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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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'Resta ancora un po’', di Ghila Piattelli 10/11/2020
Resta ancora un po’
Ghila Piattelli
Giuntina euro 15

Resta Ancora Un Po' - Piattelli Ghila | Libro Giuntina 10/2020 - HOEPLI.it

“….quante vittime collaterali ha potuto fare un cecchino siriano sulle alture del Golan nel corso della Guerra del Kippur?”

L’esordio narrativo di Ghila Piattelli, nata in Italia e trasferitasi in Israele da molti anni dove lavora come traduttrice e insegnante di italiano, è un romanzo folgorante che affronta il tema della memoria, dell’oblio, della capacità di continuare a vivere dopo la morte improvvisa di una persona cara e del rapporto spesso conflittuale che caratterizza generazioni diverse. Il “tour dei cimiteri” cioè la scelta del luogo dove trascorrere l’eterno riposo che nonna Giuditta impone al nipote prediletto Yoni (“ Se avessi potuto scegliere tra tutti i bambini del mondo sempre, ovunque e comunque, io avrei scelto te”) è il filo conduttore che unisce le vicende, ora tragiche ora esilaranti, dei personaggi di “Resta ancora un po’”, in libreria in questi giorni per la casa editrice Giuntina.

E’ senza dubbio un romanzo corale quello di Ghila Piattelli in cui ogni personaggio apporta un tassello della propria identità e del proprio vissuto contribuendo a delineare la storia di una famiglia non proprio “normale” in cui i ricordi del passato, quelli taciuti e non elaborati, accrescono la difficoltà di comunicazione e ne “incrostano” i rapporti. A tutto questo cerca di porre rimedio l’anziana nonna di Yoni, Giuditta, sionista anche se non si sente tale, cresciuta in Italia e arrivata in Israele alla fine degli anni Quaranta, sposata con Assa, emigrato dalla Polonia ma da sempre considerato un sabra. Nonna Giuditta è una figura indimenticabile: sarcastica, diretta nei modi, politicamente scorretta scuote la coscienza di chi viene in contatto con lei e non si cura troppo delle conseguenze delle sue esternazioni. Giuditta, che è arrivata in Israele per amore e in parte per ideologia, ha potuto permettersi il lusso di restare se stessa: eccola dunque indossare abiti di foggia europea, cucinare piatti tradizionali italiani (la lasagna diverrà una vera e propria madeleine per Yoni), accogliere ogni sabato nella sua casa di Gerusalemme la famiglia in arrivo da Tel Aviv con “tovaglie di lino candide, cristalli e posate d’argento, leccornie di ogni tipo”. Percorrendo tutta Israele alla ricerca del cimitero ideale per Giuditta sul catorcio di Yoni, in compagnia del suo amico Ittai e della sua ragazza Noga, il lettore entra quasi a far parte di questa famiglia sgangherata, condivide i misteri, le fragilità e i segreti che affliggono la vita dei suoi componenti e conosce la storia e la geografia di questo magnifico paese, apprezzando gli odori, il cibo e i sapori mediorientali. E’ al cimitero militare sul Monte Herzl che Yoni, diminutivo di Yonathan, apprende con sgomento dalla nonna il segreto racchiuso da quarant’anni nel cuore di sua madre, Ahuva Dvori, avvocato di successo e sposata con Zvika, primario di gastroenterologia. Ahuva è una donna che per tutta la vita ha scelto di vivere con il fantasma del suo ragazzo, Yonathan Meller, ucciso da un cecchino siriano durante la Guerra del Kippur nel 1973 e così ha condannato se stessa, il marito e i figli a una vita anaffettiva, normale solo nella facciata da esporre in pubblico.

Una tragedia, quella della Guerra del Kippur, che ha lasciato ferite profonde in tutta Israele, ha condizionato le generazioni che sono venute dopo, influendo in modo determinante anche sul destino della famiglia Dvori: le sorelle di Yoni affrontano le proprie difficoltà quotidiane con mariti assenti o inetti, Ahuva non riesce a instaurare un rapporto sincero col figlio Yoni mentre Zvika, chiuso nel suo studio e lontano anche fisicamente dalla moglie, non riesce a trovare le parole per avvicinarla, soprattutto dopo aver scoperto in un armadio una scatola da scarpe contenente un pezzo del passato di Ahuva. Quella di Zvika è, a parere di chi scrive, una delle figure più autentiche del romanzo che merita un’attenta riflessione da parte del lettore: se nelle prime pagine può apparire un perdente nelle relazioni sentimentali, in realtà racchiude in sé una capacità d’amore immensa, un sentimento, quello per la moglie Ahuva, incatenata dal fantasma di Yonathan, che per essere legittimato non ha bisogno di essere contraccambiato. Il professor Dvori offre al figlio una straordinaria lezione sull’amore un giorno che Yoni, entrato nel suo studio, gli chiede come abbia potuto vivere accanto alla madre in compagnia di un fantasma. La risposta del padre esprime la forza di un amore eterno: “…se potessi percorrere a ritroso gli ultimi quarant’anni della mia vita, sceglierei ancora Ahuva, perché in fondo l’amore vero basta a se stesso, non chiede niente, sa solo dare”.

Durante il lungo peregrinare alla ricerca di un cimitero Giuditta condivide con il nipote ricordi, episodi della sua vita e di quella di Ahuva, scuote le convinzioni del giovane e cerca di far dialogare questa famiglia intrappolata in un passato doloroso e alla fine ci riuscirà. Conserviamo per il lettore il piacere e la curiosità di svelare il finale commovente e imprevedibile del romanzo. Con un registro ora leggero ora più riflessivo, in un continuo alternarsi di flashback in un arco temporale che, come la vita stessa, non è mai lineare, l’autrice attraverso la contrapposizione di un “io” narrante giovane, Yoni, e di una protagonista novantenne, Giuditta, offre una profonda riflessione sui legami che uniscono generazioni lontane, sul rispetto dovuto agli anziani che hanno costruito il paese, oltre che un punto di osservazione attento sul mondo giovanile grazie anche alle figure di Noga e Ittai, la prima cinica e superficiale, l’altro in crisi con la sua identità sessuale. Un’altra tematica che percorre il romanzo - e già dal titolo si intuisce - è la dialettica fra il trattenere i ricordi e il lasciarli andare. Per tutto il libro Ahuva è in bilico fra tenere stretto il ricordo di Yonathan e lasciarlo scivolare via perché è sempre più facile ricordare che dimenticare. In Israele, in particolare, la memoria ha una valenza enorme, pervade la vita delle persone. Inoltre, sin dalle prime pagine si percepisce che l’oblio è funzionale alla memoria: per poter conservare alcuni ricordi è necessario lasciarne andare altri.

Attraverso i suoi personaggi l’autrice ci invita a non aver paura del dolore e dell’oblio perché solo così i fantasmi trattenuti con forza nel cuore o imprigionati nei cassetti potranno dissolversi e consentirci di guardare al futuro con fiducia e speranza. “Non si può conservare tutto nella vita, nemmeno i ricordi…. Se c’è una cosa che ho imparato in questi ultimi mesi è che se vogliamo crescere dobbiamo riuscire a lasciare andare e a volte anche a dimenticare”. Leggendo d’un fiato il romanzo di Ghila Piattelli, un esordio che rivela un indiscusso talento narrativo, rimaniamo incollati alle pagine, ci appassioniamo di vite che non sono le nostre ma in cui troviamo qualcosa di noi e al termine si finisce col provare nostalgia di questa combriccola di personaggi, di quel senso di familiarità che trapela dalle pagine e che riscalda il cuore.


Giorgia Greco

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