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Riprendiamo dal BOLLETTINO della Comunità ebraica di Milano, novembre 2020, a pag.23, con il titolo "Alain Finkielkraut: racconto in prima persona", la recensione di Nathan Greppi.
Nathan Greppi Alain Finkielkraut Per ogni uomo, grande o piccolo, a un certo punto viene il momento di fare un bilancio della propria vita, dei traguardi raggiunti o meno. Non fa eccezione il filosofo francese Alain Finkielkraut, tra i più celebri e discussi pensatori del suo paese negli ultimi decenni, il quale ha riepilogato il suo percorso umano e culturale nel libro In prima persona. Una memoria controcorrente. Più che controcorrente, la sua è un’autobiografia “intellettuale”, nel senso che della sua vita racconta quasi unicamente il suo percorso come filosofo: partendo dalle proteste del ’68, in cui militava nella sinistra più radicale, ha iniziato gradualmente a dissociarsi dal conformismo ideologico della sua generazione. Lo fece innanzitutto criticando nei suoi scritti le loro idee sull’amore e il rapporto tra i sessi, assieme all’amico e collega Pascal Bruckner, altro autore francese con posizioni fuori dal coro. Non mancano ovviamente prese di posizione sul tema dell’antisemitismo e dell’antisionismo: influenzato dal fatto che i genitori fossero sopravvissuti ai campi, Finkielkraut descrive le battaglie che ha dovuto intraprendere quando si è reso conto che una certa parte politica ha indirizzato nei confronti di Israele un odio veicolato tramite linguaggi e termini non dissimili da quelli dell’antisemitismo tradizionale, reinterpretati in forme “politicamente corrette”.
La copertina (Marsilio ed.) Basti pensare al negazionista della Shoah Robert Faurisson, che negli anni ‘70 aveva cominciato a diffondere le sue teorie innanzitutto negli ambienti della sinistra anticapitalista. Sebbene sia lungo appena un centinaio di pagine, il testo è denso di fatti personali alternati a riflessioni sull’attualità politica che sta vivendo l’Occidente. In particolare, l’autore lancia un monito per mettere in guardia da quelli che secondo lui sono i nuovi totalitarismi, che a differenza del nazismo e del comunismo oggi si nascondono dietro la maschera del progresso e dei diritti umani per emarginare coloro che non vi si adeguano.
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