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Informazione Corretta Rassegna Stampa
08.02.2021 IC7 - il commento di Marco Paganoni: Il glorioso Big Ben palestinese
Dal 1° al 6 febbraio 2021

Testata: Informazione Corretta
Data: 08 febbraio 2021
Pagina: 1
Autore: Marco Paganoni
Titolo: «IC7 - il commento di Marco Paganoni: Il glorioso Big Ben palestinese»
IC7 - il commento di Marco Paganoni
Dal 1° al 6 febbraio 2021

Il glorioso Big Ben palestinese

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Gerusalemme, la Porta di Giaffa

Ogni tanto qualcuno se ne esce con una sesquipedale baggianata. Poi qualcun altro, anziché sbellicarsi e buttarla nel cestino, la piglia per buona e inizia a farla circolare. A quel punto – l’esperienza ce l’ha insegnato – è indispensabile che si faccia avanti una persona di buona volontà che prenda sul serio la cretinata e si faccia carico di smontarla pezzo dopo pezzo per cercare di arginarne la diffusione contagiosa. Non stiamo parlando del negazionismo della Shoà. Quello è un delirio orribilmente serio, e non si sarà mai abbastanza grati alla lezione di metodo, autorevolezza e carattere che diede Pierre Vidal Naquet quando, già nei primi anni ‘80, con il saggio Eichmann di carta demolì le teorie di quelli che giustamente definiva “assassini della memoria”. Pensiamo più semplicemente a stramberie sul genere “terrapiattisti”. O se si preferisce, a coloro che negano sia mai avvenuto lo sbarco di esseri umani sulla Luna. Anche qui, si deve ringraziare l’impegno con cui un valente divulgatore come Adrian Fartade si è preso la briga di confutare questa asineria punto per punto nella serie di video intitolata Moon 69.

E veniamo a un altro caso altrettanto bizzarro, ma forse – come i precedenti – meno innocuo e innocente di quanto possa sembrare. Fatah, il movimento politico capeggiato da Abu Mazen che governa Olp e Autorità Palestinese, si appresta ad avanzare una nuova rivendicazione. Vuole che Londra restituisca il Big Ben, il famoso orologio della torre di Westminster, ai suoi legittimi proprietari: i palestinesi. Sul serio. Poco più di un anno fa la testata Fatah News, sito web ufficiale del Movimento di Liberazione Nazionale Palestinese in Egitto, ha postato un articolo intitolato “L’Orologio rubato a Gerusalemme" (https://en.fatehnews.org/2019/09/jerusalem-stolen-clock/) in cui si asserisce: “L’orologio che adornava la Porta di Hebron [di Giaffa], e la cui campana risuonava a Gerusalemme, oggi è nascosto a Londra”. Narra dunque l’articolo che “ci vollero sette anni per erigere la torre con orologio della Porta di Hebron, durante il periodo ottomano, completata nel 1909”. Ma una decina d’anni dopo, durante il periodo britannico, la torre venne demolita su ordine dei militari inglesi nonostante la “fiera resistenza” degli abitanti. Gli inglesi, prosegue la narrazione di Fatah, "dapprima spostarono l'orologio su una nuova torre di fronte al municipio di Gerusalemme, per poi trasferirlo al British Museum di Londra dove infine è diventato la famosa icona britannica, il Big Ben”. Consumando, come ognuno può vedere, l’ennesimo inescusabile furto storico a danno dei palestinesi.

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Ed è qui che deve intervenire la persona di buona volontà, in questo caso il giornalista investigativo americano Daniel Greenfield. Il quale non si limita a segnalare il bislacco scoop di Fatah, ma spiega come andarono le cose. Gli ottomani erano ossessionati dalle torri a orologio. Ma non le avevano inventate loro: le avevano importate dall'Europa. L'ultimo sultano, Abdul Hamid II, eresse dappertutto torri a orologio per mostrare quanto fosse moderno l’impero ottomano. La sua mania per le torri a orologio era alimentata dagli alleati tedeschi. Nel 1901 l'imperatore Guglielmo II consegnò a Hamid un stock di orologi da mettere sulle sue torri, e gli ottomani ne costruirono alcune anche in Terra d’Israele. Uno di questi orologi finì sopra la Porta di Giaffa di Gerusalemme, quella che i turchi avevano fatto tagliare pochi anni prima affinché il Kaiser in visita potesse agevolmente entrare nella città vecchia con il suo sfarzoso corteo. Gli inglesi, subentrati a turchi e tedeschi, decisero di sbarazzarsi di quella torre costruita in calcare bianco, che ritenevano ben poco mediorientale: non demolirono un fulgido esempio di architettura islamica, precisa Greenfield, ma una mediocre imitazione dell'architettura europea che i critici dell'epoca chiamavano "quella maledetta torre tedesca". Tanto bastò perché, anni dopo, iniziasse a circolare il mito dell’orologio “palestinese” – nelle versioni più prudenti, soltanto il meccanismo interno – razziato dagli inglesi per montarlo sulla torre del Big Ben. La quale torre, tuttavia – dettaglio non irrilevante – era stata eretta nel 1859, vale a dire mezzo secolo prima che venisse costruita la torre a orologio di Gerusalemme. Per cui il Big Ben era già là, sulle rive del Tamigi, sessant’anni anni prima che la torre di Gerusalemme venisse smontata e il suo orologio “palestinese” (in realtà, turco-tedesco) proditoriamente trafugato.

Per inciso, i meccanismi dell'orologio, progettati nel 1856 da Edmund Beckett Denison e George Biddell Airy, fecero risuonare per la prima volta a Londra la famosa campana il 31 maggio 1859. Quei meccanismi erano, per l’epoca, estremamente sofisticati. Ed è appena il caso di notare che far funzionare un orologio di 7 metri di diametro e una campana di 13 tonnellate a 96 metri di altezza era cosa assai diversa che far girare un modesto orologio sulla torre ottomana di 40 metri, demolita dagli inglesi.

Dunque, come è possibile sostenere che un orologio costruito nel 1856 e in funzione a Londra dal 1859 sia l’orologio “palestinese” depredato dagli inglesi a Gerusalemme sessant’anni dopo? Secca la risposta di Greenfield: il mito dell’orologio palestinese è come l’intero mito della Palestina. Quando sei pronto a credere che la Gerusalemme di Salomone e di Gesù era palestinese, che gli arabi palestinesi sono il vero popolo indigeno originario per il solo fatto che usano il nome di uno scomparso popolo indoeuropeo ripristinato dagli occupanti romani, e che l’invasione di un popolo ebraico alieno ha defraudato i palestinesi della loro indipendenza, allora puoi anche credere che un glorioso orologio da torre “palestinese” è stato trafugato dagli inglesi e oggi viene spacciato per il Big Ben di Londra. “Non esiste un popolo palestinese espropriato dagli ebrei più di quanto il Big Ben sia un orologio estorto ai palestinesi – conclude Greenfield – Entrambe sono fake history, fabbricata sulla base di rancori e narrazioni sconclusionate di cui è stato dimenticato ogni elemento di contesto, mentre rimane reale e concreto l’odio che le ha generate. Quando tutta la tua storia è basata su un falso, puoi credere a tutto”. E come si diceva, forse tutto questo non è né innocuo né innocente come potrebbe sembrare.


Marco Paganoni, direttore di Israele.net


takinut@gmail.com

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