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Il Secolo XIX Rassegna Stampa
04.06.2014 Lo sbarco in Normandia, con la stella di Davide sull' uniforme
intervista a Harold Baumgarten, il reduce che ha ispirato a Steven Spielberg 'Salvate il soldato Ryan'

Testata: Il Secolo XIX
Data: 04 giugno 2014
Pagina: 28
Autore: Chiara Basso
Titolo: «Contro la morte con la stella di Davide sulla giacca»
Riprendiamo dal SECOLO XIX di oggi, 04/06/2014, a pag. 28, l'articolo di Chiara Basso dal titolo "Contro la morte con la stella di Davide sulla giacca".

Chiara Basso 
Chiara Basso      Harod Baumgarten

Un'immagine dello sbarco in Normandia

NEW YORK. La dannazione, almeno un tempo, e allo stesso tempo il dono di Harold Baumgarten è quello di avere una memoria fuori dalla media. Ancora oggi a 89 anni appena compiuti ricorda come se fosse successo ieri il suo sbarco in Normandia il 6 giugno del 1944. «Per 44anni mi sono rifiutato di parlare della guerra» racconta al Secolo XIX «poi la prima volta che sono andato a visitare il cimitero militare americano in Francia e ho visto le tombe dei ragazzi che sono morti davanti ai miei occhi, ho capito che ero sopravvissuto per un motivo: avevo il dovere di preservare il ricordo di questi soldati. Non dovevano essere caduti invano. E così da allora ho scritto tre libri. Ma anche scrivere non era abbastanza e così oggi sono diventato il loro portavoce. Tengo conferenze in America e all'estero». Ed è proprio dai libri di Baumgarten che Steven Spielberg ha tratto ispirazione per il suo "Salvate il soldato Ryan" (1998). Ma, precisa il veterano, c'è qualcosa che il regista americano non ha riportato fedelmente: «Non è vero che sulla spiaggia c'erano rocce dietro cui nasconderci dal fuoco nemico». La realtà fu peggio del film. Baumgarten, nato ad Harlem da madre americana e padre austriaco e cresciuto nel Bronx, ha 18 anni quando si arruola nel 1943 e 19 quando un mese prima del D-Day, il giorno in cui 133mila soldati delle forze alleate sbarcano su Omaha Beach, lui e la sua compagnia, il Primo battaglione del 116esimo reggimento di fanteria, divisione 29esima, vengono portati nel sud-ovest della Gran Bretagna per le esercitazioni allo sbarco che avrebbe cambiato il corso della guerra Qui fanno simulazioni con le stesse piccole barche che li avrebbero portati sulla costa francese ma nulla poteva prepararli davvero a ciò che li avrebbe attesi. All' alba del 6giugno 1944 Baumgarten e commilitoni lasciano la nave per avvicinarsi a Omaha Beach. Alla sua squadra era stato destinato il settore chiamato Dog Green, quello con il maggior numero di tedeschi e quello che avrebbe registrato più morti. Ma le cose cominciano a mettersi male ben prima dello sbarco perché resteranno tre ore nelle piccole imbarcazioni in balia delle onde dell'Atlantico. «La maggior parte di noi soffriva di mal di mare» ricorda Baumgarten «forse perché non erano abituati o avevano mangiato troppo. Ci avevano servito una colazione con uova, pancetta e bistecche. Io per fortuna aveva solo mangiato una stecca di cioccolato Cadbury. Ricordo che c'era un ragazzo nella mia barca che non riusciva nemmeno a stare in piedi. Come poteva combattere così?». Poi continua: «mentre ci avviciniamo alla spiaggia i proiettili iniziano a colpire la nostra barca. Quella sulla nostra sinistra viene fatta saltare in aria da una granata. Parti di legno, metallo e pezzi di corpo ci piovono in testa da un'altezza di circa quindici metri. Il marinaio britannico che guida la nostra imbarcazione vuole farci scendere dalla rampa dove l'acqua è ancora alta sette metri per poi fare marcia indietro ma il tenente Donaldson gli punta contro la sua Colt 45 e gli urla: ci porterai fino alla fine». Tuttavia, le barche non riescono ad arrivare a riva e i soldati devono scendere nell'acqua alta «Ricordo che era rosso vivo per il sangue di quelli che erano già stati uccisi davanti a me, tra questi anche il tenente Donaldson. Altri erano morti annegati. Io avevo l'acqua al collo ma ero più alto della media. Cercavo di tenere la testa fuori e il fucile in alto sopra di me». Chi, come Baumgarten, riesce finalmente ad arrivare a terra si trova in mezzo a quella che sarà ricordata come una delle peggiori carneficine della Seconda Guerra Mondiale. «Un olocausto» lo definisce il veterano, ebreo, che si era cucito una stella di David sulla giacca. «Ero l'unico ad averla» precisa «volevo che i nazisti sapessero con chi avevano a che fare». Per l'incontro non avrebbe dovuto aspettare troppo. Ad attenderli sulla spiaggia c'è un tedesco con una mitragliatrice che falcidia quasi tutti i trenta uomini nella barca di Baumgarten. Si salvano solo lui e un altro. «Uno dei miei compagni stava pregando col rosario in mano. Io gli ho gridato di stare giù ma lui continuava a pregare finché la mitragliatrice l'ha tagliato in due. Dopo la guerra, ho incontrato i suoi genitori. Erano contenti di sapere che almeno era morto pregando». Baumgarten riesce a individuare il tedesco che ha ucciso l'amico e lo fa fuori ma un'altra pallottola mette fuori uso il suo fucile e un'altra lo ferirà alla guancia facendogli saltare due denti e procurandogli un buco nel palato. Sono le 7 del mattino, appena mezz'ora dopo la sbarco, e Baumgarten a quel punto è quasi certo che morirà. Ma questo è solo l'inizio. In tutto verrà colpito altre due, tre volte nelle successive 32 ore. In tutto cinque ferite che gli costeranno 23 operazioni e parecchie sofferenze negli anni a venire. L'ultima pallottola lo colpisce quando ormai si trova su una barella in attesa di essere evacuato e portato in ospedale. E stremato e non gli resta che sperare che la morfina gli faccia effetto: «Ricordo di aver pensato che ormai avevamo perso perché attorno a me c'erano sei corpi, tutti cadaveri». La memoria del veterano corre anche al medico che lo ha salvato, Cecil Breeden: «Passava da ferito a ferito curando tutti mentre eravamo ancora sotto fuoco nemico ma non ricevette nessuna medaglia perché non venne ferito». Anche Baumgarten, dopo la guerra, divenne un medico perché da subito aveva sentito il bisogno di dare una missione alla sua vita. Oggi vive a Jacksonville, in Florida, insieme alla moglie Rita, conosciuta al college e da cui ha avuto tre figli. «Molte delle mie diagnosi hanno salvato vite umane» scrive nel suo libro "D-Day Survivor an autobiography" (2006) «dare conforto agli ammalati e ai moribondi è stato forse parte del piano che Dio aveva per me. E stato lui a guidare le mie mani, il mio cuore e la mia testa. Dal momento che nel D-Day ero stato risparmiato dalla morte terribile che avevano subito i miei compagni sulla spiaggia, era d'obbligo per me condurre una vita esemplare». Ma come vede il mondo oggi Baumgarten? Quando cinque anni fa è tornato in Francia, qualcuno gli ha chiesto se non trovava poco rispettoso vedere gente prendere il sole sulla spiaggia su cui tanti soldati erano morti. Lui ha risposto: «Assolutamente no. Abbiamo combattuto per questo, per ridare la pace a questa gente. Quando poi ho visto bambini francesi rendere omaggio alle tombe di soldati americani ho pensato che ne è valsa davvero la pena».

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