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Libero Rassegna Stampa
27.05.2016 Israele e il nuovo Medio Oriente secondo Dore Gold, direttore generale del Ministero degli Esteri di Israele
Commento di Carlo Panella

Testata: Libero
Data: 27 maggio 2016
Pagina: 12
Autore: Carlo Panella
Titolo: «Israele avvisa: l'Isis userà l'atomica»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 27/05/2016, a pag. 12, con il titolo "Israele avvisa: l'Isis userà l'atomica", il commento di Carlo Panella.

A destra: Dore Gold, direttore generale del Ministero degli Esteri di Israele

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Carlo Panella

«Stiamo entrando in un mondo diverso, in cui i terroristi ci minacceranno con armi nucleari...», con questa catastrofica previsione, pronunciata con un sorriso serafico sulle labbra, entra nel vivo il mio viaggio tra i massimi esperti dell'antiterrorismo nel paese più minacciato al mondo dai terroristi: Israele.

Dore Gold, direttore generale del ministero degli Esteri di Israele mi riceve in una torrida Gerusalemme. Pacato, col linguaggio del corpo che esprime l'autorevolezza di un millenario visir asiatico, Dore Gold basa su questa sua apocalittica analisi una svolta radicale nel contrasto al terrorismo. Sempre col sorriso sulle labbra spiega lo sviluppo degli eventi: «Quando chiedemmo ai Servizi dell'India perché non avessero compiuto ritorsioni contro il Pakistan, nonostante fosse appurato che i suoi Servizi avevano aiutato i terroristi che avevano fatto strage a Mumbai ci risposero: "Non potevamo fare ritorsioni. Il Pakistan ha l'atomica!" Pensate cosa sarà il mondo quando i terroristi potranno usare la deterrenza...».

Il quadro a cui guarda Dore Gold è complesso: «Hamas è il fondamentale retroterra politico, militare e logistico dell'Isis che attacca in Egitto e Libia, e fa esplodere gli aerei. Quindi Hamas, indirettamente, è una minaccia anche per l'Europa. Hezbollah, che è sotto comando formale dell'Iran, è in grado di lanciare dalla Siria e dal Libano missili armati di atomica su Israele e su tutti gli Stati arabi. L'Iran ha forse -forse- sospeso il suo programma nucleare. Ma si dota di nuovi missili che hanno senso solo se armati di testate nucleari, non di esplosivi tradizionali». La conclusione è semplice: «Israele si deve dotare di un ombrello che la protegga da questi missili». Ma soprattutto deve impostare una politica regionale di svolta che parta dalla normalizzazione dei rapporti con la Turchia - imminente, per impegno di Netanyahu - e porti a un'inedita alleanza con i paesi arabi sunniti, inclusi i regni e gli emirati del Golfo.

Svolta sintetizzata così da Ofer Shelah, deputato di Yesh Atid: «Israele è nato grazie alla consegna di Ben Gurion: si deve difendere da solo. Ma oggi questo postulato non regge più, per l'intersecarsi di terrorismo e minaccia nucleare». Chi frequenta Israele da 50 anni resta colpito profondamente da questa novità, dalla certezza che è ora indispensabíle un suo stretto concerto operativo con la comunità internazionale e con vicini per decenni nemici. Strategia ribadita da tutti gli esperti dell'antiterrorismo israeliano che incontro. E il segno dell'esaurirsi dello «splendido isolamento», della piena autosufficienza della propria forza militare, che, da destra come da sinistra, permea da 70 anni tutte le strategie di difesa della patria degli ebrei.

Finisce così la lunga fase in cui Israele chiedeva agli Stati Uniti e a un'ignava Europa aiuto, finanziamenti e armamenti per usarli sul terreno, nelle guerre, basandosi solo sulla propria capacità di combattere. Ovviamente, questa svolta è radicata su una constatazione che solo Barack Obama e molte cancellerie non percepiscono: la centralità del contenzioso palestinese-israeliano ormai è un ricordo. Il nuovo conflitto è imperniato su un apocalittico e globale contrasto ira l'islam politico e l'Occidente. Contrasto in cui le forze radicali sciite e sunnite vedono sl in Israele il più pesante oltraggio alla umma musulmana, ma vedono anche come nemici da abbattere i regimi arabi e islamici «corrotti».

In un contesto dominato dall'espansionismo rivoluzionario dell'Iran, che ripropone oggi la spinta egemonica plurimillenaria della Persia verso il Mediterraneo, supportata dall'ideologia khomeinista. Non solo l'Isis e Al Qaeda vanno dunque annoverati tra i principali nemici che ci minacciano, ma anche Hezbollah e Hamas che non sono più avversari solo di Israele, ma anche di larga parte dei paesi del Medio Oriente. Una percezione che Usa e Europa, che pure considerano Hezbollah «organizzazione terrorista», sono ben lungi dall'avere chiara, nonostante la lezione del disastro siriano provocato dalla strenua difesa del regime del macellaio Assad da parte di Hezbollah, Pasdaran iraniani (e della Russia).

Per questo, in tutti i miei incontri si delinea una propensione di Israele, straordinariamente nuova, a costruire una rete di alleanze con la Turchia e tutti i paesi sunniti, Arabia Saudita inclusa. Naturalmente, né Dore Gold -che ha dato inizio a questo processo con un incontro il 4 giugno a New York con Anwar Eshky, già top adviser del governo saudita- né gli altri miei interlocutori intendono infastidire il governo di Riad evidenziando intese sino a pochi mesi fa impensabili. Ma l'allinearsi discreto di Israele con la «trincea» turco arabo sunnita, in funzione anti-terrorista e anti-iraniana è qui ormai palpabile.

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