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Non bisogna cadere nella trappola di Hamas Il maggiore risultato, del brutale assassinio dei 6 ostaggi a Rafah, è senza dubbio la rinnovata pressione politica americana nei confronti dell’esecutivo di Netanyahu. È ormai chiaro da mesi che l’amministrazione Biden/Harris voglia sbarazzarsi di Netanyahu per ragioni di politica interna. L’utilizzo dell’assassinio a sangue freddo dei 6 ostaggi è solo l’ultimo capitolo di questa strategia politica volta a far cadere il governo d’Israele detestato dalla Casa Bianca. Sinwar è ben conscio di questa situazione, che è l’unica che possa permettere la propria sopravvivenza e quella di Hamas a Gaza. In pratica l’amministrazione americana sta diventando il più prezioso alleato dei tagliagole di Gaza. Per quanto doloroso possa essere, ci saranno, molto probabilmente, altre uccisioni di ostaggi nelle prossime settimane, ma Netanyahu deve resistere a queste nuove pressioni politiche (sia interne che americane) e portare a compimento la guerra fino alla totale sradicazione di Hamas e mantenere il controllo del Corridoio Philadelphi in futuro. Non ci devono essere dubbi sul fatto che l’assassinio degli ostaggi sia una trappola emotiva per indurre il governo d’Israele ad accettare le condizioni del tutto inaccettabili del presunto “accordo”, che nella realtà dei fatti è una capitolazione di Israele alle richieste dei terroristi. Basta entrare nello specifico delle condizioni per rendersene conto. Infatti, ad Israele è chiesto un cessate il fuoco (in pratica definitivo), il ritiro totale delle truppe da Gaza compresi i corridoi Philadelphi e Netzarim, quest’ultimo divide la parte nord dal resto della Striscia. Inoltre, nei prossimi mesi, sono previsti, l’ingresso nella Striscia di soldi e materiale per ricostruire le infrastrutture civili e militari distrutte durante i combattimenti: in pratica la ricostituzione del potere di Hamas come se il 7 ottobre non fosse mai avvenuto. In cambio di questo Hamas promette di liberare un certo numero di ostaggi (dai 30 a 40) vivi e morti. Non si sa quanti vivi e quanti morti. Per questi, Israele deve liberare alcune migliaia di terroristi che andranno a ricomporre i ranghi di Hamas a Gaza. Non è ben delineato nell’”accordo” cosa ne sarà dei restanti ostaggi (circa 60/70 verosimilmente già morti). Di sicuro diverranno l’eterno strumento di ricatto che Sinwar utilizzerà per ottenere garanzia per la sua sopravvivenza e per la ricostruzione della forza militare a Gaza negli anni a venire. È facile immaginare come sarà utilizzato, da Hamas, in futuro questo “accordo”, che è bene ribadirlo è una capitolazione di Israele: perché, per come è formulato, è uno strumento di ricatto perpetuo. Gli ostaggi che rimarranno nelle mani di Hamas serviranno ad un duplice scopo: da un lato, ricattare Israele affinché non riprenda le operazioni militari e garantisca la vita di Sinwar; dall’altro, richiedere enormi finanziamenti alla comunità internazionale per ricostruire le infrastrutture sia sotterranee che di superficie. A questo, è prevedibile, si aggiungeranno le richieste per costruire un porto (e perché no di un aeroporto), con la scusa di velocizzare la ricostruzione, ma nei fatti essenziale per importare un maggior numero di armi, razzi ed equipaggiamento militare per iniziare una nuova guerra di massacro come il 7 ottobre. Cosa, per altro, candidamente dichiarata da tutti gli esponenti “politici” di Hamas. Se queste richieste non verranno soddisfatte c’è sempre il ricatto degli ostaggi a far muovere l’opinione pubblica, e si ha la sensazione che un governo presieduto da Lapid o da Ganz non si opporrà “strenuamente” a queste richieste se saranno avvallate da una amministrazione Harris. È sufficiente vedere come l’attuale amministrazione Biden/Harris si sta muovendo per capire che le uniche pressioni che esercita, sono esclusivamente su Israele. Quando Biden afferma che Netanyahu non “fa abbastanza” per raggiungere l’accordo, non fa il gioco di Hamas? Quando Biden o uno dei moltissimi esponenti della sua amministrazione dicono che la loro ultima proposta è quella definitiva e “bisogna prenderla o lasciarla” su chi cade la pressione politica? Unicamente su Israele. Questo perché ormai da mesi Hamas è finito nello “sfondo” quasi non se ne parla affatto di questo gruppo genocida e sanguinario. Si parla solamente dell’”intransigenza di Netanyahu”, del fatto che Israele deve concedere questo e quello per porre fine alla guerra, per il rilascio degli ostaggi, per la ricostruzione. I crimini di Hamas sono letteralmente spariti. Hamas uccide a sangue freddo 6 ostaggi? la colpa è di Netanyahu. È come voler incolpare Churchill o Roosevelt se i nazisti fino all’ultimo sterminavano gli ebrei nelle camere a gas: erano troppo “intransigenti” a volere la capitolazione della Germania nazista, dovevano scendere a patti. È immaginabile un ragionamento così? Una ultima considerazione. Che Hamas sia ormai alle strette lo si capisce da quanto sta avvenendo in Giudea e Samaria. Sono aumentati enormemente gli attentati palestinesi (l’ultimo ha causato la morte di 3 agenti di polizia ma nessuno ne ha parlato). In più, per la prima volta dalla seconda intifada, sono ricomparse le auto bomba: una a Tel Aviv è scoppiata – fortunatamente – prima del previsto e ha causato solo un ferito. Due sono scoppiate in Samaria perché intercettate per tempo, mentre una terza in Giudea non è esplosa perché è stato bloccato l’attentatore. C’è il concreto rischio che ulteriori episodi si verificheranno nelle prossime settimane. Tutto questo perché Hamas sta cercando di togliere la pressione militare dalla Striscia e spostarla in Samaria e in Giudea. Anche per questo motivo gli USA, se fossero il vero alleato che millantano di essere, dovrebbero sostenere il governo di Israele, invece che far di tutto per delegittimarlo con il risultato di voler far diminuire la pressione militare a Gaza con un accordo burla. Se dovesse vincere le elezioni Kamala Harris festeggeranno a Gaza come a Beirut e a Teheran, mentre per Gerusalemme saranno tempi bui.
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