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Ben Cohen
Antisemitismo & Medio Oriente
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Il caso dell'Ungheria: antisemitismo senza violenza 25/07/2021
Il caso dell'Ungheria: antisemitismo senza violenza
Analisi di Ben Cohen

(traduzione di Yehudit Weisz)


The Yale Politic -European Anti-Semitism: Residual Yet Perpetual
Graffiti antisemiti in Ungheria

È possibile per un Paese riuscire ad alimentare una diffusa antipatia nei confronti degli ebrei pur mantenendo allo stesso tempo livelli relativamente bassi di crimini di odio antisemita? Un rapporto appena pubblicato dalla comunità ebraica in Ungheria dimostra che lo è. Leggendo il rapporto pubblicato da Maszihisz, che rappresenta la comunità dei 100.000 ebrei ungheresi, sono rimasto colpito da come riecheggiasse un'osservazione di George Orwell sull'antisemitismo in Gran Bretagna all'indomani della Seconda Guerra Mondiale. L'odio verso gli ebrei, scriveva Orwell, “non aveva assunto forme violente (di solito gli inglesi sono immancabilmente gentili e rispettosi della legge), ma è sufficientemente cattivo e in circostanze favorevoli potrebbe assumere risvolti politici.”

Non farò alcun commento simile sul carattere in generale degli ungheresi, ammesso che sia possibile, ma è vero che anche se un ungherese su tre in un certo senso non ama gli ebrei, non si impegna in aggressioni violente, in abusi verbali o in atti vandalici antisemiti a qualsiasi livello, paragonabili a quelli dell'Europa occidentale. Ma questo non significa, seguendo Orwell, che non ci dobbiamo preoccupare degli effetti politici di questo pregiudizio. I dati raccolti da Maszihisz hanno registrato 53 episodi di antisemitismo nel 2019 e 70 nel 2020. Solo uno di questi episodi ha implicato un'aggressione fisica. Ora, se da un lato è fondamentalmente vero che un crimine d'odio è pur sempre uno di troppo, il governo nazionalista ungherese non può essere biasimato per sfruttare il fatto che il loro è uno dei pochi Paesi in Europa con una significativa popolazione ebraica che solo di rado è vittima della violenza antisemita. Confrontiamo l'Ungheria con la Germania, che ha una popolazione ebraica leggermente più grande, di 120.000 membri. Nel 2019, le autorità tedesche avevano registrato 1.839 episodi di antisemitismo, un numero record in quel momento, inclusi 72 crimini violenti. Se nel 2019 era difficile non riflettere sull'amara ironia del fatto che la Germania del dopoguerra sia diventata il luogo di almeno cinque reati di antisemitismo al giorno, lo è stato ancora di più nel 2020, quando il record di aggressioni antisemite ha raggiunto un picco ancora più alto. Durante un anno caratterizzato dal lockdown per coronavirus, la Germania ha registrato addirittura 2.275 crimini antisemiti. Dato che le persone rimanevano chiuse in casa, il numero di aggressioni fisiche è diminuito, 55 nel 2020, ma ciò equivaleva comunque ad almeno un attacco fisico a un ebreo ogni settimana, per mano di estremisti musulmani o di neonazisti o di qualche sinistrorso.

Europa contro Ungheria su stato di diritto e Recovery fund - Tempi
Viktor Orbán

Data questa situazione in Germania e una simile in Francia, oltre alla presenza di una accesa campagna antisionista nell'estrema sinistra e alla crescente spavalderia dell'estrema destra nelle nazioni dell'Europa occidentale, perché dovremmo preoccuparci dell'Ungheria? Ci sono quelli che dicono, primo fra tutti il governo ungherese del Primo Ministro Viktor Orbán, che non dovremmo. Perché preoccuparci, si chiedono, quando gli ebrei ungheresi possono recarsi tranquillamente alla sinagoga di Budapest, mentre gli ebrei di Parigi o di Vienna devono guardarsi ansiosamente alle loro spalle? Perché l'Ungheria, un Paese con un consistente record di sostegno allo Stato di Israele, dovrebbe essere considerata una terra ostile agli ebrei? Queste sono delle buone domande, ed è certamente vero che di tutte le espressioni che l'antisemitismo può assumere, la violenza è la minaccia più grave di tutte. Ma c'è un altro livello del problema che è costituito dalla memoria storica e dai pregiudizi radicati, assorbiti attraverso i secoli. “L'antisemitismo è presente in tutta la società ungherese e dobbiamo combattere questo fenomeno”, ha detto la scora settimana Andras Heisler, capo di Maszihisz, al Budapest Times. Questo è una sorta di antisemitismo che si coglie alla fine di una constatazione, ed è quello che ostracizza con discrezione quegli ebrei che si riconoscono come ebrei tramite le interazioni sociali. Per illustrare come questi atteggiamenti possano influenzare gli ebrei ungheresi, Heisler ha spiegato come si è svolta presso la sinagoga di via Rumbach a Budapest, ristrutturata da poco, la prima cerimonia del bat mitzvah che ha coinvolto un gruppo di 12 ragazzine. I loro genitori hanno rifiutato la richiesta per l'occasione, di essere ripresi in video per “paura di quello che accadrebbe se i loro colleghi, vicini e conoscenti scoprissero che loro sono ebrei”, ha detto Heisler.

I dati del rapporto Maszhisz confermano queste preoccupazioni. Le teorie della cospirazione abbondano in Ungheria e le invenzioni sui social media relative agli ebrei benestanti, in particolare sul miliardario ebreo ungherese progressista George Soros, che è pubblicamente un avversario di Viktor Orbán, vengono bevute avidamente. Nei media locali, il giornalista e commentatore Zsolt Bayer è una voce fortemente antisemita con un vasto pubblico e ottimi agganci politici. Fondatore con Orbán del partito Fidesz al potere, Bayer ha ricevuto nel 2016, per volere del Primo Ministro, uno dei più alti riconoscimenti ungheresi, l'Ordine al Merito della Croce di Cavaliere. In un episodio del programma radiofonico di Bayer l'anno scorso, la pandemia di coronavirus è stata descritta come una cospirazione ebraica globale con il linguaggio osceno per cui lui è famoso (Bayer in precedenza aveva affermato che gli zingari rom “non sono adatti a vivere tra la gente” e in un articolo di una rivista del 2020 si è riferito alle persone di colore usando la parola “Negri”.) “Gli ebrei sono la fonte dei nostri problemi”, ha detto Bayer nello show, facendo eco al famigerato slogan nazista secondo cui gli ebrei “sono la nostra sfortuna.” Ha sviluppato questo argomento affermando che il coronavirus è stato progettato dagli ebrei come pretesto per imporre la “legge marziale” all'intero globo. Il sondaggio che ha accompagnato il rapporto Maszihisz ha rivelato che il 20 % degli ungheresi aveva opinioni “fortemente antisemite”, mentre un ulteriore 16 % è stato descritto come “moderatamente antisemita.” Queste cifre sono coerenti con gli anni precedenti, ha osservato il sondaggista, mentre il restante 64 % della popolazione “non mostra alcun atteggiamento antisemita.”

Inoltre, l'analisi che accompagna il sondaggio ha sottolineato che gli ungheresi tendono a non fare commenti antisemiti spontaneamente, ma che sarebbero comunque d'accordo con una serie di dichiarazioni antisemite che venissero loro suggerite. Anche la memoria della Seconda Guerra Mondiale è importante. In comune con altri Paesi dell'Europa orientale, l'Ungheria sta attivamente revisionando la sua narrativa della Seconda Guerra Mondiale per ridurre al minimo la portata della collaborazione locale con i nazisti nello sterminio dei 500.000 ebrei ungheresi, che furono deportati in massa alla fine del 1944. Il rapporto Maszihisz ha riportato che una grande percentuale di ungheresi era stufa di commemorare la Shoah, registrando con preoccupazione “la crescente prevalenza della negazione e della relativizzazione della Shoah (la prima è comune a circa uno su 10 intervistati, la seconda a circa uno su cinque).” Se il linguaggio alla fine si trasformerà in violenza rimane una questione aperta. Vale la pena ricordare che l'antisemitismo negli Stati Uniti era principalmente retorico e comportamentale fino a tempi piuttosto recenti; solo dopo la sparatoria alla sinagoga Tree of Life a Pittsburgh nel 2018, la minaccia della violenza è diventata una parte centrale del problema. Ma i segnali di pericolo ci sono sempre.

Ben Cohen Writer - JNS.org
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate

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