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Il Sole 24 Ore Rassegna Stampa
05.12.2021 Noemi Di Segni: 'Israeliana e italiana, ecco le mie due identità'
Analisi/intervista di Carlo Marroni

Testata: Il Sole 24 Ore
Data: 05 dicembre 2021
Pagina: 10
Autore: Carlo Marroni
Titolo: «'Tutelare la memoria della Shoah è un interesse pubblico'»
Riprendiamo dal SOLE24ORE di oggi, 05/12/2021, a pag.10, l'articolo "Tutelare la memoria della Shoah è un interesse pubblico" di Carlo Marroni.

Memoria, Ucei:
Noemi Di Segni

Noemi, un nome biblico. «Il racconto di Noemi si legge nella festività di Shavuot. Ma anche un nome legato a filo doppio con la storia della mia famiglia: una sorella di mia nonna, con lo stesso nome, durante la guerra riuscì a salvarsi dalla deportazione verso i campi di sterminio, prendendo l'ultimo battello in partenza perla Francia». Famiglia e Tradizione, le pietre angolari dell'ebraismo, ma anche di ogni società. Noemi Di Segni è a capo dell'ebraismo italiano. Eletta nei 2016, nei giorni scorsi è stata confermata per un secondo mandato alla presidenza dell'Ucei, l'Unione delle comunità ebraiche italiane, l'organizzazione "laica" di un popolo di 25mila italiani, sparsi in 21 comunità per il Paese, un ebraismo ortodosso sui generis antico di 2mila anni, talvolta poco conosciuto. Una giovane donna - 52 anni - due lauree, professionista impegnata nell'ordine nazionale dei commercialisti, madre di tre figli, doppia nazionalità, italiana e israeliana. «Sono nata in Israele, ci ho vissuto per 20 anni. Ma sono anche profondamente italiana, romana. Due identità forti, per me».

Scuola e memoria - Che cos'è la Shoah?

Cominciamo da qui. Vivere in Israele significa anzitutto fare il servizio militare obbligatorio, per le donne due anni. Non solo: nel suo caso nell'intelligence, un ruolo che richiama un impegno particolare, ma anche molti romanzi... «Il servizio è obbligatorio, ma si vive anche come una scelta, con uno spirito di servizio per il Paese, non siamo pedine. E infatti nella fase del reclutamento si seguono le proprie attitudini. Questo oggi è ancora più marcato di quando l'ho svolto io, lo spirito è quello di assumere risorse umane più che la coscrizione di reclute».

Certo, ma Israele, dalla sua nascita, è in stato di guerra, specie dopo il 1967: «È un esercito strutturato in base a esigenze sempre più professionali e tecniche. Anche unità delicate come l'intelligence hanno un percorso di selezione molto particolare. C'è un dibattito sulle risorse, anche riguardo ai ruoli delle donne. Pensiamo che tempo fa, dopo dei ricorsi, hanno aperto alle donne anche il ruolo dl piloti dei caccia».

La sua esperienza è filata liscia? «Per me è stato un servizio consapevole, e mai, e anche da parte di chi mi ha istruito, mai ho avuto un indottrinamento all'odio del nemico. È stato un ruolo molto scientifico, l'obiettivo è la difesa, questo è chiaro, ma il tono di fondo non è di odio, ma di professionalità».

Ma Israele non è solo servizio militare: «Negli anni 70, quando vi abitavo, il Paese ha avuto una crescita esponenziale, anche la presenza italiana aumentava, dall'Europa arrivavano molte persone, e tutto questo ha rappresentato nel tempo un elemento di grande sviluppo».

Noemi Di Segni da anni vive a metà tra Roma e Gerusalemme - in Israele vivono i figli - e poi di continuo in viaggio per il mondo, un lavoro di raccordo con la rete ebraica mondiale. E in molti Paesi, specie in Europa, si toccano con mano forti rigurgiti di antisemitismo, che il fenomeno di protesta violenta dei No-Vox (o comunque li si voglia chiamare) ha amplificato e messo sotto una nuova dimensione. «È in atto un fenomeno di appropriazione indebita di simboli, di temi, di parole, che appartengono al contesto alla Shoah, con modalità davvero scioccanti. Appropriarsi del dolore altrui crea un'offesa drammatica, dolorosa» dice riferendosi anche a quanto accaduto a Novara nelle scorse settimane quando alcune persone sono sfilate con pettorine che volevano ricordare i prigionieri dei lager nazisti, ma anche più di recente a Roma un grosso cartello riecheggiava l'infame falso documento tristemente conosciuto come i Protocolli dei Savi di Sion, che servì da base dei pogrom zaristi.

Ma questo pone domande: che tipo di odio è questo? «In realtà non riusciamo a incastonare queste manifestazioni in una categoria giuridica precisa, è tutto talmente folle che il legislatore non ha previsto questa tipologia».

La questione di fondo è «come affrontare davvero questo appropriarsi di qualcosa che offende le vittime, i superstiti, un popolo intero, ma anche l'Italia intera. La tutela della memoria è un interesse pubblico. E allora non bastano le parole, servono i fatti, concreti, del legislatore, della magistratura».

Quindi servono interventi normativi specifici per difendere la Memoria e contrastare il riemergere dell'estremismo neofascista, ha detto anche in Parlamento alla Commissione per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all'odio e alla violenza presieduta dalla senatrice a vita Liliana Segre. Le proteste di questi movimenti, il cui negazionismo (sui vaccini) si salda con quello sull'Olocausto, mettono in luce «il connubio che c'è con forze di estrema destra, e non mi sorprende. Si vede in molti Paesi: viene detto che gli ebrei hanno diffuso il virus, compaiono le stelle gialle».

Questo sulle strade. Ma c'è qualcosa di più profondo. «C'è una situazione di under reporting di antisemitismo, le persone spesso evitano di fare denunce, o segnalazioni. II fenomeno è in aumento, e c'è una percentuale non denunciata. Credo che in Italia viviamo un aumento di manifestazione aperta di antisemitismo di estrema destra, chiamiamolo neofascismo o anche neonazismo. Ma accanto a questo ci sono molte persone che vivono la dimensione della nostalgia, così forte che alla fine genera violenza. Una nostalgia che non è solo di natura sentimentale, ma anche progettuale. Il tutto spesso avvolto in un manto di legittimazione sociale. Si dice sempre più spesso che il fascismo in definitiva fa parte della storia, nei giovani tutto questo spesso trova terreno fertile, e i gruppi violenti prosperano».

La sensazione è che ci sia una tolleranza molto pronunciata: «Il contesto legale ha delle maglie molto larghe, guai a "censurare" film, simboli, o libri. Basta fare degli esempi sotto gli occhi di tutti. In molte parti d'Italia, anche nel centro di Roma, si vendono bottiglie con l'immagine di Mussolini odi Hitler. In Germania o Austria non sarebbe neppure lontanamente immaginabile. Ma qua non è un reato. E chi le compra? Chi coltiva questi sentimenti, che, dobbiamo dirlo, producono pericolo. Noi ci dobbiamo svegliare di fronte a questo pericolo».

Talvolta le (legittime) critiche verso la politica di Israele, specie nei confronti dei palestinesi, si sovrappongono a un più generale sentimento anti-ebraico, e allora serve un approccio molto rigoroso nel giudicare gli attacchi. «Dentro l'ebraismo italiano c'è una pluralità di idee, che certamente rispetto. Ma una cosa netta mi sento di dirla: l'impegno e volontà di Israele per raggiungere la pace lo sento come sincero e profondo. Il governo attuale ha più voci, e deve tenere presenti esigenze di popolazioni molto diverse nella realtà del Paese, sono situazione complesse e non c'è una bacchetta magica. Ma va anche detto che non si può rappresentare una realtà come quella israeliana con immagini a effetto, pur drammatiche, non si può dare sui media un'immagine distorta».

Non è distorta certamente l'immagine di Israele nella campagna di vaccinazione anti-Covid, un modello per tutti. «Le autorità sono state rapide ed efficaci, la sanità è capillare, e quindi si è trattato di una strada di grande efficacia, anche se va detto che anche in Italia è andata bene. Ma ogni volta poi è stato deciso di riaprire tutto senza protezioni, spalancando così la strada a nuove ondate. Queste sono state scelte per me inspiegabili, dettate dall'agenda della politica. Mettere vincoli ha un costo che la politica deve essere pronta a pagare, cedere al populismo ha i suoi prezzi».

Nei giorni scorsi la rielezione a larga maggioranza per un altro mandato alla presidenza Ucei - carica ricoperta in anni passati da personalità come Tullia Zevi, Amos Luzzatto, Renzo Gattegna - «un riconoscimento per un intero gruppo di persone con cui ho lavorato per cinque anni».

L'Ucei - «è l'ente di rappresentanza, quindi il raccordo tra la comunità e le istituzioni. Ma l'altro aspetto, forse più importante, è quello di saper trasportare verso la società civile progetti culturali, metodologie di studio, sensibilità sulla memoria, cultura ebraica. Questo è il lavoro più importante. Cercare di essere un ponte verso la società civile e come ebraismo contribuire alla crescita dell'Italia, mantenendo la nostra identità».

Ma il passaggio più importante di questa trasmissione è «il concetto di essere comunità, oltre a famiglia e lavoro poter contare anche su questo cerchio di coesione, un elemento di forza e reciproca protezione, sapere di non essere soli, specie in momento di grande difficoltà come abbiamo passato di recente perla pandemia. Questa è la parte più bella della mia esperienza da trasferire verso l'esterno. Con modelli di organizzazione della vita. Oggi si pensa molto a lavoro e benessere fisico, ma in testa credo ci debba sempre essere il benessere spirituale, o anche la serenità quotidiana».

Questa quindi anche la missione dell'Ucei, «saper trasferire un mondo di valori e portarli in contesti non religiosi. Ucei non è solo chi va a parlare con ministri o sindaci». L'Unione tra l'altro è anche un vero editore, con una solida redazione giornalistica: dam anni pubblica il mensile «Pagine Ebraiche», presente anche su web e sui social. Poi nel mandato di presidenza c'è la sfida di sostenibilità a lungo termine delle comunità in termini finanziari e organizzativi, ma più di questo c'è la sfida Noemi Di Segni Presidente dell'unione delle comunità ebraiche italiane per «la sostenibilità dell'identità ebraica. E allora dobbiamo fare rete nel ricevere e nel trasferire i contenuti che servono a costruire questa identità ».

Che si fonda su elementi ben precisi. Quattro, esattamente: «La cultura italiana ebraica, Israele come luogo dell'animo e della politica, la società italiana e l'Europa. Gli ebrei italiani sono italiani, hanno un forte senso di nazionalità, di appartenenza al proprio Paese, vogliamo essere sempre buoni cittadini, leali e impegnati, che è quello che davvero serve al Paese».

In questo contesto nazionale molto sentito è il tema demografico, specie in una fase in cui molti ebrei, specie i più giovani, vanno a vivere in Israele: «È anche questa una sfida, dare ai giovani opportunità di vita, così che restino dove c'è una comunità ebraica. Non si può essere solo ebrei sulla carta, ma anche nella vita quotidiana».

Noemi Di Segni, una risorsa pubblica, una donna con un incarico di grande impegno e visibilità, ancora per quattro anni. E poi? «Il mio è un volontariato, come tutti quelli che operano nell'Ucei, e l'obiettivo di ogni giorno è essere stata utile per qualcosa o qualcuno. Finito tutto questo, credo che tornerò a vivere in Israele».

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