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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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'La casa sul Nilo', di Denise Pardo 15/04/2023
La casa sul Nilo            Denise Pardo
Neri Pozza                Euro 18,00


“Ma la luce della luna al Cairo è l’unico ricordo che non è riuscita a eliminare”

La casa sul Nilo - Denise Pardo - Libro - Neri Pozza - Bloom | IBS

La nostalgia per la perdita della propria Patria, per un mondo cosmopolita fatto di tolleranza e condivisione, un crocevia in cui tradizioni e culture diverse potevano coesistere in pace e armonia è al centro di romanzi interessanti come “Ultima notte ad Alessandria” di André Aciman o “Come ladri nella notte” di Carolina Del Burgo in cui gli autori hanno raccontato la loro fuga dall’Egitto dopo l’ascesa al potere di Gamal Abdel Nasser.

In questo contesto si inserisce anche il romanzo autobiografico “La casa sul Nilo” della giornalista e scrittrice italiana, Denise Pardo, nata a Il Cairo nel 1954 e cresciuta a Roma, la città eterna dove nel 1961 ha trovato rifugio insieme alla famiglia. Proprio da qui parte la narrazione di Pardo che in pagine pervase di nostalgia affronta le difficoltà, il disagio, la solitudine di una famiglia che è stata costretta a lasciare una città amata, gli amici più cari, tradizioni e abitudini consolidate, sapori, odori e atmosfere per ritrovarsi catapultata in un mondo pressochè sconosciuto. A Roma non c’è il khamsin, il vento caldo del deserto, non c’è l’amica del cuore Olivia, non ci sono le mosche, cruccio della nonna Berthe al Cairo, ma la solitudine della piccola protagonista è tale che ne adotta una impedendo a chiunque di gettarla fuori dalla finestra! “C’est ma mouche” risponde Denise a un’allibita mamma Fanny, nella convinzione che la mosca avesse lasciato Il Cairo per “confortarci e farci sentire più a casa”. A Roma non c’è la famosa pasticceria Groppi, meta di pomeriggi piacevoli trascorsi a bere tè e caffè però a poco a poco nella nuova vita l’Hungaria, nel quartiere Parioli, conquista se non nel cuore, impossibile, ma nell’agenda familiare il posto che aveva avuto Groppi per continuare la tradizione mediorientale di trascorre alcune ore e sorseggiare bevande e osservare la “commedia umana”.

Dopo questo primo assaggio di memorie l’autrice ci porta a conoscere la sua famiglia benestante e, mescolando con sapienza Storia e passato familiare, racconta l’arrivo dei nonni materni a Il Cairo in fuga dai pogrom russi, descrive con ironia l’originalità della nonna paterna, appartenente alla buona borghesia, con “in corpo il demone del gioco d’azzardo”, ma anche la pazienza di nonno Giorgio, importatore di marmo da Carrara destinato ai sontuosi palazzi delle ricche famiglie egiziane, l’intraprendenza della mamma Fanny che nell’Egitto degli anni Cinquanta compie un gesto rivoluzionario: dinanzi a un’ esterrefatta nonna Berthe, detta Bobe, decide di rendersi indipendente trovando un impiego. Un comportamento davvero inaudito per una famiglia benestante dell’epoca! L’autrice si sofferma con sguardo affettuoso su Bobe, vezzeggiativo yiddish con cui hanno sempre chiamato la nonna, che descrive “permalosa, diffidente, intuitiva come una chiromante con una naturale propensione al mélo”; il papà Sam invece “era portatore di un galateo morale, un sostenitore di un’educazione dell’etica più che di un’educazione religiosa”. E a proposito della religione Denise Pardo evidenzia come nella famiglia paterna erano accettate l’anarchia del pensiero e la libertà del principio, nonostante la costante presenza del rabbino che andava e veniva nella loro casa. Pur essendo frutti di due culture diverse, la sefardita e l’askenazita, in una città dove convivevano in armonia ebrei, cristiani e mussulmani, Sam e Bobe e quindi mamma Fanny trovano un’affinità perfetta perché nessuno era bigotto e davvero praticante. “…il punto d’incontro per tutti inattaccabile era che bisognava credere in Dio ed essere buoni, onesti e altruisti, questo era sufficiente a chiudere la questione”.

Uno fra i pregi di questo romanzo è aver ricostruito l’atmosfera incantata che si respirava a Il Cairo prima dell’avvento al potere di Nasser: attraverso il racconto delle vicissitudini familiari si spalanca agli occhi dei lettori un caleidoscopio di esistenze privilegiate in cui si susseguono feste, balli, frequentazioni di amicizie potenti, incontri di piacere o d’affari negli hotel più lussuosi come lo Shepherd, il Semiramis, il Mena House (di cui compare una bellissima immagine color senape in copertina). Quest’ultimo conserva intatti, ancora oggi, i saloni e le stanze con vista sulle Piramidi, fatti costruire a fine Ottocento per Isma’il Pasha.

In effetti l’Egitto della prima metà del Novecento è un paese colorato e cangiante come può esserlo un crogiolo che all’epoca vantava quarantaquattro comunità nazionali, cinquantacinque etnie e ventuno confessioni religiose e Il Cairo, come del resto Alessandria, erano città ricche di profumi, colori e voci dove anime diverse convivevano pacificamente scambiandosi parole, cibi e pensieri.
Nella babele linguistica in cui crescono Denise e le sorelle – si parlava francese, italiano, inglese, arabo e non era insolito anche a scuola sentire la mescolanza di queste lingue – spicca nel lessico familiare lo yiddish che veniva usato solo dalla mamma e dalla nonna perché era “la lingua dei segreti”.

La situazione cambia in modo drammatico dopo il colpo di stato militare del 1952 che rovescia la monarchia del corrotto Faruq e instaura una Repubblica autoritaria, fanatica e violenta sottoposta all’arbitrio di Nasser e infine precipita nel luglio del 1956 quando il dittatore nazionalizza il canale di Suez e organizza attacchi terroristici contro Israele. Il mondo incantato dove il meglio della società inglese, francese, turca, italiana, libanese si vestiva all’occidentale, assaporava una cucina internazionale fra sapori arabi ed europei e dove i rapporti fra cittadini egiziani e stranieri erano liberi si interrompe bruscamente e quel luogo sicuro si trasforma in un territorio infido per gli stranieri che tanto avevano contribuito al benessere del Paese.

In questo inesorabile cambiamento non mancano episodi di grave violenza di cui l’autrice ci dà contezza con il racconto della bomba ai Grandi Magazzini Cicurel orchestrata dal movimento estremista dei Fratelli Mussulmani che osteggiavano lo sfarzo e l’ostentazione di ricchezza delle famiglie straniere in un paese sempre più in miseria e con la narrazione del “sabato nero” a Il Cairo nel 1952. Quel sabato l’esplosione di violenza maturata per vendicare i poliziotti egiziani uccisi a Ismalia dagli inglesi a causa della guerra per il controllo di Suez, con gli slogan di odio verso gli stranieri, inglesi, armeni, ebrei, cristiani, le grida di trionfo per gli edifici e i corpi bruciati, il crepitio del fuoco, la furia popolare dei fellah e degli studenti inducono la famiglia dell’autrice a temere per la propria incolumità e a prendere in considerazione l’idea, già messa in atto da molti amici ebrei, di lasciare il Paese.
L’ultimo capitolo ci riporta a Roma dove la famiglia arriva con un passato racchiuso in 52 valigie e un ombrello dal quale Fanny non si è mai voluta separare nel lungo viaggio e sul quale aleggia un mistero che solo alla fine sarà svelato.
Nelle ultime pagine l’autrice affronta l’iniziale spaesamento di vivere in una città sconosciuta, con la nostalgia che morde li cuore, e poi il progressivo inserimento, costellato da mille difficoltà, nella società italiana, nella scuola e nella geografia di un paese così diverso dall’Egitto. Il tutto reso possibile dalla forza d’animo e dalla perseveranza di Bobe e Fanny, oltre che dalla lungimiranza del padre che accordandosi con il suo socio d’affari in Italia riesce ad assicurare alla famiglia una certa tranquillità economica, dopo essere stato costretto a lasciare la maggior parte del patrimonio a Il Cairo.

Si termina la lettura con un senso di profonda gratitudine per l’autrice che in un romanzo dallo stile cinematografico ricostruisce, attraverso il ritratto della sua famiglia, anni cruciali della Storia egiziana e grazie ad una scrittura immaginifica possiamo sentire gli odori dei fiori e delle spezie, ascoltare gli idiomi, osservare le danze, gli ambienti esotici, lo stile degli abiti e degli arredi di un mondo perduto per sempre.

“La casa sul Nilo”, che Denise Pardo ha iniziato a scrivere tre anni fa dopo la morte della madre, rappresenta un vitale contributo al processo di recupero della memoria storica di un Medio Oriente che purtroppo è scomparso e, come spiega l’autrice in un’intervista, “è un debito, un pegno che dovevo alla bambina che ha vissuto quegli anni al Cairo”.


Giorgia Greco

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