Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 13/11/2020, a pag.8 con il titolo "Il virus? 'Ebrei, cristiani o musulmani dobbiamo solo fare in fretta' " la cronaca di Fiammetta Martegani.
Fiammetta Martegani
“Quando ci si trova in sala rianimazione, con i minuti contati, poco importa da dove si arriva, che lingua si parla e che religione si pratica. Bisogna fare in fretta. Punto». David Dozed è medico nel reparto Covid dell'ospedale Tel HaShomer di Tel Aviv. Da settimane non ha un attimo di riposo: turni massacranti, per lui come per il resto del personale. Che arriva da tutta Israele: ebrei, musulmani, cristiani, drusi, beduini. Esattamente come i malati. Il virus non fa differenze, lo staff medico nemmeno. Nelle terapie intensive come negli altri reparti. Ieri in ginecologia è nata Lea. È figlia di Elena, un'italiana, da tre anni in Israele, che è stata ricoverata e accompagnata al cesareo - tra estenuanti misure di sicurezza per i protocolli sanitari anti-Covid da un chirurgo ebreo, un caposala musulmano e un anestesista cristiano. «Sono lontana dall'Italia e dai miei cari. Eppure, anche in un momento tanto drammatico, questa esperienza in ospedale sarà per me uno dei ricordi più belli legati a questo Paese». Fuori, sul lungomare solitamente affollato di turisti, monopattini e biciclette, ci sono solo piccoli gruppi di colleghi, amici, famiglie. Come previsto dalle linee guida: dieci persone al massimo e la possibilità di consumare qualcosa in un take away, visto che i ristoranti sono chiusi dallo scorso 19 Settembre. Da quando, in concomitanza del Capodanno ebraico, e avendo registrato un'impennata di contagi, Israele, primo Paese al mondo, ha cominciato il suo secondo, durissimo, lockdown. Da allora, la strada che porta a Bnei Brak, una delle più grandi cittadine ultraortodosse, che confina con Tel Aviv, è praticamente deserta, poiché quella è "zona rossa". Per passare servono permessi speciali. Chani, che fa la maestra d'asilo, deve farsene rilasciare uno ogni giorno dal Ministero dell'Educazione. Sopra, alla voce "motivazioni del viaggio" c'è scritto: «Prima necessità». Perché la scuola, qui, viene prima di tutto. Hanno riaperto appena si è intravista una possibilità. Dallo scorso 19 ottobre, quando il lockdown è terminato, dopo un mese serratissimo, asili ed elementari sono una delle pochissime istituzioni a essere tornate alla normalità. Mentre scuole medie, superiori e università hanno attivato l'intero anno scolastico 2020-2021 in modalità online. Sono aperti i luoghi di culto e le yeshivah. A Bnei Brak come nel resto del Paese. I bambini si muovono in sciame per le strade, come sempre. E, come sempre, gli adulti entrano ed escono in fretta da abitazioni e negozi: nessuno indossa la mascherina. E sì che, all'inizio della pandemia, era stata proprio la loro ostinazione a non riconoscere l'esistenza di un problema sanitario ad aver fatto delle enclavi haredim dei focolai del virus. E sì che proprio qui si è registrato il numero più alto di morti. E di persone contagiate. Persone finite poi negli ospedali come il Tel HaShomer. Distante pochi chilometri, ma ad anni luce da qui.
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