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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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'I vicini scomodi. Storia di un ebreo di provincia, di sua moglie e dei suoi tre figli negli anni del fascismo', di Roberto Matatia 23/05/2019

I vicini scomodi. Storia di un ebreo di provincia, di sua moglie e dei suoi tre figli negli anni del fascismo
Roberto Matatia
Giuntina euro 10,00

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E’ giunto alla quinta edizione il racconto storico letterario intitolato “I vicini scomodi” (Giuntina, 2014) che Roberto Matatia, imprenditore faentino, dedica a un ramo della sua famiglia paterna, quella del prozio Nissim ebreo greco originario di Kerkyra, capoluogo dell’isola di Corfù, giunto in Italia in cerca di fortuna negli anni Venti insieme ai fratelli Leone e Eliezer. Le sue capacità imprenditoriali gli consentono di raggiungere in poco tempo un certo benessere economico diventando un apprezzato pellicciaio con negozi di alta moda fra Faenza e Forlì che gestisce con i suoi fratelli. L’apice di questo successo economico è l’acquisto di una villa di mattoni rossi a Riccione, Villa Matatia, a pochi passi dalla spiaggia che rappresenta per tutta la famiglia il luogo dove trascorrere in serenità momenti di svago e riposo. In particolare per i figli di Nissim, Camelia, Roberto e Beniamino è l’occasione per nuovi incontri e scorribande con gli amici. Una tranquillità che viene bruscamente interrotta dall’avvento delle leggi razziali del 1938.

Oltre ad essere ebrei e quindi sottoposti alle restrizioni previste dalle nuove leggi i Matatia hanno un vicino molto ingombrante: a pochi metri dalla loro dimora c’è Villa Margherita, acquistata da donna Rachele nel 1934, dove trascorre le vacanze il Duce, che nel giro di poco tempo diventa punto di ritrovo in estate per gli incontri con i gerarchi di provata fede fascista. All’improvviso Nissim da pellicciaio di fiducia dei gerarchi che in occasione dei loro soggiorni a Riccione fanno a gara nel far doni a mogli e amanti diventa un “vicino scomodo” da allontanare con ogni mezzo per non mettere in imbarazzo il Duce con la presenza di una famiglia ebrea. “Dovete assolutamente vendere quella casa. E’ intollerabile che un ebreo possa villeggiare a pochi metri dal Duce. Voi, subdoli parassiti, non potete né dovete avvicinarvi né a Lui né alla sua famiglia”. Le pressioni dell’Ovra di Bologna si fanno insostenibili, il clima politico si sta deteriorando e i fratelli di Nissim stanno meditando di lasciare l’Italia e riparare all’estero, l’uno in Svizzera l’altro in America Latina: sarà la loro salvezza.

Ma Nissim come molti ebrei italiani in quegli anni è convinto che tutto si sarebbe risolto “all’italiana” e, rassicura la famiglia, che “i tempi difficili passeranno e il Duce ha varato le leggi razziali perché alleato di Hitler, ma non è veramente antisemita”. Sarà questo atteggiamento di incredulità a travolgere molte famiglie ebree nel gorgo dell’antisemitismo e dei campi di sterminio. Nel volgere di breve tutto precipita. Nissim in quanto ebreo straniero viene espulso dall’Italia e rispedito a Corfù. Con l’aiuto di un commercialista bolognese, il dottor Brunini, “una degna e brava persona”, nominato fiduciario dei suoi beni, Nissim può assicurare un po’ di tranquillità alla famiglia rimasta in Italia ma è costretto comunque a dare il consenso alla vendita della villa al mare che, con un vero furto di Stato, passa per sole 14.000 lire al comune di Riccione. La lontananza dai suoi cari, la solitudine, la monotonia di giornate trascorse senza compagnia accrescono la malinconia nel cuore di quest’uomo onesto colpevole solo di “portare una stella anziché una croce” al collo. Rientra clandestinamente in Italia trovando rifugio grazie all’intervento del rabbino in una casa alla periferia di Bologna mentre la famiglia nel frattempo si nasconde a Savigno, un piccolo paese dell’Appennino bolognese. Inizia un periodo di incontri clandestini per condividere con i figli emozioni e tensioni, per fare coraggio alla moglie preda di un profondo scoramento, organizzati però in segreto per tutelare l’incolumità dei suoi familiari. Un periodo di ristrettezze economiche, di solitudine, di rimpianti per non aver seguito i fratelli che con lungimiranza hanno lasciato l’Italia prima che fosse troppo tardi. Giorni di incertezza per il futuro che terminano nel novembre 1943 quando Nissim e il figlio Roberto vengono arrestati in Piazza Re Enzo mentre la moglie e gli altri due figli sono catturati, a seguito di una delazione, il mese successivo. Deportati tutti ad Auschwitz, Beniamino è l’unico a tornare dal campo di sterminio nel 1945, salvato dal suo amore per la fisarmonica.

Per gli stenti patiti, indebolito nel fisico dalla tubercolosi, il giovane Nino morirà due mesi dopo la liberazione. La storia vera della famiglia Matatia narrata con lucida partecipazione dall’autore offre uno spaccato imperdibile degli anni di guerra nelle terre di Romagna ed Emilia. Una vicenda familiare a prima vista simile ad altre raccontate che a distanza di settant’anni riemerge grazie all’impegno e alla volontà di Roberto Matatia, nipote di Eliezer e pellicciaio a sua volta a Faenza, di riannodare i ricordi dolorosi della famiglia. Lo spunto per realizzare l’opera, che ha comportato anni di ricerche e raccolta di documentazione presso archivi e istituzioni statali, nasce dalla consegna all’imprenditore faentino di una cartella contenente alcune lettere che la giovane Camelia aveva scritto a Mario, un giovane conosciuto in quegli anni e di cui si era innamorata. Mario ora è un uomo anziano che desidera che quei fogli preziosi che raccontano i mesi di esilio, le privazioni, i soprusi, le emozioni e i desideri di quella ragazza ebrea e della sua famiglia rimangano nelle mani di un Matatia. Il libro di Roberto, che a distanza di anni dalla pubblicazione continua ad essere letto e apprezzato, si articola attraverso le voci contrapposte di Nissim e della giovane Camelia offrendo da un lato il ritratto di un genitore orgoglioso del suo successo, umiliato dalle leggi razziali che vede sfumare un futuro sereno per la sua famiglia e dall’altro l’immagine fresca e solare di un’adolescente più matura dei suoi anni che si apre alla vita trovando nell’amore per Mario la forza per sopportare il fardello di un’esistenza precaria nella consapevolezza della fine imminente ma anche di non avere colpe “se non di essere nata con un marchio disgraziato. Un marchio che nemmeno la scolorina del tempo potrà cancellare”.

“I vicini scomodi”, che si è aggiudicato il secondo posto al premio letterario “Montefiore” nell’edizione 2018, è una preziosa testimonianza indiretta sempre più necessaria negli ultimi anni con la progressiva scomparsa delle voci dei sopravvissuti. Facendo conoscere al pubblico questa storia Roberto Matatia, testimone di ultima generazione della tragedia della sua famiglia, è riuscito a riportarla in vita assolvendo con sensibilità il compito che spetta alla sua generazione di tenere accesa la fiaccola della Memoria.


Giorgia Greco


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