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Gli ebrei d'Europa hanno un futuro incerto, ma comunque sia hanno un futuro
Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
Il continente europeo ha cessato di essere il centro della vita ebraica più di un secolo fa, quando ha ceduto tale status alla comunità ebraica sempre più benestante e influente negli Stati Uniti, alla quale si è unito, un po' più tardi, lo Stato di Israele. Quel passaggio ha generato una domanda che si può giustamente definire “perenne”, in quanto viene posta con prevedibile regolarità e produce più o meno le stesse risposte. Nella sua formulazione più neutrale, quella domanda recita quanto segue: c'è un futuro per la vita ebraica in Europa, o le comunità ebraiche di quel continente si estingueranno lentamente attraverso le varie pressioni dell'antisemitismo; matrimonio o impegni di vita che coinvolgono partner non ebrei; emigrazione in Israele, America o altri Paesi o anche per altri fattori di “spinta”? Negli ultimi 30 anni, un periodo in cui ho sentito parlare molto di questa domanda, ho notato una spaccatura tra coloro (spesso residenti in Europa) che sconsigliano una visione eccessivamente drammatizzata della situazione ebraica e coloro (che spesso vivono negli Stati Uniti o in Israele) che affermano che un leopardo non può cambiare le sue macchie, che l'Europa non sarà mai veramente una casa per gli ebrei e che la comunità ebraica farebbe bene a uscire più presto possibile prima che qualcuno ostile nei loro confronti, decida per loro. Entrambe le parti di questo dibattito sono unite nell'avere una visione confusa e cupa dell'Europa. Con questo metro di giudizio, se gli ebrei restano o se ne vano, non dipende tanto dal fatto che le cose migliorano, ma fino a che punto peggiorano. Un dilemma come questo se deve essere risolto o almeno affrontato seriamente, richiede dati solidi. Abbiamo bisogno di sapere come pensano e sentono gli ebrei europei, come vedono loro stessi il futuro delle loro comunità e se credono che i politici che li governano rimarranno, come lo sono stati almeno dalla Seconda Guerra Mondiale, alleati fidati che riconoscono che le proprie società sarebbero sminuite dalla mancanza di una presenza ebraica. Negli ultimi 13 anni, fortunatamente, molti dati rilevanti sono stati raccolti sotto l’egida dell'American Jewish Joint Distribution Committee (JDC) con sede a New York. Più di un secolo dopo che il “Joint”, come era conosciuto, fece le sue prime campagne in Europa per assistere le comunità ebraiche assediate negli ultimi anni della Prima Guerra Mondiale, lo stesso mantiene un forte profilo attraverso l'Atlantico. Ogni tre anni dal 2008, il suo braccio di ricerca europeo, il Centro Internazionale per lo Sviluppo Comunitario (ICCD), pubblica un sondaggio completo che coinvolge centinaia di professionisti della comunità ebraica in tutto il continente. Probabilmente non c'è fonte migliore per comprendere le priorità di quelle comunità, e le differenze e le somiglianze tra di esse, dell'indagine dell'ICCD. La conclusione principale dello studio di quest'anno sembrerebbe rafforzare la tesi secondo cui non c'è un futuro a lungo termine per gli ebrei in Europa. Per la prima volta dall'inizio del sondaggio, l'antisemitismo è salito al primo posto nella classifica delle minacce più gravi al futuro della vita ebraica (con il 71 per cento degli intervistati che ha assegnato un punteggio di 4 o 5 su una scala da 1 a 5 ). La lotta all'antisemitismo è stata nominata la principale priorità della comunità per gli anni futuri (punteggio 8,8 su una scala da 1 a 10). Alla domanda se si aspettassero cambiamenti nei prossimi 5-10 anni, gli intervistati erano pessimisti, con il 68% che si aspettava un aumento dell'antisemitismo "significativo" (28%) o "abbastanza" (40%). Una parte importante delle argomentazioni qui considerate, riguarda gli eventi e gli episodi degli ultimi 18 mesi. Lo scorso maggio, mentre i terroristi di Hamas ancora una volta trascinavano Israele in un rinnovato conflitto a Gaza, gli attacchi antisemiti in Europa sono saliti alle stelle, come tendono a fare durante i periodi di tensione nella regione. Tra gli spettacoli più inquietanti ci sono state decine di manifestanti, molti dei quali giovani musulmani, che nella città tedesca di Gelsenkirchen intonavano lo slogan “Ebrei di merda!” e una colonna d’auto di islamisti che attraversando i quartieri ebraici nel Nord di Londra trasmetteva, attraverso un megafono, la minaccia di “stuprare le vostre figlie”. Inoltre, tutto ciò è avvenuto al termine di un anno di manifestazioni rabbiose contro le misure di sanità pubblica per il COVID-19 prese in Germania, Francia, Paesi Bassi e molti altri Paesi, nelle quali messaggi esplicitamente antisemiti incolpavano gli ebrei per il virus così come diventavano più evidenti immagini che sfruttavano sempre di più la Shoah. Non a caso, forse, il sondaggio riportava che i leader ebrei europei “sembravano quasi equamente divisi tra ottimisti e pessimisti, poiché il 47 percento dei leader era 'fortemente d'accordo' o 'piuttosto d'accordo' con l'affermazione 'il futuro dell'ebraismo europeo è vivace e positivo' e il 52 percento con 'Sono ottimista per il futuro dell'Europa.'” Queste cifre diventano più rivelatrici quando vengono suddivise per età. Ben oltre il 60 percento degli under 40 ha dichiarato di essere ottimista sul futuro dell'Europa e sul ruolo degli ebrei al suo interno, rispetto al 52 percento di quelli di età compresa tra 41 e 55 anni e al 47 percento delle persone con più di 55 anni. Questi leader più giovani sottolineano anche l'importanza dell'arte, della letteratura, della musica e del cinema ebraici come parte del panorama culturale europeo, nonché l'importanza di essere inclusivi e accoglienti di una comunità sempre più diversificata, in cui non tutti i membri possono essere considerati ebrei in un senso strettamente halachico . Infatti, il compito di “sviluppare un ambito d'azione creativo verso i non affiliati” è arrivato al 5° posto di un elenco di 18 priorità comuni, il che suggerisce che il futuro degli ebrei in Europa dipende, almeno in parte, da un certo successo in questo settore. L'impressione generale lasciata dal sondaggio è che mentre l'antisemitismo è una questione dominante, - insieme alle finanze comunali, all'impatto della pandemia, al desiderio di più donne e giovani in posizioni di comando e molto altro - la sua attuale incarnazione non prevede la fine della presenza ebraica in Europa, soprattutto per quanto riguarda gli ebrei più giovani. Quella combinazione di ottimismo e sfida mostrata dai professionisti ebrei del continente dovrebbe essere accolta con favore da tutti.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate |
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