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Informazione Corretta Rassegna Stampa
04.11.2021 'La famiglia di Piazza Stamira', di Marco Cavallarin
Recensione di Giorgia Greco

Testata: Informazione Corretta
Data: 04 novembre 2021
Pagina: 1
Autore: Giorgia Greco
Titolo: «'La famiglia di Piazza Stamira', di Marco Cavallarin»
La famiglia di Piazza Stamira
Marco Cavallarin
Affinità elettive euro 17

La famiglia di piazza Stamira. Una famiglia ebraica anconetana nei fatti  del Novecento - Marco Cavallarin - Libro - Affinità Elettive Edizioni -  Storia, storie | IBS

Negli ultimi anni ho avuto il privilegio di accostarmi alle vicende di famiglie ebree che figli, nipoti o altri discendenti hanno voluto condividere con un pubblico più vasto di lettori per conservare e tramandare la memoria di anni drammatici che hanno visto gli ebrei perseguitati dalle leggi razziali, sterminati nei campi di concentramento nazisti, arruolati nella Resistenza, oppure, i più intraprendenti , emigrati in Israele, attraverso testimonianze che, senza pretese di veridicità storica, hanno arricchito la ricerca degli studiosi contemporanei. In questo solco si inserisce il libro di Marco Cavallarin, studioso di ebraismo e colonialismo italiano, documentarista e autore di numerose pubblicazioni, in questi giorni in libreria per la casa editrice Affinità elettive con il titolo “La famiglia di Piazza Stamira”. E’ la storia di una famiglia ebraica anconetana nei fatti del Novecento, come recita il sottotitolo, quella che ci racconta l’autore che ha sposato una discendente di quella famiglia, Patrizia Ottolenghi.

In questo suo ultimo lavoro Marco Cavallarin “cede” la parola ai componenti la famiglia Sacerdoti e Almagià ciascuno dei quali racconta la propria memoria, a modo suo, senza che ricerche storiografiche o archiviste specifiche prevarichino nella scrittura. Le lettere, le cartoline, i biglietti che negli anni hanno tenuto unita la famiglia arricchiscono, pagina dopo pagina, la narrazione che si avvale comunque di un magistrale coordinamento dell’autore con frequenti flashback e non poche anticipazioni narrative. La storia che vede protagonisti Sara, Enzo, Vittorio Emanuele e Cesarina Sacerdoti prende avvio nei primi anni del 1900 in un palazzo di Ancona di Piazza Stamira: una famiglia irrequieta i Sacerdoti dove i figli nascono nel giro di otto anni in città diverse, Ancona, Ferrara, Roma e Modena fino al definitivo consolidamento in Ancona. Dei genitori, Rodolfo e Celeste, è la madre, donna sportiva e appassionata di arte e musica, a occuparsi della loro formazione culturale.

Nelle prime pagine incontriamo i protagonisti che sembrano usciti da un romanzo. Sara, la primogenita, radiosa e accogliente si trasferisce in Israele per seguire l’amato Nello di cui condivide, seppur in modo contradditorio, l’ideale sionista. La vita in Palestina non è facile quando i giovani vi arrivano nella primavera del 1939: il clima troppo torrido per chi giunge dall’Italia, la scelta difficile di andare a vivere in Kibbutz, l’ostilità araba, il terrorismo della destra ebraica avrebbero potuto fiaccare uno spirito meno determinato ma Nello è convinto che “Siamo venuti alla terra d’Israele per costruire ed essere costruiti, Eretz Israel deve essere qualcosa di più di una semplice sede nazionale”. Enzo, uno “scavezzacollo”, pieno di energia e vitalità, appassionato della montagna è la guida e il riferimento della famiglia anche nei momenti più complessi: “come quando il pericolo della persecuzione antiebraica era al massimo”, oppure quando da partigiano cercava rifugi sicuri per i genitori. In particolare, nel capitolo dedicato alla “Resistenza” Enzo ci dà contezza delle azioni di disturbo messe in campo dal gruppo di partigiani di cui fa parte per contrastare le violenze dei fascisti e dei nazisti, come aver fatto saltare il ponte sul Nera in Valnerina e aver partecipato alla liberazione di Camerino. Tuttavia, il racconto di Enzo è scarno e il suo sguardo si rivolge al passato per brevi accenni o pochi aneddoti. Vittorio, principale voce narrante di questo percorso di memorie, colto, esploratore di vie alpinistiche, si laurea in medicina in tempi difficili e per il suo carattere generoso è amato e rispettato dai pazienti. Con l’inizio delle persecuzioni razziali si rifugia sotto falso nome all’Ospedale Fatebenefratelli di Roma dove svolge la professione con dedizione e benchè risulti barelliere si prende cura dei malati come medico a tempo pieno. Intense sono le pagine in cui Vittorio racconta del rastrellamento del ghetto di Roma il 16 ottobre e di come si sia prodigato con l’aiuto del professor Borromeo – cui verrà conferito il titolo di Giusto fra le Nazioni – per nascondere gli ebrei che cercavano protezione nell’ospedale. Per evitare i sospetti delle autorità tedesche Borromeo ebbe addirittura l’idea di inventare una epidemia estremamente contagiosa che costringeva i malati alla quarantena.

L’ultima della famiglia Sacerdoti è Cesarina nata a Modena nel 1917, suocera dell’autore, “quasi madre”. “Forse la più fragile e introversa dei quattro fratelli“ scrive Cavallarin. Come gli altri però riesce a trovare anche nei momenti più drammatici la capacità di sorridere e di guardare alla vita con un pizzico di umorismo. Non lamentarsi, cercare la soluzione migliore, adattarsi, ricominciare, andare avanti sono sempre stati i punti di forza che hanno permesso a tanti ebrei di sopravvivere anche al nazi-fascismo. La “voce” di Cesarina si inserisce nel racconto fra quelle di Vittorio, di Enzo o di Sara e apprendiamo della sua ribellione alle regole assurde imposte dalle leggi razziali all’Università dove si era iscritta a lettere, del suo matrimonio con Elio Ottolenghi nel settembre 1942, celebrato in fretta e in un clima di paura perché davanti alla sinagoga erano apparse scritte antisemite, dei bombardamenti su Milano e della conseguente decisione di sfollare sistemandosi sul lago Maggiore a Arizzano. Dopo i rastrellamenti a Bevano, ad Arona e gli eccidi di metà settembre 1943 a Stresa e Meina, a due passi da Arizzano, Cesarina e Elio si organizzano per passare in Svizzera anche se poi per vari motivi decidono di rinunciare a quel progetto. “Noi siamo rimasti lì. Come abbiamo fatto a salvarci? Come mai nessuno ha fatto la spia?” A volte anche la fortuna si insinua nel destino delle persone. Fortuna che non ha assistito invece gli zii Evelina e Edoardo Bigiavi: rifugiati nel pisano a Montevaso furono traditi da un delatore, deportati a Fossoli partirono, insieme ad altri ebrei bolognesi che si erano rifugiati in quel paesino, con il trasporto del 16 maggio 1944 da Carpi per Auschwitz.

La gioia per la Liberazione non può nascondere il dolore per chi è rimasto vittima delle persecuzioni nazi-fasciste, per le umiliazioni e le vessazioni subite e anche se il desiderio di ricostruire le proprie vite accende gli animi di una forza e di una determinazione nuove Vittorio ci ricorda che: “Noi usciamo da un’esperienza molto amara, molto triste, nera. L’abbiamo sopportata, l’abbiamo superata. Quindi vuol dire che abbiamo dovuto esercitare una forte volontà di conservazione della nostra identità. Vorrei dire che non bisogna mai perdere la volontà di reagire, bisogna sempre perseguire in quella che è la propria identità”.

Il libro di Marco Cavallarin vuol essere un omaggio a persone che, anche nelle situazioni più avverse, hanno agito con rettitudine, dignità e forza morale divenendo un esempio prezioso per figli e nipoti. Ci sono storie - “La famiglia di Piazza Stamira” è fra queste - il cui racconto non dovrebbe mai esaurirsi. “Per il potere che hanno di scavare nella memoria e fissare punti cardinali capaci di resistere al tempo”.


Giorgia Greco

takinut@gmail.com

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