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Il ritorno del califfato: aspirazioni e realtà passate e future della lotta per il potere nel mondo islamico
Il 29 giugno 2014 l’annuncio del “ritorno del califfato” da parte di Ibrahim al-Badri, autoproclamatosi califfo con il nome di Abu Bakr al-Husayni al-Qurashi al-Baghdadi, ha riesumato, per la prima volta dalla fine dell’Impero ottomano, la presenza di un’entità statuale, che si autodefinisce Stato Islamico, su una superficie pari a quella della Gran Bretagna, autosufficiente economicamente e radicata nel territorio. Nonostante dal 2010 Ibrahim al-Badri avesse ricoperto il ruolo di leader di Al Qaeda in Iraq, in quanto secondo successore di Abu Mus’ab al-Zarqawi, nonostante nell’aprile 2013 ne avesse modificato la denominazione in Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS), vista l’espansione nel territorio siriano e considerata l’ambizione di volerne allargare l’area di influenza a tutto il Levante (al-Shamm) ovverosia a Siria, Giordania, Palestina, Libano, Israele e Cipro, ebbene nonostante tutto ciò il messaggio del 29 giugno rappresenta un vero spartiacque. In questa occasione Al-Baghdadi ha annunciato la nuova denominazione “Stato Islamico” (IS) che dal quel momento ha perso la delimitazione geografica per proporsi come Stato a connotazione e aspirazione universale. 1. Il califfato motivo di scissioni nel mondo islamico sin dalle origini
Abu Bakr al-Baghdadi, autoproclamandosi califfo/imam, ha mostrato da un lato la volontà di recuperare i fasti dei primordi dell’islam, dall’altro ha riportato a galla le problematiche e le scissioni che hanno agitato il mondo islamico sin dai primi secoli dell’egira . Khalifa, letteralmente “colui che viene dopo”, è il successore di Maometto alla morte di quest’ultimo nel 632. Non avendo un erede maschio, non avendo nominato un successore e non avendo indicato una modalità precisa con cui sceglierlo o eleggerlo, la dipartita di Maometto lasciò quindi la comunità islamica nella necessità impellente di trovare un successore carismatico, sia dal punto di vista spirituale che politico . La conferma del fatto che non vi fosse né una regola stabilita né una indicazione proveniente dal testo rivelato tramite Maometto nelle ricorrenze del termine khalifa nel Corano . Ebbene il termine ricorre due volte al singolare. La prima volta è riferito ad Adamo che viene descritto come “Vicario” di Allah sulla terra in quanto Inviato divino: “E quando il tuo Signore disse agli Angeli: “Ecco, io porrò sulla terra un Mio Vicario”, essi risposero: “Vuoi metter sulla terra chi vi porterà la corruzione e spargerà il sangue, mentre noi cantiamo le Tue lodi ed esaltiamo la Tua santità?” Ma Egli disse: 2Io so ciò che voi non sapete” (II, 30) La seconda volta è invece riferito a Davide, nell’islam re e profeta: “O David, Noi t’abbiamo costituito Vicario sulla terra, giudica dunque fra gli uomini secondo verità e non seguir la passione che ti travierebbe dalla Via di Dio, e quelli che deviano dalla Via di Dio avranno castigo violento, per aver dimenticato il giorno del Conto” (XXXVIII, 26) Il termine al plurale ricorre sette volte nel testo coranico con il prevalente significato di “successori” ed “eredi” senza quindi alcun riferimento al campo semantico relativo al potere o alla autorità. Con la morte di Maometto nel 632 il termine sarebbe stato utilizzato a indicare i successori di quest’ultimo alla guida della comunità. Il califfato storico, che ebbe inizio con Abu Bakr, avrebbe ben presto assistito all’assassinio di tre dei primi califfi Ben Guidati - Omar, ‘Uthman e ‘Ali - e alla scissione, per mere ragioni di potere, tra sunniti e sciiti. D’altronde anche con l’avvento delle due dinastie, quella omayyade e quella abbaside, non vennero a meno i problemi connessi alla gestione e alla trasmissione del potere. Basti pensare che il termine che oggi in arabo indica lo Stato (dawla) significa letteralmente “capovolgimento” e fu utilizzato per la prima volta a indicare il capovolgimento al vertice a opera degli abbasidi a scapito degli omayyadi. Come si è già avuto modo di accennare, alla morte di Maometto costui non lasciò né un figlio maschio che avrebbe potuto esserne l’erede naturale, né aveva nominato il proprio successore. A tutto questo si aggiungeva il fatto che non esisteva all’epoca una norma o una tradizione che stabilisse la modalità di successione al potere. Al venire a meno dell’Inviato e della guida militare e politica si aggiunse quindi il rischio di un vuoto di potere cui la comunità islamica dovette sopperire nel più breve tempo possibile. La comunità islamica, rappresentata all’epoca dal gruppo ristretto dei Compagni di Maometto, si trovò a dovere attuare una scelta tra quattro principali gruppi di pretendenti: la famiglia del Profeta, rappresentata da ‘Ali cugino e genero di Maometto; gli Emigrati (al-muhajirun) ovvero i primi convertiti all’islam che credevano per questa ragione di meritare la successione e che erano rappresentati da Abu Bakr e Omar; gli Ausiliari (al-ansar) che, ricordando il ruolo svolto a Medina quando Maometto migrò dalla Mecca, aspiravano a loro volta al califfato pur non avendo un pretendente da avanzare; infine i ricchi meccani di recente conversione, tra i quali spiccavano Abu Sufyan e ‘Uthman. Al fine di evitare confusione e sedizione, la tradizione narra che Omar scelse rapidamente Abu Bakr come primo successore del Profeta dell’islam. Abu Bakr, noto per la propria fedeltà e per la propria saggezza, rappresentava l’uomo più adatto al delicato passaggio di potere. Il primo califfo fu scelto in seno alla tribù dei Coreisciti (in arabo Quraysh), ovvero la tribù di Maometto, e tra i Compagni di quest’ultimo. Inoltre dopo essere stato scelto, la comunità gli prestò fedeltà attraverso il giuramento (bay’a) confermando la scelta attuata da Omar. Tutto questo divenne da quel momento consuetudine. La tradizione islamica narra che, dopo essere stato nominato, Abu Bakr pronunciò le seguenti parole: “Mi è stata conferita autorità su di voi, ma non sono il migliore tra voi. Se agirò bene, aiutatemi, e se agirò male, correggetemi. La verità consiste nella lealtà mentre la falsità nel tradimento. I deboli tra di voi saranno forti ai miei occhi sino a che garantirò i loro diritti se Allah vuole; i forti tra di voi saranno deboli ai miei occhi sino a che lotterò per ottenere il giusto da loro. Se un popolo si astiene dal combattimento sulla via di Allah, Allah lo colpirà con la disgrazia. […] Obbeditemi sinché obbedirò a Allah e al Suo Inviato e se disobbedisco loro, allora non mi dovrete alcuna obbedienza.” Ne consegue che, benché i califfi si impegnassero a rispettare e a fare rispettare i precetti divini, costoro vantavano prevalentemente un potere politico e militare. Prima di morire, nel 634, Abu Bakr nominò Omar proprio successore e per la seconda volta la comunità di Medina ratificò la scelta. Anche Omar, prima di essere assassinato nel 644, stabilì che il proprio successore sarebbe stato scelto tra una rosa di candidati, tra cui emergevano i nomi di ‘Uthman e ‘Ali. La scelta ricadde su ‘Uthman che ricevette il giuramento di fedeltà. Nonostante i primi tre califfi Ben Guidati fossero stati nominati con tre modalità diverse, presentavano alcuni denominatori comuni: tutti erano stati approvati dalla comunità e avevano garantito fedeltà agli insegnamenti divini e al paradigma posto da Maometto. Il califfato di ‘Uthman avrebbe purtroppo lasciato un segno in generale nella storia dell’islam e in particolare nella storia dell’istituzione del califfato. Quando nel 656 ‘Uthman venne assassinato in moschea, la comunità – che aveva cercato di restare il più possibile coesa dopo la morte di Maometto – dovette affrontare la difficile questione dei diritti e doveri del califfo: nel caso il califfo venga meno al proprio dovere è lecito allontanarlo dal potere e/o ucciderlo? Inoltre, a prescindere dal precedente interrogativo, chi sarebbe dovuto succedere a ‘Uthman che non aveva lasciato indicazione alcuna? La scelta ricadde su ‘Ali, ma l’appoggio da lui ottenuto da parte dei nemici del proprio predecessore trasformò il suo regno nell’”evento dalla conseguenze più gravi in tutta la storia islamica” . La comunità islamica si divise in due schieramenti: il primo a favore di ‘Ali, il secondo a favore di Mu’awiya, cugino di ‘Uthman e governatore della Siria. Lo scontro militare tra le due fazioni e il successivo arbitrato portarono alla principale spaccatura, di natura politica che sarebbe diventata anche religiosa, in seno alla comunità islamica, quella tra sunniti e sciiti. Da quel momento nel mondo islamico non ci sarebbe stata più unanimità sull’istituzione del califfato e, in modo particolare, sulle caratteristiche del califfo. Di conseguenza tutta la storia del califfato si connota per i conflitti di potere risolti spesso tramite guerre intestine, al punto che attorno all’anno Mille ben tre califfi si contestavano il potere: quello abbaside a Baghdad, quello fatimide al Cairo e quello omayyade in Andalusia . Il titolo di califfo mostrò quindi ben presto il proprio distacco dalla realtà di un mondo, quello islamico, difficilmente riconducibile a un unico sovrano o a un unico Stato. Nel 1925, un anno dopo l’abolizione dell’istituzione del califfato da parte di Kemal Atatürk, l’intellettuale egiziano ‘Ali ‘Abd al-Raziq affermava esplicitamente, basandosi sulla tradizione islamica stessa, che l’islam era una fede, non uno Stato, e che la rivelazione coranica e l’esperienza di Maometto non giustificavano né l’interdipendenza tra islam e politica, che da sempre aveva avuto conseguenze nefaste sulla “comunità dei Credenti”, né tantomeno l’istituzione stessa del califfato. ‘Abd al-Raziq dichiarò esplicitamente che il califfato, in quanto istituzione politica, è un nonsenso storico: “La realtà, confermata dalla razionalità e testimoniata dalla storia – antica e moderna – è che i principi di Allah e le caratteristiche della sua gloriosa religione non dipendono da quel governo che i giuristi chiamano califfato […] Quindi non abbiamo bisogno di siffatto califfato né per le nostre necessità terrene né religiose.” L’importanza del ragionamento del pensatore egiziano risiede nel fatto che l’autore ha come primaria fonte di riferimento la tradizione islamica stessa: “Se vi fosse una sola prova nel Corano, questi studiosi non avrebbero esitato a riferirla e a lodarla. Oppure qualora vi fosse stata nel Libro Sacro qualcosa che assomigliasse a una prova a favore della necessità dell’imamato, qualcuno tra i sostenitori del califfato avrebbe cercato di trasformare un tale accenno in una prova. Tuttavia, gli studiosi onesti non sono riusciti a trovare una prova a sostegno della loro opinione nel libro divino. Cosicché hanno abbandonato il Libro e sono andati a cercare una prova nel consenso degli studiosi a volte, e nel ragionamento analogico altre volte.” La conclusione di ‘Abd al-Raziq è netta: “Di fatto, quell’istituzione che i musulmani hanno voluto chiamare califfato non ha alcuna relazione con la religione, al pari degli onori, dell’autorità, dell’attrazione e dell’intimidazione che la circondano. Il califfato non è un’azione raccomandata dalla religione […] si tratta di mere azioni politiche che non interessano alla religione, poiché la religione non vuole né sapere né ignorare e non può né raccomandare né rifiutare.” Nel proprio saggio ‘Abd al-Raziq criticò altresì il riformatore islamico Rashid Rida che nel 1922 aveva proposto un’idea nuova del califfato. Ne Il califfato e l’imamato supremo Rida, il cui pensiero avrebbe influenzato sia Hasan al-Banna sia Sayyid Qutb, rispettivamente il fondatore del movimento e l’ideologo dei Fratelli musulmani, consapevole degli ostacoli che si frapponevano al mantenimento in vita di un vero califfato islamico aveva proposto un califfato di necessità, temporaneo, che potesse preservare la solidarietà islamica. Tuttavia, nonostante l’abolizione ufficiale dell’istituzione del califfato e nonostante il saggio di ‘Abd al-Raziq, il sogno del califfato sarebbe ben presto diventato il fine ultimo del movimento dei Fratelli musulmani, fondato in Egitto nel 1928. Nel 1936 Hasan al-Banna affermava che una delle condizioni per ritornare a un’autentica società islamica era “rinforzare i legami tra tutti i paesi islamici, in particolare i paesi arabi, al fine di predisporre una riflessione seria e pratica sulla questione del califfato scomparso” . 2. Il nuovo califfato torna a dividere i musulmani Le reazioni islamiche al discorso del 29 giugno di Abu Bakr al-Baghdadi confermano che l’istituzione del califfato rappresenta ancora oggi il mito, il “sogno tentatore” cui aspirano tutte le organizzazioni appartenenti alla galassia dell’estremismo islamico. Ebbene, la proclamazione del primo “califfato” dell’epoca contemporanea non può che destare profondi motivi di preoccupazione, sia a livello regionale sia a livello internazionale, poiché si pone da un lato come provocazione e imposizione nei confronti de egli altri pretendenti al “califfato”, a partire da Al Qaeda, che stanno già cercando e trovando nuovi assetti ed equilibri per contrastare e accerchiare l’IS e riaffermare ed esercitare il proprio potere in altre aree del mondo islamico e dell’occidente - come dimostra l’appello lanciato da Ayman al-Zawahiri lo scorso settembre ai jihadisti per “salvare il jihad” dall’IS - dall’altro si pone come luogo fisico di migrazione e di addestramento di combattenti provenienti anche dall’Occidente. L’appello di al-Baghdadi è inequivocabile: “O musulmani in ogni dove, buone notizie per voi e aspettate il bene. Levate il capo, poiché oggi – per concessione di Dio – avete uno Stato e un califfato, che vi restituirà dignità, forza, diritti e potere. E’ uno Stato in cui arabi e non arabi, il bianco e il nero, l’orientale e l’occidentale sono tutti fratelli. È un califfato che ha riunito a sé il caucasico, l’indiano, il cinese, il levantino, l’iracheno, lo yemenita, l’egiziano, il maghrebino, l’americano, il francese, il tedesco e l’australiano. Allah ha ricongiunto i loro cuori e loro sono diventati fratelli per merito della Sua grazia, si amano a vicenda per amore di Dio, sono schierati nella stessa trincea, difendendosi e proteggendosi a vicenda, e sacrificandosi l’uno per l’altro.. […] Quindi, musulmani, accorrete al vostro Stato. Sì, è il vostro Stato. Accorrete perché la Siria non è per i siriani, e l’Iraq non è per gli iracheni.[…] O musulmani, chiunque sia in grado di compiere l’egira verso lo Stato islamico, lo faccia, perché l’egira verso lo Stato islamico è obbligatoria.” Si tratta di un appello a valenza universale, rivolto a sunniti e sciiti, a occidentali e orientali. D’altronde la scelta stessa del “nome di guerra” dell’autoproclamato califfo era di per sé foriera di siffatta aspirazione. Abu Bakr al-Husayni al-Qurashi al-Baghdadi riassume sia la storia dell’istituzione del califfato sia la proposta a livello globale: Abu Bakr è stato il primo califfo e successore di Maometto; al-Husayni è un riferimento con cui il califfo dello Stato islamico intende rivolgersi al mondo sciita e non solo a quello sunnita; al-Qurashi sottolinea la diretta discendenza dalla tribù cui apparteneva Maometto e all’interno della quale andava scelto il califfo, infine, al-Baghdadi è un richiamo a Baghdad, culla dell’età aurea islamica e capitale dell’Impero abbaside. L’autoproclamazione di al-Baghdadi ha rappresentato il principale motivo di critica da parte del contesto islamico. Non solo Al Qaeda, Jabhat al-Nusra, Hizb al-Tahrir e Hezbollah, ma persino l’università islamica di al-Azhar, seppure con intenti diversi, ne hanno proclamato l’illegalità dal punto di vista sharaitico . Interessante ed eloquente circa le aspirazioni contemporanee al califfato è il comunicato, emesso il 7 luglio dall’Unione internazionale degli studiosi islamici (IUMS) - presieduta da Yusuf al-Qaradawi, teologo di riferimento dei Fratelli musulmani e presidente del Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca (ECFR) con sede a Dublino cui fa riferimento l’italiana UCOII - che esordiva come segue: “L’Unione internazionale degli studiosi islamici ha seguito le affermazioni provenienti da un’organizzazione denominata “lo Stato islamico” e che è nata in Iraq dall’unione con altre forze irachene per la difesa dei sunniti in Iraq e dei perseguitati in questa regione, ci rallegriamo di loro e accogliamo questa unione di intenti per affrontare l’oppressione e la tirannide sulla terra, ma […] è stato annunciato il califfato islamico.” La reazione della IUMS non è dovuta, come potrebbe sembrare, al fatto che i Fratelli musulmani non credano nell’istituzione del califfato, al contrario, il movimento fondato da Hasan al-Banna ne esige e ne reclama il monopolio assoluto: “Tutti noi sogniamo il califfato islamico – si afferma nel documento del 7 luglio 2014 -seguendo l’esempio del Profeta e ci auguriamo nel profondo del cuore di instaurarlo al più presto, tuttavia l’islam ci ha insegnato e la scuola della vita ci ha insegnato che i grandi progetti richiedono grande riflessione, una profonda preparazione, un’unione di forze […] Dobbiamo instaurare una nazione governata dalla sharia […] il califfato dal punto di vista giuridico e legale significa nomina, poiché il califfo – dal punto di vista linguistico e legale – è il rappresentante della umma, colui che ne è responsabile attraverso il giuramento di fedeltà che ne ha confermato l’autorità […] quindi annunciare il califfato non è sufficiente per instaurare il califfato.” Il comunicato della IUMS ribadisce e conferma quindi non solo che la Fratellanza ha come obiettivo ultimo il califfato, ma che rifiuta – al pari di tutte le realtà legate all’estremismo islamico - che questa istituzione venga imposta dall’alto. 3. Il califfato dell’IS sfida il mondo islamico e l’Occidente L’IS in Iraq e in Siria vanta quindi un territorio ricco di risorse e un’economia alimentata da petrolio e riscatti. Al Qaeda, dalla quale al-Zawahiri - nel febbraio 2014 - ha ufficialmente allontanato Abu Bakr al-Baghdadi, esercita la propria influenza ideologica su un territorio virtuale, su una galassia globale di combattenti e un insieme di organizzazioni affiliate. L’IS può fare affidamento su organizzazioni jihadiste a livello internazionale e gruppi tribali locali che hanno prestato “giuramento di fedeltà” (bay’a) e su singoli foreign fighters che combattono a fronte di uno stipendio. Se Al Qaeda era giunta a identificarsi totalmente con il leader Osama Bin Laden - oggi sostituito dal meno carismatico al-Zawahiri - l’IS pur avendo un leader/califfo sembra contare maggiormente sull’appartenenza al gruppo, alla jama’a, su quella che lo storico arabo del XIV secolo Ibn Khaldun chiamava la ‘asabiyya, l’ésprit de corps. Il sedicente califfo ha adottato migliori tecniche comunicative con una rivista patinata DABIQ che ha di gran lunga superato la qualità delle riviste di Al Qaeda, quale ad esempio Sawt al-Jihad. La sfida lanciata dall’IS ha quindi destabilizzato gli equilibri mondiali poiché ha innescato, o meglio ha riportato alla superficie, la lotta intestina al mondo jihadista, in particolare, e all’estremismo islamico, in generale, una lotta per il potere/califfato e per l’affermazione della propria supremazia che potrà avere scenari plurimi, ma che vede e vedrà l’Occidente coinvolto in prima linea sia nell’azione di contrasto militare e d’intelligence sia come obiettivo sensibile e più facilmente penetrabile per la presenza di terroristi islamici autoctoni o residenti. http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90 |
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