Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.07.2021 Eric Hobsbawm, uno storico che ha disconosciuto le ragioni di Israele
Commento di Antonio Carioti

Testata: Corriere della Sera
Data: 19 luglio 2021
Pagina: 29
Autore: Antonio Carioti
Titolo: «I moniti di Hobsbawm sul culto della nazione»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/07/2021, a pag. 29, con il titolo "I moniti di Hobsbawm sul culto della nazione", l'articolo di Antonio Carioti.

A destra: Eric Hobsbawm

Il libro più noto e acclamato di Hobsbawm - storico ebreo inglese di formazione marxista - è "Il secolo breve", in cui ripercorre la storia del Novecento dalla Rivoluzione russa alla caduta del Muro di Berlino. In oltre 600 pagine, ne dedica solo tre alla Shoah, già questo un dettaglio che chiarisce la sua impostazione. Hobsbawm ritiene inoltre l'Illuminismo alla base del nazionalismo ottocentesco e ascrive alla storia del nazionalismo il sionismo, che pur sviluppandosi dal calderone di idee del tardo Ottocento prenderà presto la direzione di un movimento di affrancamento e autodeterminazione del popolo ebraico: ma questo lo storico inglese non lo ha mai scritto. Per Hobsbawm Israele non sarebbe mai dovuto nascere e i pochi cenni che riserva nei suoi libri allo Stato ebraico sono di totale critica.

Ecco l'articolo:

Risultati immagini per antonio carioti
Antonio Carioti

Il grande storico britannico Eric Hobsbawm (1917-2012) era ben consapevole di quanto distruttive possano essere le suggestioni identitarie e di quanta responsabilità gravi a tal proposito sugli studiosi del passato. La storia, sono parole sue, è «la materia prima per le ideologie nazionaliste, etniche o fondamentaliste, così come i papaveri sono la materia prima per la produzione di eroina». Un paragone eloquente, che troviamo nel primo dei 23 interventi di Hobsbawm, tutti acuti e interessanti, raccolti nel volume Nazionalismo. Lezioni per il XXI secolo, edito da Rizzoli a cura di Donald Sassoon (traduzione di Paolo Falcone e Rosa Prencipe). Di origine ebraica, di formazione cosmopolita e di orientamento marxista, Hobsbawm usava sottolineare gli anacronismi, ancora più frequenti delle menzogne, nelle narrazioni dei politici nazionalisti. Le sue vaste conoscenze gli permettevano di divertirsi a mettere in risalto contraddizioni e paradossi delle mitologie patriottiche. E non aveva alcun dubbio sul fatto che la nazione fosse un «prodotto artificiale» e relativamente recente, costruito soprattutto attraverso la scolarizzazione di massa promossa dal governanti dei diversi Stati nella seconda metà del XIX secolo. A lui si deve del resto l'illuminante concetto di «invenzione della tradizione». Peraltro Hobsbawm era ben consapevole della presa che il sentimento nazionale esercita anche sugli strati popolari, compreso il proletariato. Quando la coscienza di classe «si è scontrata con una coscienza nazionale, religiosa o razziale, solitamente si è arresa», osservava nel 1986. E dalla guerra delle Falkland, che aveva segnato un successo enorme della premier conservatrice Margaret Thatcher, ricavava un chiaro insegnamento per tutta la sinistra: «E pericoloso lasciare che il patriottismo diventi appannaggio esclusivo della destra». In definitiva, Hobsbawm coglieva appieno la potenza del nazionalismo in quanto fenomeno strettamente legato all'avvento della società di massa: «Una volta che esistono — avvertiva nel 1978 —, le nazioni sono praticamente indistruttibili. Dobbiamo convivere con esse e, soprattutto, all'interno di esse».

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui