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Informazione Corretta Rassegna Stampa
18.03.2010 La sinagoga di Rambam al Cairo: un'occasione perduta
Analisi di Michelle Mazel

Testata: Informazione Corretta
Data: 18 marzo 2010
Pagina: 1
Autore: Michelle Mazel
Titolo: «La sinagoga di Rambam al Cairo: un'occasione perduta»

" La sinagoga di Rambam al Cairo: un'occasione perduta "
analisi di Michelle Mazel
(
traduzione di Emanuel Segre Amar )

L'Egitto ed Israele, ieri nemici ed oggi uniti da una fragile pace, hanno
perso, all'inizio di questo mese di marzo, l'occasione per un incontro con
la storia.
E' da quattromila anni che le relazioni tra questi due paesi e
tra questi due popoli vicini sono difficili; e tuttavia alcune grandi figure
sono riuscite ad emergere e ad essere riverite dagli uni come dagli altri.
Mosè è considerato un egiziano sulle sponde del Nilo, ed il suo viso si
trova proprio di fronte a quello di Giuseppe nel museo delle cere di
Helwan.
Lo stesso vale per Mosè Ben Maimonide, il Rambam, grande filosofo
che fu anche il medico del Saladino. Dopo la sua morte Ebrei ed Arabi hanno
attribuito virtù miracolose alla sua Yeshiva, la scuola nella quale
egli parlava ai suoi allievi. Questo piccolo edificio nel cuore di quello
che fu il quartiere ebraico del Cairo, l'Haret el Yehud, attirava malati
provenienti da tutte le comunità in cerca di guarigione.
Ma gli ebrei furono cacciati da questo quartiere come dal resto dell'Egitto, e la
venerabile Yeshiva ha sofferto le ingiurie del tempo e la risalita dell'acqua
da una falda del sottosuolo.
La sinagoga che era lì di fianco è crollata a causa di un terremoto. Solo pochi visitatori erano autorizzati a venire per  sostare in raccoglimento in questo posto. Ad un certo punto il ministro egiziano della cultura, lo stesso che cercava di diventare il direttore dell'Unesco, ha annunciato la propria volontà di restaurare alcuni monumenti ebraici.
Dapprima fu la volta della grande sinagoga del Cairo, Shaar
Hashamaim, il cui centesimo anniversario venne celebrato con grande fasto
alla fine del 2007, e poi fu quella della Yeshiva e di Rambam. Vi fu un
ammirevole lavoro di ricostruzione che diede risultati spettacolari, e
tutto era pronto per la riapertura di questo luogo pieno di memorie. La
presidentessa della piccola, piccolissima comunità ebraica del Cairo iniziò
a spedire gli inviti, e le risposte arrivarono, positive, da ogni parte:
dalla Francia, dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti risposero gli ebrei che
erano stati obbligati ad abbandonare l'Egitto quasi mezzo secolo prima,
portando con sé, come unico bene, i propri vestiti; promisero che sarebbero
venuti.
Anche un gruppo di rabbini appartenenti al movimento Chabad, che
fa del Rambam il nucleo del proprio insegnamento religioso, si decise a
mettersi in viaggio. Ma poi, improvviso e brutale, giunse
l'annuncio del governo egiziano: gli ebrei devono festeggiare da soli, con
discrezione; gli egiziani avrebbero invece effettuato l'inaugurazione, in
pompa magna, una settimana dopo, senza la presenza degli ebrei. Vennero
fissate due diverse date: domenica 7 marzo per gli ebrei, e la domenica
successiva per gli egiziani...
Viene da chiedersi chi, all'interno del governo egiziano, possa aver preso una decisione così incredibile e choccante.
Quando giunse il gran giorno, piccoli gruppi di persone, non più giovanissime, si incamminarono verso la sinagoga. In questo quartiere povero, nel quale non
vi sono strade asfaltate, le autorità avevano pensato di asfaltare, il
giorno prima, un'unica stradina, la sola per la quale i visitatori erano
autorizzati a transitare.
I residenti del quartiere erano stati pregati di restare in casa, con porte e finestre chiuse, per evitare ogni possibile  contatto.
Ad ogni incrocio erano stati sistemati dei tendoni di
tessuto screziato per impedire il passaggio. Inutilmente dei giornalisti
egiziani e stranieri tentarono di entrare nel tempio; tutti vennero respinti
con veemenza dalle forze dell'ordine, ben più numerose degli stessi partecipanti.
Gli ordini erano ben precisi: non si doveva dare alcuna pubblicità
all'avvenimento. Vent'anni or sono, forse anche solo dieci, la cosa sarebbe
stata possibile; ma nell'epoca del blackberry e dei telefoni intelligenti
una simile battaglia era persa fin dall'inizio, tanto più che i rabbini
erano arrivati con la televisione che doveva riprendere quella che, per
loro, era un'occasione storica.
La sera stessa si potevano vedere sulla CNN e
sulla seconda rete della televisione israeliana le immagini di una cerimonia
semplice ma, al tempo stesso, molto commovente, alla presenza
dell'ambasciatore israeliano Itzhak Lebanon e di Margaret Scobey,
ambasciatrice degli Stati Uniti; ne ha parlato, il giorno successivo, la
stampa egiziana e, con particolare enfasi, quella dell'opposizione. Vi era
chi protestava per l'uso di denaro pubblico per il restauro di siti ebraici
e chi, in numero non minore, si indignava per la presenza dell'ambasciatore
di Israele in un luogo musulmano. Ma tutti si misero poi d'accordo nel
ricordare le cerimonie previste per la settimana successiva.

Dopo alcuni giorni le autorità egiziane si resero conto di quanto simili
cerimonie, senza gli ebrei, sarebbero state grottesche, ma si chiesero come
annullarle senza perdere la faccia. La risposta venne trovata nella
decisione di criticare Israele e gli ebrei.
Fu dunque diramato un comunicato
ufficiale che spiegava che la celebrazione prevista non avrebbe avuto luogo,
e questo veniva giustificato con due motivazioni distinte. Da un lato non
era possibile festeggiare il restauro di una sinagoga nel momento stesso in
cui gli israeliani minacciavano la libertà di culto dei musulmani nei
territori occupati. Dall'altro, lo spettacolo di venerabili rabbini che
bevevano alcool durante la cerimonia aveva turbato profondamente gli
egiziani. 
Circa il primo argomento, trattandosi di un'inaugurazione
riservata agli egiziani, senza alcuna presenza ebraica o israeliana, appare
difficile vedere il nesso. Per il secondo viene da chiedersi se gli ebrei,
all'interno del loro tempio, non hanno il diritto di comportarsi come pare
loro.
Il restauro di questi due santuari così carichi di significati per il popolo
ebraico avrebbe potuto, e forse dovuto, essere l'occasione per un incontro
fraterno col popolo egiziano, nel cui seno visse Moise Maimonide. Ma il
regime non lo ha voluto: è davvero un gran peccato.

Michelle Mazel ha condiviso con il marito Zvi l'ambasciata al Cairo


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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