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Israele e Stati Uniti, un’incomprensione pericolosa Sospendere l’attacco all’ultima roccaforte di Hamas a Rafah è stato un errore. Pressato dal mondo politico internazionale, che accusava Israele di operare un “genocidio” nei confronti dei palestinesi se avesse continuato a dare la caccia ai terroristi di Hamas all’interno della popolazione di Rafah, Netanyahu ha accettato di sedersi al tavolo delle trattative con Hamas. Questi incontri non hanno fruttato alcun esito positivo, com’era facile prevedere, e anche l’ennesima proposta che Gerusalemme sta avanzando in questa ultime ore avrà lo stesso effetto, il fallimento. In realtà, Hamas sta approfittando dell’errore di Israele nel cessare l’attacco definitivo a Rafah per portare avanti una trattativa che non desidera abbia uno sbocco positivo, perché lo stallo attuale consente un aggravamento delle condizioni di vita della popolazione di Rafah, la cui responsabilità ricadrebbe su Israele, colpevole di un assedio affamatore nei confronti della gente di Rafah. È difficile dire se quest’ultima proposta di Israele, che sarà certamente rifiutata da Hamas, darà il via alla fase finale dell’attacco israeliano a Rafah e all’eliminazione definitiva di Hamas dalla Striscia di Gaza. L’isolamento di Israele in questa operazione indispensabile per la sua sicurezza, dopo i fatti del 7 ottobre scorso, è allarmante. Gli Stati Uniti, l’unica certezza per lo Stato ebraico nella situazione attuale, sono venuti meno sul piano politico. Benché nuove forniture di armi siano state concesse a Gerusalemme – fatto di per sé fondamentale, comunque – Washington ritiene che l’ultimo, definitivo assalto israeliano a Rafah sarebbe inconcepibile, ora che gli Stati Uniti hanno permesso, con la propria astensione, che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite votasse per un cessate-il-fuoco a Gaza, con grande soddisfazione dei terroristi di Hamas. L’errore di Washington non farà altro che incancrenire la situazione di Gaza e rendere ancora più negativa la posizione di Gerusalemme. Così, il paradosso della situazione è che Israele è obbligato a scendere a patti con Hamas, per uscire da un impasse politico-militare che si fa sempre più complicata con il passare dei giorni. Hamas rifiuterà ogni compromesso, perché il contesto a Gaza gli è favorevole grazie alle scelte politiche americane e alle decisioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. È pur vero che il voto non è vincolante sul piano fattuale, ma, come è del tutto evidente, se Israele non dovesse rispettarlo, la sua situazione a livello internazionale sarebbe insopportabile. Ecco perché l’interruzione dell’assalto agli ultimi gruppi di terroristi di Hamas a Rafah, nel momento più favorevole per Israele, è stata controproducente. In fondo, la condanna generale nei confronti dello Stato ebraico si era palesata già nei primi giorni dell’ingresso dell’esercito israeliano a Gaza, invocando ragioni umanitarie, per cui concludere l’operazione di eliminazione definitiva dei terroristi di Hamas, rifugiatisi astutamente nella enclave di Rafah, non avrebbe aggiunto nulla alla condanna generale. Anzi, la conclusione della guerra di Gaza avrebbe posto immediatamente il problema della gestione della Striscia, con il confronto politico che ne sarebbe derivato a livello internazionale. Purtroppo, Netanyahu non ha compiuto il passo decisivo e definitivo al momento opportuno, con la conseguenza che le “anime belle” del sistema politico internazionale hanno avuto l’occasione di entrare nella questione di Gaza, ponendo ostacoli che al momento attuale complicano non poco la situazione politica e militare di Israele. Lo stallo attuale è, dunque, favorevole a Hamas. È incredibile. Un movimento terroristico sanguinario, che ha compiuto il terribile massacro del 7 ottobre e che si batte per la distruzione di Israele, è in una condizione favorevole nel contesto della valutazione generale della guerra di Gaza. Come ha detto un ufficiale israeliano a un giornalista, “Netanyahu non è Ben-Gurion”. Un’affermazione facile, perché la posizione degli Stati Uniti nei confronti di Israele, al tempo di Ben-Gurion, era ben diversa da quella attuale. Che cosa avrebbe dovuto fare Israele dopo l’eccidio del 7 ottobre? Nessuno, a livello generale, ha avanzato un’ipotesi alternativa all’iniziativa militare di Israele a Gaza. Al contrario, un atteggiamento ipocrita ha pervaso le istituzioni internazionali, isolando un Paese vittima di un’azione sanguinaria da parte di un gruppo terroristico che ne vuole la cancellazione dalla carta geografica del Medio Oriente.
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