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In barba a H.
Oliviero Stock
Bompiani Euro 19
Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima umana…Ma per dare, bisogna possedere, e noi non possediamo altra vita, altra linfa che i tesori ereditati dal passato e digeriti, assimilati, ricreati da noi. Fra tutte le esigenze dell’anima umana nessuna è più vitale di quella del passato” (Simone Weil)
Offrire alle nuove generazioni e ai familiari più giovani una testimonianza di quanto avvenne negli anni della Seconda guerra mondiale, dalle persecuzioni naziste ai tentativi di sfuggire alla deportazione, dalle delazioni ai campi di concentramento è stato a lungo un dovere sofferto ma necessario per molti sopravvissuti. Pensiamo a Edith Bruck, Sami Modiano, Liliana Segre, per fortuna ancora viventi, che hanno dedicato la vita a raccontare nelle scuole la drammatica esperienza del campo di sterminio e il difficile ritorno alla vita. Tuttavia, ora che gli ultimi sopravvissuti se ne stanno andando il compito di tenere acceso il faro della Memoria è responsabilità dei figli, dei nipoti e di chiunque abbia raccolto quei racconti, quindi di ciascuno di noi. Per questo l’arrivo in libreria del saggio storico di Oliviero Stock, autore di articoli e volumi scientifici nel campo di ricerca in intelligenza artificiale, edito da Bompiani col titolo “In barba a H.” è un’occasione imperdibile per conoscere la storia di tre generazioni della sua famiglia, di origini ebraiche, durante le persecuzioni naziste e fasciste e di come tutte e tre riuscirono a salvarsi e a ricostruirsi una vita in Italia, in Inghilterra e in Israele. Basato su testimonianze dirette, sui ricordi della madre Gerty Schwarz, sul diario del bisnonno Ferdinand Geiringer, sui riscontri effettuati dall’autore nei luoghi oggetto delle memorie, oltre che su scrupolose ricerche storiche, il libro nasce dalla convinzione di Stock che “i fatti giunti fino a me abbiano un valore non comune e io sia in dovere di raccontarli…. soprattutto perché i ricordi scritti ai quali ho avuto accesso possono aiutare a contrastare l’oblio di quanto è stato”.
E’ uno spazio geografico ampio quello toccato dalla narrazione che sfiora molti paesi, Austria, Germania, Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia, Italia, Inghilterra, Svizzera, Israele ecc. ma è da Vienna che tutto ha inizio, negli anni precedenti l’Anschluss dove viveva la famiglia di Gerty, la madre dell’autore, una città che prima del 1938 contava duecentomila ebrei. Adolf Aba Schwarz, proprietario di una fabbrica di tessuti con la moglie Anna, i nonni dell’autore, appartengono a una famiglia benestante di scarsa osservanza religiosa pur conservando una forte idea di identità ebraica. Sul bisnonno Ferdinand apprendiamo che dopo la scuola di tessitura e anni di duro lavoro era diventato direttore di fabbrica costruendosi un solido avvenire. In pagine intense lo scrittore ci racconta la vita dei suoi antenati soffermandosi anche sugli sviluppi storici che portano all’avvento di Hitler constatando come “l’antisemitismo che aveva trovato espressione saltuariamente in episodi violenti, era molto presente nella popolazione, e potè allora incanalarsi riconoscendosi nelle parole del capo carismatico, nei decreti e nelle leggi – e nelle azioni”. Dopo l’Anschluss, le vessazioni e le umiliazioni organizzate diventano quotidiane con una serie di iniziative volte alla spoliazione dei beni degli ebrei e a una spinta verso l’emigrazione forzata. A questo punto per la famiglia Schwarz emerge prepotente l’imperativo di emigrare per salvarsi: due fratelli di Gerty partono per la Palestina, lei invece dopo il matrimonio con Guido Stock ingegnere nel campo della produzione di cemento bianco si trasferisce a Trieste. Molte pagine sono dedicate al racconto minuzioso sia degli eventi storici con la promulgazione delle leggi razziali e delle inevitabili conseguenze per gli ebrei in termini di discriminazioni e soprusi, sia degli avvenimenti privati che coinvolgono i membri della famiglia in Italia, a Spalato e in Austria: l’arianizzazione della ditta di Adolf Schwarz, la fuga con la moglie da Vienna realizzando un piano geniale i cui retroscena lasciamo al piacere dei lettori scoprire e l’arrivo a Haifa.
“In barba a Hitler, a Hermann Goring e ai loro amici”. Intensi e commoventi sono i capitoli dove l’autore attingendo al diario del bisnonno Ferdinand Geiringer, nato in Moravia, ci racconta della sua espulsione dalla Polonia proprio pochi giorni prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale, delle peripezie a Cracovia per cercare una via di fuga, dei fatti drammatici di cui fu testimone a Mielec dove un centinaio di ebrei furono bruciati vivi dalla Gestapo nella sinagoga e di un’altra incredibile beffa che Ferdinand mise in atto per sfuggire ai nazisti, dimostrando eccezionali doti di propensione al rischio e di creatività. Ferdinand conclude il suo scritto con delle note sull’Inghilterra il paese che lo ha accolto e al quale testimonia gratitudine e riconoscenza. Fino alla morte avvenuta il 10 settembre 1948 visse in modo modesto a Sutton con la moglie Isabella la quale invece, dopo la perdita del marito, fece ritorno a Vienna. Una delle parti più emozionanti del libro, che tiene il lettore col fiato sospeso, è il racconto delle traversie vissute dai genitori dell’autore con due bimbe piccole per fuggire da Spalato e raggiungere la Svizzera passando per l’Italia: una storia di paura, di coraggio, di audacia ma anche di solidarietà da parte di chi scelse di ascoltare la propria coscienza, come il direttore dell’ospedale psichiatrico di Sesto Fiorentino che accettò di nasconderli o come la famiglia Ducci che a Talle vicino a Firenze li ospitò fino alla loro partenza. E’ un passaggio molto commovente quello in cui Oliviero Stock racconta dell’incontro avvenuto nell’aprile 2007 a Talle con il figlio della signora Augusta che, in un momento di grave pericolo per gli ebrei, aprì la loro casa a una famiglia disperata con il rischio di essere scoperti dalla Gestapo e senza chiedere nulla in cambio. Lo spirito umanitario di quelle persone di buon cuore prevalse sull’indifferenza e l’ignavia di tanti altri. Nelle ultime pagine l’autore estende la narrazione agli eventi personali e storici che hanno coinvolto i fratelli della madre, lo zio George e Nathan, che dalla Palestina dove erano emigrati tornano in Europa per combattere il nazismo e contribuire alla liberazione dal flagello di Hitler: giovani che hanno perseguito con coerenza e coraggio un ideale di giustizia nelle scelte del loro percorso esistenziale.
Con ammirazione e profondo rispetto leggiamo dell’orgoglio di George, arruolato nei Royal Engineers, nel partecipare alla campagna d’Africa e poi alla fine del 1943 alla lunga battaglia di Montecassino e della dedizione di Nathan che, pioniere entusiasta, contribuisce a fondare il kibbutz Hamadia in un tratto desertico vicino a Beit Shean; un entusiasmo coinvolgente che traspare nella bellissima lettera inviata nel febbraio 1942 alla sorella Gerty. Sono un vero inno al sionismo le parole di Nathan sull’esperienza di vita collettiva nel kibbutz: “Qualche volta è molto difficile vivere così, ma noi abbiamo un traguardo comune: la ricostruzione! E’ una grande soddisfazione vedere una colonia agricola, dopo anni difficili, delusioni e anche fame. Si vede che è stato creato qualcosa: un piccolo nucleo in Erez Israel”. Il libro di Oliviero Stock che ha il rigore dell’indagine storica e l’intensità coinvolgente di un romanzo (a tratti di una detective story!) riaccende il passato di una realtà bruciante che è doveroso conoscere. Nel ripercorrere la storia di questa famiglia fortunata perché, a dispetto delle circostanze, è riuscita a farla in barba a Hitler l’autore ci ricorda che nei primi anni dopo l’avvento del nazismo, la possibilità di salvarsi era comunque legata ad alcune condizioni imprescindibili: disponibilità economica con relazioni e contatti all’estero, creatività insieme alla capacità di correre rischi e affrontarli con inventiva e, non ultimo, una buona dose di fortuna perché era sufficiente un intoppo o un evento sfavorevole per trasformare in tragedia anche il piano meglio organizzato.
Da ultimo va ricordata la generosità e la disponibilità a mettere a rischio la propria vita di quelle persone, poche ma preziose, che hanno fatto la differenza fra la salvezza e la condanna a morte di molte famiglie ebree. “…raccontando come due generazioni siano riuscite a beffare i nazisti – e una terza si sia salvata miracolosamente, consentendo a me di venire al mondo – scrive Stock, mi propongo di celebrare la forza della vita sull’orlo dell’indicibile abisso”. Perché la memoria è speranza, non è una garanzia assoluta ma rappresenta la speranza che questi fatti non si ripetano. E’ la radice che tiene saldo l’albero della nostra coscienza e ci permette di resistere ai venti più forti e alle circostanze avverse che, nei momenti oscuri, vorrebbero sradicarlo.
Giorgia Greco |
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