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Avvenire Rassegna Stampa
09.06.2020 Su Avvenire tre articoli di disinformazione contro Israele
I pezzi di Fiammetta Martegani, Pino Cabras, Franco Cardini

Testata: Avvenire
Data: 09 giugno 2020
Pagina: 16
Autore: Fiammetta Martegani - Pino Cabras - Franco Cardini
Titolo: «Netanyahu rivede le annessioni: 'Solo il 3% della Cisgiordania' - Medio Oriente, l'annessione non può essere la soluzione - L'America e l'Iran che non t'aspetti»

Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 09/06/2020, a pag.16 con il titolo "Netanyahu rivede le annessioni: 'Solo il 3% della Cisgiordania' ", il commento di Fiammetta Martegani; a pag. 2, con il titolo "Medio Oriente, l'annessione non può essere la soluzione", la lettera di Pino Cabras, capogruppo M5S alla Camera; a pag. 24, con il titolo "L'America e l'Iran che non t'aspetti", il commento di Franco Cardini.

Oggi Avvenire pubblica un articolo ambiguo e due contro Israele. Il primo è firmato da Fiammetta Martegani, di solito attenta a seguire i fatti con equilibrio, ma che oggi si limita a una cronaca stringata che non rende conto dell'intero scenario, densa di forse, può essere, dicono...

Il quotidiano dei vescovi ospita l'intervento di Pino Cabras, tra i grillini più scatenati contro Israele. Il ritratto che fa dello Stato ebraico è unidirezionale, frutto di pregiudizi e propaganda. Cabras rivendica di aver firmato la lettera dei 70 parlamentari italiani contro la possibile annessione, da parte israeliana, di porzioni dei territori contesi. Il grillino scrive di "soluzione a due stati", ma omette di chiarire che questa soluzione è oggi totalmente impraticabile perché sono stati gli arabi palestinesi a rifiutarla, con Arafat nel 2000 a Camp David. In altre parole, i palestinesi non hanno uno stato perché non lo hanno voluto e hanno risposto all'offerta di Israele con il terrorismo della Seconda Intifada (2000-2005), al ritiro da Gaza con i missili di Hamas sulle città israeliane.

Il pezzo peggiore è quello di Cardini, che ripulisce l'immagine del regime degli ayatollah iraniani, rovesciando ogni responsabilità sugli Stati Uniti. Mascherato da recensione di un libro, il suo pezzo è in realtà un intervento politico nel solito stile anti-occidentale che da sempre Cardini coltiva.

Ecco gli articoli:

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Fiammetta Martegani

Benjamin Netanyahu sembra intenzionato a rivedere i piani di annessione annunciati nei giorni scorsi. Stando alle dichiarazioni di ieri, il primo ministro israeliano vorrebbe annettere solo il 3% della Cisgiordania (ovvero 132 insediamenti, dove vivono circa 450.000 israeliani) rispetto al 30% previsto dall'Accordo del Secolo proposto dal presidente americano Trump lo scorso gennaio. Così ha detto il premier domenica sera nel corso di un incontro con il leader dei coloni che non si oppongono del tutto al piano della Casa Bianca (a differenza di altri rappresentanti delle colonie che invece lo bocciano in quanto prevede una soluzione a due Stati che contempla, come ovvio, la nascita di quello palestinese). Il riassestamento degli obiettivi di Netanyahu si può attribuire a una serie di fattori concomitanti. Intanto, un progetto di annessione unilaterale rischia di congelare i rapporti diplomatici (fondamentali) con la Giordania, che definisce questo intervento una «catastrofe»; inoltre, una parte della società israeliana è contraria alle annessioni; infine, lo stesso Trump, cercando di conservare un certo equilibrio in vista delle elezioni di novembre, sta frenando sulla sua proposta, mettendo la palla nel campo dei palestinesi, cui ha chiesto di sedere al tavolo dei negoziati. Invito, come prevedibile, subito rispedito al mittente: solo ieri, a Ramallah, sono scesi in piazza in centinaia per protestare. Il piano è stato definito «un'opportunità storica» dal ministro della Difesa Benny Gantz, leader del partito Blu e Bianco (e futuro premier di questo governo a rotazione), che però, fino a qui, si è dimostrato molto prudente sulle mosse da fare. Stando agli accordi stipulati tra i due neo-alleati, il primo ministro potrebbe presentare il suo piano alla Knesset già i primi di luglio, periodo perfetto per Bibi, considerando che il 19 dello stesso mese lo aspetta la prossima udienza in tribunale per il processo che lo vede accusato di corruzione, frode e abuso d'ufficio.

Pino Cabras: "Medio Oriente, l'annessione non può essere la soluzione"

Mes, Pino Cabras: «Aumentano le pressioni sul M5S esercitate dal ...
Pino Cabras, uno dei 70 parlamentari contro Israele

Gentile direttore, qualche intellettuale organico ai think-tank di Netanyahu e Trump ha definito una «letterina» la nostra missiva a Giuseppe Conte in merito all'annessione israeliana di un altro pezzo di terre palestinesi. Siamo 70 parlamentari italiani impensieriti da un possibile nuovo "fatto compiuto" che incendia la Terra Santa. Ci aggiungiamo a centinaia di parlamentari di altri Paesi europei. Certo, c'è chi pensa che non ci siano «territori palestinesi» né che siano mai stati illegalmente occupati. Rivendicano un'idea ottocentesca fatta di nazionalismo vecchia maniera, tutto sangue e terra, ideologismi coloniali e rapporti di forza brutali. Le classi dirigenti raccolte intorno a Netanyahu accampano una continuità millenaria del controllo di Israele sulle terre che va ad annettersi. Ma la Cisgiordania non è mai stata sotto controllo dello Stato di Israele prima del 1967. Fu una conquista militare. Decine di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu non hanno mai riconosciuto la sovranità israeliana sulle terre occupate. Un caposaldo del diritto internazionale proibisce l'annessione di territori con la forza: è l'art. 2, par. 4 della Carta Onu. Se ai vertici del governo d'Israele si disconoscono queste norme, non significa che non esistano. Negli accordi di Oslo, l'Autorità Nazionale Palestinese ha riconosciuto lo Stato di Israele, ma il blocco di potere che governa quest'ultimo ha riempito i territori di coloni armati, muri, blocchi stradali per segregare ed espropriare la popolazione araba autoctona. Gli insediamenti coloniali infrangono l'art. 49.6 della Quarta Convenzione di Ginevra: «La potenza occupante non potrà mai procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della propria popolazione civile sul territorio da essa occupato». Ma un binomio di ruspe e soldati lo fa ogni giorno. Così la soluzione "due Stati per due popoli" non va più. Rimane un "prendere o lasciare" calato sulla testa dei palestinesi, senza trattativa. Lo Stato palestinese immaginato da chi vuole l'annessione non è quello del Diritto internazionale. E un limone spremuto, una terra residuale ritagliata apposta per non funzionare: le aree annesse hanno confini che rendono discontinua e impossibile la connessione interna delle comunità, mentre il vero "sovrano" resta Netanyahu. Il nostro appello risuona positivamente presso diverse organizzazioni israeliane che non vogliono che le vie pluriconfessionali di uno Stato moderno siano definitivamente dismesse dall'ideologia vetero-nazionalista e militarista dell'estrema destra israeliana dominante. L'Italia è sempre stata sensibile, e ha su questo il rispetto dei popoli mediterranei. E dunque nostro interesse non dare alcun futuro ai sogni violenti di nessun oltranzista.

Franco Cardini: "L'America e l'Iran che non t'aspetti"

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Franco Cardini, difende l'Iran, attacca gli Usa

Paolo Borgognone ci ha abituati da tempo a tomi voluminosi e Storia alternativa dell'Iran islamico. Dalla rivoluzione di Khomeini ai giorni nostri, 1979-2019 (Oaks, pagine 850, euro 30) è davvero ragguardevole. Così come notevolissima è l'erudizione del lavoro, garantita da ben sei pagine di bibliografia essenziale e sono altresì da tener presenti le centinaia di note a piè di pagina, alcune molto dense. Quel che risulta misterioso è come può aver fatto un autore che arriva a citare perfino Freccero (il che, intendiamoci, è più che legittimo) possa poi non citare nemmeno un libro di Alessandro Bausani (magari perché è un bahai... o forse proprio perché è un bahai?) né di Bianca Maria Scarcia Amoretti; e nemmeno, ad esempio, di Alberto Negri. E, proprio in relazione ad assenti e/o a "convitati di pietra', è da notare in un libro come questo l'assenza di un indice dei nomi e magari delle cose notevoli: anche perché nelle note a piè di pagine sono segnalate molte cose che non figurano in bibliografia (alcune di Negri, per esempio), il che non dà piena ragione al lavoro di ricerca compiuto dall'autore; ed è quindi in sua difesa, e non per indicare una lacuna, che segnaliamo quest'assenza di uno strumento di verifica utile al lettore non superficiale. Il libro, così com'è concepito, si presenta comunque dotato di rara solidità. Borgognone ha forse buon gioco nella sua ricerca "alternativa": al di là delle ricerche serie, che senza dubbio esistono, il panorama della letteratura corrente su tale tema è sconfortante per faziosità, per conformismo, per superficialità e disinformazione. Nei confronti dell'Iran, da ormai quattro decenni, vale incontrastato uno dei dogmi procedurali più inossidabili del "Pensiero unico": dite pure qual che volete ma ditene male, nessuno ve ne chiederà conto, nessuno oserà contraddirvi. Bene: è stupefacente come in casi di questo genere una verità affermata con coraggio e sostenuta con buoni argomenti possa avere l'effetto del "re è nudo" della fiaba anderseniana: chi entra in contatto con questo tipo di disincanto si libera, quasi per miracolo, dei vecchi pregiudizi e si rende conto che in fondo lo aveva sempre saputo e/o creduto anche lui. Qual è l'antidoto del "sistema" a effetti di questo genere, che potrebbero divenir mediaticamente parlando devastanti? Semplice: il silenzio. Di certi autori, di certi studiosi, di certi libri, di certi argomenti, semplicemente non si parla. Non si recensiscono, non li si ammette nel club degli intervistati di lusso dagli opinion makers del piccolo schermo, quei tre o quattro inossidabili fra gentiluomini o gentildonne inamovibili ormai da parecchi lustri e resistenti a qualunque cambio di governo. Paolo Borgognone appartiene al nòvero degli "esclusi" di questo tipo: e potete esser certi che nessuno dei suoi libri approderà mai a un grande editore o a una catena televisiva di quelle che contano. Ed è del resto ovvio che sia così, visto che ad esempio (esaminando con ricchezza di dati e anche con una certa severità il"khatamismo" del periodo 1997-2005) afferma serenamente che «i media occidentali e le ong che si muovono come longa manus dello "stato profondo" americano per favorire un clima di tensione e mobilitazione politico-sociale propedeutico al cambiamento di regime aTeheran includono l'Iran nel mirino della propaganda dominante per questioni riguardanti ciò che in Occidente viene definito, dai corifei del politically correct e della guerra psicologica anti iraniana, "mancato rispetto dei diritti delle minoranze, etniche e sociali" eccetera»: e via così, sistematicamente disincantando antiche menzogne e omissioni alle quali siamo assuefatti. Un libro impietoso, che certo non può dir tutto ma che non lascia nulla in ombra. Il saggio introduttivo suona come una denuncia e una chiave di lettura innovatrice: Teocrazia" islamica iraniana e teocrazia di mercato occidentale, un confronto non scontato. Proprio così, papale papale. Il nucleo non soltanto della rivoluzione inaugurata a Teheran quarant'anni fa, ma di un tema etico e antropologico fondamentale della Modernità: non si può servire due padroni, Dio e Mammona, e l'uno esclude l'altro; e si tratta di due religioni diverse e opposte, non di una "superstizione" devota da una parte e di una forma di serio e concreto realismo democratico dall'altra. Con questo viatico, in diciotto puntuali capitoli si delinea il cammino alquanto faticoso e ricco di mutamenti interni della repubblica islamica iraniana, uno stato esplicitamente "confessionale", come lo sono Israele e Arabia Saudita: il che non vuol significare che le minoranze etniche e religiose non vengano rispettate aTeheran, come avviene a Gerusalemme e come non avviane a Riad. Durezze, arbitri, forme di corruzione, errori politici ed economici, bugie, violenze, perfino torture e condanne a morte: nulla viene taciuto; non siamo in presenza di un pamphlet apologetico, non è descritto alcun idilliaco "Paradiso khomeinista" in queste pagine. Tutto però è ricondotto alla sostanza di un sistema che non può venir in alcun modo ricondotto alle linee scontate di un "totalitarismo" ma che semmai è una sorta di "sistema sovietico originario" con tratti di libertà perfino sorprendenti (l'abbondanza di clubs politici e di giornali, ad esempio) controllato da un'élite "senatoriale" di teologi le opinioni all'interno della quale sono però molto varie, da simpatie pronunziate per il comunismo "alla cinese" sino a forme di liberalliberismo e di filo-occidentalsimo che restano minoritarie ma che in linea generale vengono quanto meno discusse. Risulta finalmente chiaro, in queste pagine, quel che da molti anni ci stanno dicendo, inascoltati e spesso messi brutalmente a tacere, anche molti imprenditori ed esperti del commercio internazionale: vale a dire che il "regime" di Teheran non si è mai (nemmeno negli anni più duri del "populismo rivoluzionario" di Ahmedinejad) rifiutato di accettare il dialogo sia politico sia economico, commerciale e perfino finanziario con l'Occidente, ma ha sempre urtato contro il dogmatico diktat statunitense che ha imposto un embargo dotato di aspetti che arrivano a negare gli elementari diritti umani perché investono i campi dell'alimentazione e della salute. L'austerità in cui il mondo iraniano vive non è frutto del fanatismo imposto da un "regime", ma dalla volontà d'imprigionare il Paese in una rete di sanzioni tali da renderlo invivibile e di addossarne le conseguenze al "malgoverno" khomeinista. E lo stesso si dica per il risvolto nucleare della "questione iraniana": circondato da Paesi ostili che posseggono armi nucleari, dal Pakistan a Israele, l'Iran non ne dispone: eppure tutti parlano di una «minaccia nucleare iraniana». La realtà è quella di un Paese di settanta milioni di abitanti molto prolifico (l'età media è sotto i 30 anni), con un'istruzione media elevata, un buon sistema di scolarità pubblica, un buon sistema sanitario (nonostante l'embargo e contrariamente a quel che si è cercato di far credere ha retto bene anche al coronavirus), un'accettabile ripartizione della ricchezza con assenza di sacche di povertà altrove (come in Usa) drammatiche, una popolazione aperta, cordiale e civilissima. Un Paese che, anche a causa della svalutazione della moneta reale, si presenta vantaggioso dal punto di vista turistico, e che si può visitare (altro tema da noi tabù) in libertà e sicurezza. Insomma, il quadro d'insieme offerto da questo libro è seriamente innovativo e mette in discussione inveterate "certezze".

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