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L'Espresso Rassegna Stampa
30.10.2015 'Tramonto libico': la cacciata degli ebrei da Tripoli nel libro di Raphael Luzon
Recensione di Roberto Saviano

Testata: L'Espresso
Data: 30 ottobre 2015
Pagina: 80
Autore: Roberto Saviano
Titolo: «Cosa ci insegnano gli ebrei di Tripoli»

Riprendiamo dall' ESPRESSO di oggi, 30/10/2015, a pag. 80, con il titolo "Cosa ci insegnano gli ebrei di Tripoli", la recensione di Roberto Saviano.

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Roberto Saviano

LE STIME UFFICIALI parlano di 856 mila ebrei che hanno abbandonato le proprie case, le proprie città, i propri paesi. Ebrei che si sentivano e si definivano «ebrei arabi» perché l'arabo era la loro lingua, perché da secoli le loro radici erano piantate in quelle terre di sole, deserto e mare che vanno dal Medioriente fino al Maghreb. Iraq, Siria, Iran, Libano,Tunisia, Marocco, Egitto, Algeria, Yemen, Tunisia, Aden, Libia: paesi che avevano grandi comunità ebraiche vive e fiorenti, formate da commercianti, artigiani, rabbini, studiosi, medici, amministratori, comunità di 30 mila o di 150 mila ebrei che oggi non esistono quasi più, frantumatesi nell'esilio seguito alle persecuzioni e alle discriminazioni montate dopo il 1948, dopo la nascita dello Stato d'Israele.

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La copertina

Il libro "Tramonto libico" è legato a una di queste storie, alle vicende degli ebrei di Libia. Ebrei che vivevano in quelle terre prima ancora che venissero chiamate Libia proprio da noi, colonizzatori italiani. Si presume che i primi ebrei siano giunti in quel territorio allora chiamato Barberia e abitato dai «barbaros», «balbuzienti» (i greci così chiamavano tutte le popolazioni che non parlavano la loro lingua), dopo la distruzione del primo tempio di Gerusalemme nel 586 a. C. Da allora e fino al 1967, anno in cui iniziano le vicende di questo libro, gli ebrei hanno testimoniato ogni nuovo conquistatore, hanno combattuto insieme ai berberi contro gli eserciti di Maometto, hanno contribuito alla crescita della regione durante l'impero ottomano e poi nel periodo di colonizzazione italiana, si sono talvolta mescolati con la popolazione locale con matrimoni e conversioni, ma hanno sempre mantenuto le proprie tradizioni e il legame saldo con la propria fede perseverando nell'osservanza dei precetti religiosi.

Un esempio drammatico di quanto l'osservanza fosse radicata tra gli ebrei di Libia è rappresentato dall'episodio della pubblica fustigazione di tre ebrei che si erano rifiutati di tenere aperti i propri negozi di Shabbàt obbedendo al provvedimento fascista che ne vietava l'apertura. All'inizio del Novecento solo a Tripoli si contano ben 44 sinagoghe, indice di una vita ebraica fervente e di una comnità profondamente religiosa. Il periodo fascista portò con sé anche l'onta delle leggi razziali. Nonostante che il 18 marzo del 1937 Mussolini sbarcato a Tripoli dichiarasse: "Italia considera gli ebrei sotto la sua tutela, nessuna discriminazione razziale o religiosa è nella mia mente, restando fedele alla politica di eguaglianza di fronte alla legge e di libertà di culto", nel luglio dell'anno seguente veniva pubblicato il «Manifesto della razza» che sanciva le discriminazioni degli ebrei ponendoli in una situazione di inferiorità anche rispetto alla popolazione musulmana.

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Raphael Luzon

Con lo scoppio della guerra, circa tremila ebrei verranno reclusi in un campo di prigionia e tre uomini, accusati di collaborare con gli inglesi, saranno fucilati. La situazione di discriminazione durerà fino allo sbarco degli Alleati e della brigata ebraica che libereranno la Libia dagli italiani. Ma per gli ebrei libici la liberazione non significherà un nuovo periodo di pace. L'ascesa del sionismo e il rafforzamento del panislamismo sprigioneranno le energie latenti e distruttive che covavano nei recessi delle masse arabe e sfoceranno in ripetuti pogrom e attacchi ai quartieri ebraici. Poi, la fondazione dello Stato d'Israele e in seguito la Guerra dei Sei Giorni faranno scoppiare la rabbia araba che porterà a nuovi episodi di sangue e alla cacciata degli ebrei libici dal proprio paese, alla fine di una storia durata più di duemila anni.

II libro di Raphael Luzon è un libro sincero e pacato. Egli sceglie alcuni ricordi, ma è consapevole che la memoria è ingannevole e che quindi non può essere una prova per affermare delle verità assolute, né uno strumento al servizio di pulsioni ideologiche. Mi sembra che Luzon abbia aperto il grande vaso della memoria prima di tutto per fini terapeutici, per lenire le ferite personali dell'esilio, per dare sollievo alla nostalgia per la sua terra madre, una nostalgia che vive tra le righe di tutte le pagine del libro. Un'altra motivazione di "Tramonto libico" è poi la ricerca della giustizia. Apprendiamo dell'assassinio delle famiglie Luzon e Raccah di Tripoli, un crimine a cui non è mai seguito un processo né una condanna; né un funerale per le vittime innocenti.

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Quello che rimane di una sinagoga a Tripoli, Libia

Senza rabbia, senza desiderio di vendetta, Raphael Luzon vuole raggiungere proprio questi obiettivi: un processo, una condanna, dei funerali; in altre parole, la giustizia. Questa aspirazione, frustrante e dolorosa perché di difficile realizzazione, accompagna tutte le parole del libro perché è come un macigno nell'anima di chi stava scrivendo. Oltre ai ricordi, in forma onirica, di squarci di vita ebraica a Bengasi, oltre alle vicende intime di Raphael e al suo impegno politico per riallacciare i rapporti tra l'ebraismo libico e lo stato libico, mi ha colpito il modo costruttivo e aperto di Luzon nell'affrontare l'altro, l'opinione diversa e il suo desiderio profondo di riconciliazione, di dialogo tra i popoli e tra le religioni; un dialogo che non passa attraverso le rinunce sui valori e sulle identità, ma sull'accettazione dell'altro e sulla disponibilità a guardare chiunque negli occhi, a discutere con tutti da pari a pari.

Ho poi scoperto che l'attività politica di Luzon per la conservazione della memoria dell'ebraismo libico e per il mantenimento del legame degli ebrei libici con la propria patria prosegue da anni in un fervido confronto tra ebrei, musulmani e cristiani che non vogliono arrendersi all'estremismo. E pensando all'amore e all'impegno di Luzon per la Libia non si può fare a meno di pensare alle condizioni in cui versa oggi il paese e alle parole dolenti verso la fine del libro: "Forse, se non aveste cacciato i vostri fratelli ebrei tanto tempo fa, forse oggi la Libia non sarebbe il cumulo di sofferenze che sta diventando, forse..."

"Tramonto libico" è un libro breve, scritto in modo scorrevole, e dunque si legge molto in fretta. Consiglio al lettore di soffermarsi, tenerlo un po' più a lungo tra le mani, risfogliarlo e rileggere alcuni passi, perché nelle parole di Luzon possiamo talvolta trovare l'ispirazione per intraprendere un cammino di pace e di memoria.

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