne e ossa, quelle che si sono battute per i diritti umani. Ma in particolare per le donne coraggiose, resilienti e resistenti che sono entrate in politica, che sono diventate capi di polizia, governatrici provinciali, sindaci, che hanno promosso la causa delle altre donne. E ancora, per le ragazze coraggiose che sono andate a scuola nonostante le minacce. Sento il loro dolore. Sento la loro frustrazione. Sento la loro ansia. E sento la loro paura».
Davvero I talebani rispetteranno i diritti delle donne e delle minoranze? «In questo momento, il mondo intero li sta guardando, ogni telecamera puntata su di loro. Ma cosa succederà quando l'opinione pubblica inevitabilmente rivolgerà il proprio sguardo altrove e l'Afghanistan non occuperà più le prime pagine? È allora che conosceremo davvero le loro intenzioni. Ed è allora che gli oppositori, le donne e le minoranze saranno maggiormente in pericolo».
Cosa può fare oggi la comunità internazionale? «Innanzitutto gli Stati Uniti e l'Europa devono accogliere tutti collaboratori che hanno abbandonato nel cuore della notte. Non è il momento di voltare le spalle agli afghani. Inoltre spero di vedere i leader della coalizione internazionali fare tutta la pressione diplomatica possibile sui talebani affinché rispettino i diritti dei giovani e delle donne, e non governino il Paese attraverso la violenza e l'intimidazione come già hanno fatto in passato».
Pensa che si creerà un movimento di resistenza? «Una delle ultime volte in cui sono stato in Afghanistan era il 2003. Il Paese era attraversato da un'ondata di ottimismo per quella che sembrava una democrazia semijeffersoniana, caratterizzata da uguaglianza di genere, diritti per ragazze e donne, un processo politico aperto e rappresentativo. Poi con il passare degli anni le cose sono cambiate».
Ossia? «Abbiamo iniziato a ridimensionare le nostre aspettative pensando che la democrazia fosse un sogno irrealizzabile. Abbiamo accettato il compromesso di una democrazia apparente, annacquata dalla corruzione e dall'incapacità dei nostri governanti. Ma almeno c'era l'illusione di essere al sicuro. I progressi degli ultimi vent'anni ci avevano dato una speranza. Poi dal 2018 queste speranze hanno iniziato a diminuire. E nelle ultime settimane si sono letteralmente sbriciolate».
Come società civile cosa possiamo fare per far rivivere quella speranza? «Leggere libri di storia. Molte persone si sono affidate ai miei romanzi per avere un'idea di cosa sia l'Afghanistan, e tutto ciò mi onora e mi riempie di gioia. Ma la narrativa non basta per comprendere il mondo».
Quali altri autori afghani dovremmo leggere in questo momento? «Fariba Nawa, giornalista e autrice meravigliosa, ha scritto Opium Nation: Child Brides, Drug Lords e One Woman's Journey Through Afghanistan. E il suo personale ricordo di una famiglia coinvolta nel commercio dell'oppio in Afghanistan. Ma non parla solo del traffico di droga e della guerra: offre uno spaccato della società afghana degli ultimi 30 anni».
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