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Il mostro della memoria Nei romanzi di Yishai Sarid c’è l’anima di Israele perché riescono a cogliere gli aspetti esistenziali della psicologia israeliana e nel contempo affrontano temi di stringente attualità per una società eterogenea come quella israeliana, anche se la politica nei suoi libri rimane spesso sullo sfondo. Considerato tra i protagonisti della nuova scena letteraria israeliana, Sarid è avvocato e autore di cinque romanzi, tre dei quali sono pubblicati in Italia: “Il poeta di Gaza” (e/o, 2012), “Il Terzo tempio” (Giuntina, 2018), “Il mostro della memoria” (e/o, 2019) in cui analizza con raro talento narrativo questioni essenziali per il suo Paese: dal conflitto con i palestinesi nel romanzo “Il poeta di Gaza” al pericolo di una deriva religiosa nella politica locale ne “Il terzo tempio” fino alla percezione della Shoah in Israele nel suo ultimo lavoro, “Il mostro della memoria”, in cui solleva interrogativi cruciali di natura etica. E’ al direttore dello Yad Vashem, il Memoriale dell’Olocausto di Gerusalemme, che il protagonista e voce narrante si rivolge con un lungo resoconto nel tentativo di spiegare, in un crescendo di tensione, un accaduto di cui si avrà contezza solamente nelle ultime pagine del libro. Dalla consapevolezza che “io sono il contenitore di questa storia. Se le crepe dentro di me si allargassero fino a provocarne la rottura, la storia sarebbe persa” nasce l’urgenza di testimoniare a una persona che ammira molto la sua esperienza di vita e la sua trasformazione negli anni di studio e lavoro. Allo studio della Shoah il protagonista arriva per motivi pragmatici. Dopo aver visto sfumare il sogno di una carriera diplomatica prosegue nello studio della Storia, materia che lo appassiona molto sebbene sia spaventato dalla storia moderna che percepisce come “una cascata terrificante, possente, turbinosa”. Tuttavia per accedere alla carriera accademica e mantenere la famiglia non gli resta altra possibilità che accettare la proposta del preside per un dottorato di ricerca in storia della Shoah e in poco tempo è in grado di circoscrivere l’argomento della tesi “Analogie e differenze nei meccanismo di sterminio nei lager tedeschi durante la Seconda guerra mondiale”. Confronta i metodi di uccisione nei diversi campi: Chelmno, Belzec, Treblinka, Sobibor, Majdanek e Auschwitz, analizza le fasi dello sterminio, legge libri e testimonianze sulla vita e la morte nei lager. Diventa bravo, scrupoloso e nel giro di poco tempo per arrotondare le entrate comincia a fare da guida a gruppi di visitatori allo Yad Vashem e poi ad accompagnare scolaresche, soldati e personalità del mondo politico in visita ai campi di sterminio. Forte di una accurata preparazione tecnica si butta nel lavoro con energia ma sottovaluta l’avvertimento del direttore sul peso emotivo di quell’incarico anche se inizialmente mostra uno strano distacco, quasi una mancanza di sentimenti o di partecipazione per le vittime. Con il trascorrere del tempo diventa una guida apprezzata e richiesta nei viaggi ai campi in Polonia al punto che affitta una casa a Varsavia restando lontano da Israele e dalla famiglia per lunghi periodi di tempo. Per le sue competenze storiche sui campi di sterminio viene contattato per prestare una consulenza nella realizzazione di un video gioco ispirato al genocidio perchè in una società in cui vige la legge del profitto neppure la memoria dei morti si salva. Orrore e ammirazione per la perfezione del gioco si alternano nella mente dello studioso minando in modo sottile il suo equilibrio. Anche se pensa di essere assuefatto all’orrore dei campi, o alla superficialità dei giovani ai quali non riesce a trasmettere il giusto messaggio educativo, il protagonista inizia un lento, inesorabile sprofondare nell’abisso. Il senso di angoscia, il desiderio di scuotere le coscienze dei visitatori si aggiungono alla fascinazione per il perfetto meccanismo di morte messo in atto dai carnefici e per un’ideologia che ha nella forza l’unico strumento per sopravvivere. Il progressivo coinvolgimento emotivo nelle sofferenze del suo popolo, la consapevolezza che dietro le cifre sulle vittime ci sono persone scaverà un solco nella sua mente che lo porterà ad avere allucinazioni di voci (“sentii un rumore di freni, vidi vagoni che venivano aperti, luci, paura. Dov’è il bambino, dov’è la valigia. Dove siamo arrivati?”) e a trasformare la Memoria in un mostro spaventoso. Il senso di inquietudine e di tensione crescente che pervade le pagine del romanzo si svela nell’incontro del protagonista con un regista tedesco che lo coinvolge in modo ingannevole in un progetto cinematografico dando vita a un un finale in qualche modo previsto ma che lascia interdetti e induce a interrogarsi sul modo di affrontare la Memoria e sulle lezioni storiche che ciascuno di noi può trarne. “Il mostro della memoria” non si presta ad una lettura veloce, richiede tempo e riflessione perché i temi analizzati che vanno dalla complessa percezione dell’Olocausto in Israele alla relazione fra forza e etica, dal rischio di sfruttare la Memoria svuotandola di contenuto all’esplorazione del rapporto fra vittime e carnefici, sollevano interrogativi etici di grande rilievo. E’ un libro duro che colpisce dritto al cuore in cui lo scrittore israeliano ci invita a riflettere sul rischio che il peso emotivo della Shoah possa diventare talmente soverchiante anche per coloro che non l’hanno vissuta in prima persona da provocare una presa di distanza dinanzi all’irrazionalità del male inflitto al popolo ebraico.
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