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Libero Rassegna Stampa
18.07.2021 Tragedie e massacri della dittatura cinese
Commento di Alberto Pasolini Zanelli

Testata: Libero
Data: 18 luglio 2021
Pagina: 14
Autore: Alberto Pasolini Zanelli
Titolo: «La sfida della Cina comunista affonda le radici nei massacri»
Riprendiamo da LIBERO di oggi, 18/07/2021, a pag.14 con il titolo "La sfida della Cina comunista affonda le radici nei massacri", il commento di Alberto Pasolini Zanelli. 

CHINA 100 years of the Communist Party: Xi Jinping equal to Mao, almost a  god
Xi Jinping

II "muro" era, fino a pochissimo tempo fa, il "pezzo" più noto di Cina. Tutti gli stranieri che ci arrivavano sentivano il piacere e il dovere di fotografarlo. Ci riuscirono tutti, tranne Enzo Biagi, che aveva bisogno dell'immagine più famosa per ornare un libro che stava scrivendo sulla Cina e aveva incaricato una figlia di portarsi dietro nella scalata una macchina fotografica. Ci arrampicammo e inquadrammo quella "sacra immagine", tutti noi tranne Biagi: la figliola si era dimenticata in albergo la macchina fotografica. Smise di sgridarla quando uno di noi lo aiutò ad avere anch'egli il suo "ritratto del muro". Esso è il volto della Cina, da secoli la congregazione umana più densa del nostro pianeta, che è stata in lunghi periodi un impero mondiale. E, per un paio di secoli più recenti, fu calpestata da imperi altrui. E poi teatro e protagonista di una delle più sanguinose rivoluzioni della Storia. Prima la resistenza contro gli occupanti giapponesi a cavallo della Seconda guerra mondiale, poi la lotta contro il vecchio regime e infine contro i nazionalisti guidati da Chang Kai Shek, fino al giorno in cui Mao poté far innalzare la bandiera rossa con una stella al centro (al posto della falce e martello) e scatenò la fase più sanguinosa della storia.

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Mao Zedong

IL GRANDE BALZO I comunisti cinesi presero in mano un Paese distrutto da una guerra civile durata 38 anni, dall'inizio della sollevazione contro l'ultimo imperatore fino alla conquista di Pechino. Partendo da quelle macerie, da zero, avrebbero fatto inevitabilmente dei progressi, se agevolati da una politica accorta. Se non ci fossero stati gli ulteriori "esperimenti" il reddito pro capite della Cina avrebbe continuato a crescere come era avvenuto fra il 1949 e il 1957 e nel 1976 sarebbe stato, in termini reali, il triplo di quello che invece risultò alla morte di Mao. Ma questi aveva in mente ben altro. Proclamò alla fine del 1957, il Grande Balzo in Avanti. I "movimento" si riprometteva di «allargare la sfera di autodecisione e di autogestione del popolo a tutti i livelli». Era la «guerra totale al capitalismo e al mondo moderno». Ma anche a quello antico, a cominciare da quella piazza Al suo posto Mao ne "inventò" un'altra. Si chiama Tienanmen ed è, come tante delle sue opere, una distruzione e non una costruzione. Antichi erano i palazzi, i padiglioni, le mura che egli fece abbattere per affermare con la tabula rasa che con lui nasceva davvero una nuova Cina, il cui capo indiscusso doveva essere Mao. Gli "ritagliarono" la Tienanmen su misura, ne fecero una Città Proibita, un "cuore" smisurato di Pechino, di 700mila metri quadrati. La più vasta del mondo. La Piazza Rossa di Mosca ne occupa solo un quarto, San Pietro un angolino. Mobilitazione, cemento e ideologia C'è posto per un milione di sudditi ubbidienti e plaudenti. A chi si opponeva o anche non partecipava il Capo gettò addosso dei giovani addestrati a diffondere il tenore e la morte. Si chiamavano Guardie Rosse e il conteggio delle loro vittime non è mai stato pubblicato ufficialmente. Il calcolo massimo parla di 80 milioni di morti, in tutta la Cina, non soltanto sulla Tienanmen. C'era, insomma, la pena di morte, spesso attraverso tortura Mao ebbe diversi anni per infliggerle ai suoi sudditi. Mori solo, colpito da un male così rapido che neppure la moglie fece in tempo a portargli l'ultimo saluto e dopo non molto fu uno dei primi bersagli dell'istantanea demaoizzazione. In pochi mesi furono girati una mezza dozzina di film di drastica condanna del maoismo. Il partito lasciò invece passare quasi trent'anni prima di annunciare che Mao si era lasciato dietro un deposito di denaro nascosto e illegale in un conto bancario. Gli fecero anche un processo postumo. La testimonianza decisiva fu quella del Politburo che sanzionò come le opere letterarie di Mao non fossero il prodotto dell'ingegno di un singolo ma l'«essenza della saggezza collettiva» dell'intero Partito comunista. Intanto i successori si succedevano. Il primo, e più importante, fu Deng Xiaoping, che aveva passato anni in carcere perché "deviazionista" e poi ripescato dal confino e chiamato, non subito, al potere. Egli aveva promesso al popolo cinese più tolleranza, come prefazione a «più libertà». E mantenne l'impegno cominciando a svuotare qualche campo di concentramento. Anche durante il suo "regno" i massacri fecero indignare l'Occidente, tanto sconvolto dalla repressione di piazza Tienanmen benché avesse ammiccato, a suo tempo, alle atrocità delle Guardie Rosse.

I DOGMI INFRANTI Deng aveva ereditato gli immani disastri economici del maoismo. Si diede da fare per scaricare i dogmi di un marxismo arcaico, per traghettare l'economia "socialista" cinese verso l'economia di mercato sotto la formula delle «quattro modernizzazioni». Ma dovette fare non poca fatica per convincere i "compagni". Utilizzò proverbi senza tempo («Non importa se il gatto sia o rosso odi un altro colore: basta che acchiappi i topi») e fece balenare dimensioni da capogiro, che pochi giudicarono credibili ma che colpirono le immaginazioni: «Pensate che un giorno potremo avere in cassa dieci miliardi di dollari!». E nel silenzio incredulo ripeté e specificò: «Dieci miliardi di oro americano». Le riserve valutarie cinesi consistevano allora in 167 milioni di dollari in tutto. Oggi toccano due trilioni e 400 miliardi di dollari, più della metà investiti in "ditte" americane, comprese le agenzie governative Usa, in particolare in Buoni del Tesoro degli Stati Uniti. Il bilancio del suo "regno" non fu e non poteva non essere positivo, ma anche avere limiti importanti che Deng ammise e delineò: sapeva e diceva che stava «mutando tutto, tranne la libertà». Egli cercò di mettere fine al feroce e sanguinario potere di Mao, che aveva sospinto i "fedeli" in una interminabile guerra civile. Sono passati cent'anni e li ha celebrati il successore dei successori di Mao, Xi Jinping. Ha parlato da un balcone e ha "resuscitato" il simbolo della Cina. Cambiandolo: «C'è chi parla della Cina come un muro, cioè una cosa che si può logorare e abbattere. Devono sapere che il nostro di o lei è un muro di acciaio e che chi tentasse di incrinarlo si romperà la testa».

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