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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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'1938 Storia, racconto memoria', antologia a cura di Simon Levis Sullam 18/10/2018

1938 Storia, racconto memoria
Antologia a cura di Simon Levis Sullam
Giuntina euro 15

“Non dobbiamo mai dimenticare, quando prendiamo in esame le leggi antisemite del1938 e le liste degli israeliti che furono burocraticamente compilate in attuazione di quelle leggi e lo zelo dei funzionari, che la suprema infamia del grande olocausto degli ebrei è cominciata in Italia proprio con queste leggi, e con tutto quello che le accompagnò e le seguì….” (Alessandro Galante Garrone)

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Il 5 settembre 1938 Vittorio Emanuele III firmò il primo provvedimento approvato dal fascismo per volontà di Mussolini con il quale tutti gli italiani appartenenti alla “razza ebraica” venivano privati dei diritti più elementari. Dall’espulsione dalle scuole di ogni ordine e grado per alunni e docenti, al divieto di sposarsi con italiani “ariani”, dalla possibilità di lavorare nelle pubbliche amministrazioni o in altre professioni al divieto di possedere una radio, di far parte di circoli sportivi, di frequentare luoghi di villeggiatura o biblioteche, quello delle leggi razziali “fu un virus che infettò ulteriormente uno Stato già da tempo deprivato di tutte le libertà”. L’ottantesimo anniversario dalla promulgazione delle prime leggi antiebraiche italiane è dunque l’occasione per riflettere su una pagina drammatica della Storia del nostro Paese e per chiedersi con quali strumenti è possibile continuare a trasmettere la Memoria di tali eventi ora che i testimoni diretti sono quasi del tutto scomparsi. Chi potrà raccogliere l’eredità dei sopravvissuti e veicolarla alle nuove generazioni? A questo quesito che si pone in modo stringente ogni anno in occasione del Giorno della Memoria offre una possibile risposta l’antologia “1938. Storia, racconto, memoria” pubblicata in questi giorni da Giuntina. Simon Levis Sullam, storico e curatore dell’opera, si è cimentato in un progetto di non semplice realizzazione: “far raccontare la storia – o almeno i suoi contenuti – attraverso le storie, cioè i racconti, le narrazioni”.

E per far questo si è affidato a un gruppo di scrittori professionisti e di storici chiedendo loro, attraverso l’ausilio di documenti, di trasmettere il senso dell’esperienza delle persecuzioni antiebraiche in Italia tra il 1938 e il 1945, servendosi del registro narrativo. In questo esperimento perfettamente riuscito in cui il curatore e l’editore chiedono agli autori di scrivere un racconto che sia anche testimonianza, Sullam riflette nell’introduzione sul ruolo della narrazione, del racconto nel fare storia e senza ipotizzare la sostituzione del saggio o della ricostruzione storica con il racconto non si può che concordare con lui quando afferma che “accanto all’opera più tradizionalmente intesa degli storici, la trasmissione della storia e memoria delle persecuzioni, avverrà crescentemente in forme narrative”. Da ciò l’importanza del “testimone secondario”, testimone indiretto della Shoah, la cui narrazione è affidata quindi a persone sfuggite alle persecuzioni dirette e sempre più lontane dagli eventi ma che si rivelano narratori efficaci e attendibili. Nell’antologia “1938” questo compito è affidato a una nuova generazione di scrittori (narratori e storici) che si collocano biograficamente dopo la metà circa degli anni Cinquanta, molti negli anni Sessanta e alcuni negli Ottanta. Fra essi costituiscono l’assoluta maggioranza le voci non ebraiche mentre il tema delle memorie va oltre l’ottantesimo delle leggi antiebraiche per abbracciare il tema di incombente attualità, nel contesto politico odierno, del razzismo verso gli immigrati come testimonia in modo puntuale Igiaba Scego nel racconto “La chat”.

Emerge anche la questione delle migrazioni nel racconto di Carlo Greppi, “Andrà tutto bene” che si chiude con una nota dell’autore sugli ebrei in fuga attraverso la val di Gesso, del razzismo coloniale intrecciato a quello antisemita nel racconto di Giulia Albanese intitolato “L’esame” restituito in forma diaristica, oltre alla rielaborazione e memoria delle persecuzioni nel dopoguerra rievocate nello scritto di Vanessa Roghi. La scelta narrativa adottata da questo insieme eterogeno di autori - aventi come unica regola condivisa il raccontare il 1938 partendo da vicende reali e documentate - è assai varia. Alcuni scrittori privilegiano un resoconto storiografico in forma narrativa come Alessandro Zuccuri su Arnaldo Momigliano, altri optano per la strada della fiction scegliendo come Bruno Maida o Viola Di Grado di narrare vicende individuali di forte impatto emotivo senza svelare che si tratta di una storia realmente accaduta. Tuttavia è un dato che importa poco al lettore preso com’è dallo scandire della trama e anche perché ciò che conta “più che la verità e la verosimiglianza”. Inoltre un’altra possibilità narrativa, adottata da Federica Manzon, Andrea Molesini o Helena Janeczek , è quella di svelare in un momento preciso, interno o esterno al testo, il riferimento a persone realmente esistite, sebbene tali autori abbiano ideato un racconto perfettamente identificabile come fiction sia per il metodo narrativo che per la costruzione dei personaggi.

Come Simon Levis Sullam riflette sui “testimoni secondari” nell’introduzione all’antologia, analogamente Martina Mengoni, laureata in filosofia e docente di letteratura all’Università di Pisa, riprende nella postfazione un quesito già sollevato da Manzoni per chiedersi se a ottant’anni dalle leggi razziali, ora che i testimoni diretti sono scomparsi, esiste la possibilità di scrivere testi narrativi su quegli eventi testimoniando per interposta persona o addirittura costruendo un punto di vista basato sulla finzione. Sarà possibile un terreno d’incontro fra storici e scrittori quando la voce dei testimoni sarà solo un ricordo? Quale tipo di narratore sarà più efficace per trasmettere la memoria? Lo storico o lo scrittore? E quali strategie narrative occorrerà mettere in campo in ciascuno dei casi? La lettura di questa antologia offre lo spunto, nell’analisi della costruzione narrativa dei racconti, di interrogarsi sulle soluzioni più efficaci per avvicinarsi ai fatti del 1938 attraverso la narrativa, “in un frangente in cui stanno scomparendo i testimoni primari che hanno vissuto quell’anno cardine della nostra storia”. Per scongiurare il rischio della retorica commemorativa e l’affievolirsi dell’immaginazione storica e morale, storia e letteratura devono trovare un punto di incontro e di condivisione nella consapevolezza che “senza i valori che le generazioni precedenti trasmettono si è solo un corpo vivo ma senz’anima. Scrivere non è solo un incantesimo magico ma un varco verso il mondo che è nascosto dentro di noi. La parola scritta ha il potere di accendere l’immaginazione e di illuminare il tuo io interiore” (Aharon Appelfeld).

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