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Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/07/2021, a pag. 15, con il titolo "Tutti i guai di Kamala Harris, 'tradita' anche dal suo staff", la cronaca di Massimo Gaggi.
Massimo Gaggi
Kamala Harris Joe Biden Piove, insomma, sul bagnato per la vicepresidente, attaccata da destra e da sinistra per come sta gestendo l'emergenza immigrati clandestini. Il compito, oggettivamente proibitivo, affidatole dal viaggio in Messico e Guatemala (la destra la accusa di essere poco efficace, la sinistra critica l'invito a tornarsene a casa da lei rivolto ai migranti del Centro America) alla sua recente missione in Texas, al confine di El Paso. Una visita che sarebbe stata decisa troppo tardi (94 giorni dopo la nomina di Kamala a «zar» dell'immigrazione) e forse solo per non farsi scavalcare da Donald Trump, andato anche lui in Texas pochi giorni dopo. Quel viaggio è stato anche il detonatore dello scontro nel team della vicepresidente. Secondo Politico.com a pochi giorni dal viaggio nessuno, nemmeno chi doveva organizzarlo, sapeva che lei sarebbe andata a El Paso. Una decisione criticata da molti perché, scegliendo il punto di frontiera più tranquillo anziché quelli più problematici come i centri di raccolta di McAllen o di Tucson, in Arizona, Harris ha dato la sensazione di fare una parata mediatica più che una missione davvero operativa. I 22 assistenti ed ex assistenti della vicepresidente intervistati da Politico.com attribuiscono disastri organizzativi e tensioni a Tina Flournoy che, con l'intenzione di proteggerla, avrebbe isolato la vicepresidente e reso difficili le comunicazioni. Poi, quando qualcosa va storto, Flournoy sarebbe sempre pronta a scaricare tutte le responsabilità su qualche subordinato. Symone Sanders, la portavoce della Harris, difende Flournoy e rivendica la sua gestione «muscolare»: «Noi non stiamo certo qui a disegnare arcobaleni e coniglietti tutto il giorno», mentre «per noi donne nere è sempre tutto più difficile». C'è sicuramente del vero in queste difese, anche perché alla Harris sono stati dati molti compiti impegnativi (oltre all'immigrazione anche la difesa dei diritti elettorali, lo Spazio, le reti digitali e il lavoro) e la sua squadra, a differenza di quella di Biden, è piccola e con poca gente esperta. Ma è chiaro che dietro gli attacchi c'è anche il malessere di alcuni ambienti democratici convinti che Harris non riuscirebbe a mettere insieme una coalizione elettorale ampia come quella costruita da Biden, qualora il presidente non ce la facesse a ricandidarsi nel 2024.
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