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Diego Gabutti
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'Turisti nel Terzo Reich. Viaggiare in Germania all'epoca del nazismo', di Julia Boyd 06/05/2023
Riprendiamo da ITALIA OGGI di oggi, 06/05/2023, la recensione a "Turisti nel Terzo Reich. Viaggiare in Germania all'epoca del nazismo" di Diego Gabutti.

Turisti nel Terzo Reich. Viaggiare in Germania all'epoca del nazismo - Julia  Boyd - Libro - Luiss University Press - Pensiero libero | IBS
Julia Boyd, Turisti nel Terzo Reich. Viaggiare in Germania all'epoca del nazismo, Luiss University Press 2023, pp. 424, 26,00 euro, eBook, 14,99 euro.

Ci sono momenti in cui la storia gira male, tutto va a rotoli, le minoranze diventano aggressive, eppure a nessuno sembra importare, e anzi larga parte della pubblica opinione prima abbozza, poi addirittura se ne compiace. Succede col comunismo in Russia, poi col fascismo in Italia e col nazionalsocialismo in Germania, dove l’efferatezza bolscevica, che già sta falciando vite a centinaia di migliaia, si gemella con lo squadrismo e la retorica del fascismo mussoliniano, tra tutti il regime horror più attenuato (per chi si consola con poco). D’un tratto il totalitarismo, che fino a un momento prima appariva esecrabile, comincia a sembrare «una soluzione», se non benevola almeno necessaria. C’è o non c’è bisogno d’ordine? Per governare le nazioni ci vuole il pugno di ferro. Disciplina, perdio. Questa è la vera libertà: ranghi serrati e passo dell’oca.

Ovunque in Occidente cresce l’interesse per le nazioni in cui la rivoluzione totalitaria attecchisce. Cresce tra i politici, alcuni ansiosi d’imitare le imprese dei leader carismatici, altri per il momento soltanto incuriositi. Cresce tra i giornalisti e gli artisti, gli uni e gli altri bizzarramente attratti dai regimi che bandiscono la libertà d’espressione. Cresce l’interesse per le politiche demagogiche tra la gente comune. Come racconta Julia Boyd in un grande libro di storia minore, Turisti nel Terzo Reich, campi di lavoro, prigioni e deliri eugenetici attirano legioni di viaggiatori. In Urss non è facile entrare, quindi i turisti sono in larga maggioranza diretti in Germania, mentre il regime mussoliniano, sotto il profilo turistico, non sfonda, e in Italia si continua a visitare Venezia, Firenze, Capri.

È fin dagli anni venti, nei giorni bui della disfatta, poi in quelli eccitanti e sfrenati della Repubblica di Weimar, che i turisti convergono su Berlino. Sono turisti interessati alla Germania del Bauhaus, delle avanguardie artistiche, del cabaret, di Marlene Dietrich in calze di rete e cappello a cilindro sulle ventitré. Ci sono visitatori in cerca d’emozioni forti, e di sesso a buon mercato, come i poeti e gli scrittori inglesi omosex, da Christopher Isherwood a Wystan Hugh Auden, che nella Berlino proletaria e sottoproletaria, tartassata dai debiti di guerra, trovano partner sempre nuovi a prezzi stracciati (è perché frequentano giovani operai bisognosi, e perché profittano della miseria generale senza mancare tra un inguacchio e l’altro di denunciarla, che si professano marxisti, anche se la loro infatuazione per il comunismo, bisogna dirlo, durerà poco). C’è un pericolo comunista: la Germania ha già visto più d’un tentativo insurrezionale manovrato da Mosca. Ma c’è anche un pericolo fascista: il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori, o NSDAP, che ha per Führer Adolf Hitler e per simbolo una svastica, nel 1923 ha tentato una sollevazione a Monaco. Fallito militarmente, il putsch è stato politicamente una mezza vincita alla lotteria, e da allora il partito non ha fatto che crescere nel favore elettorale dei tedeschi.

Anche molti militanti comunisti, delusi dal fallimento dei tumulti promossi dal partito, si stanno convertendo a Hitler: molti hanno notato che nazismo e comunismo si somigliano come gocce d’acqua, e che se i due sistemi si detestano tra loro è soltanto perché pescano consensi nelle stesse fasce sociali e perché – come potrebbero spiegar loro Freud e Dostoevskij, autori di «libri denegerati» ma veritieri che nazisti e comunisti non leggono ma anzi bruciano – la «paura del sosia» è parte grassa e fondante della condizione umana. Tra i primi afroamericani laureati a Harvard, W.E.B. Du Bois, che visitò la Germania dopo l’ascesa degli hitleriani al potere e fu ricevuto ai piani alti del regime, «sosteneva che la Germania fosse “scivolata nel bolscevismo” e che questo fosse da imputare interamente a Hitler. A suo modo di vedere, il governo nazionalsocialista era una copia così fedele dell’Unione Sovietica che non c’era quasi più differenza tra i due sistemi. Du Bois citava “la politica monetaria e bancaria; i passi per accentrare proprietà e controllo della terra nelle mani dello Stato; il suo essere proprietario e controllore dell’industria; la sua regolamentazione di salari e lavoro; la costruzione di case e infrastrutture, il suo movimento giovanile e la presenza di un solo partito alle elezioni”».

Du Bois – nero, quindi più che sensibile alla questione razziale in un regime che proclamava la superiorità degli «ariani» e che opprimeva gli ebrei, fino alla Soluzione Finale di pochi anni più tardi – non fu inizialmente così ostile ai nazisti. Col tempo si sarebbe indignato, ma l’antisemitismo, nei primi tempi, non lo scandalizzò più di tanto. Non era il solo a capire le «ragioni» dell’odio antiebraico. «Anche l’economista John Maynard Keynes» – racconta  Julia Boyd – «autore nel 1919 di Le conseguenze economiche della pace e pronto a tessere le lodi di amici ebrei come Albert Einstein e il banchiere Carl Melchior, dopo una visita a Berlino scrisse: “Comunque sentivo che se fossi vissuto lì avrei potuto diventare antisemita anch’io, perché il povero prussiano è troppo lento e piantato sulle gambe rispetto a quell’altro tipo di ebrei, quelli che non sono folletti, ma servi del diavolo, con piccole corna, forconi e code oleose”. Aggiunse che era davvero sgradevole vedere una civiltà “schiacciata dagli orrendi pollici dell’ebreo impuro che ha soldi, potere e cervello”». Hitler, in fondo, aveva i suoi «meriti», oltre che le sue «ragioni», agli occhi di molti intellettuali; idem Stalin e il Dux.
«Si rimane sconcertati», si legge in Turisti nel Terzo Reich, «nello scoprire quanti celebri esponenti della letteratura del Ventesimo secolo siano stati attratti dal fascismo. Il fatto stesso che scrittori del calibro di Ezra Pound, Wyndham Lewis e del norvegese Knut Hamsun, vincitore del Nobel per la letteratura, abbiano potuto apertamente tollerare un regime che bruciava libri in piazza, che torturava e assassinava la gente per il solo fatto d’avere espresso un’opinione, lascia profondamente perplessi. Anche T.S. Eliot, il poeta della Terra desolata, figura tra coloro ai quali sono state attribuite saperte impatie fasciste, mentre W.B. Yeats fu un sostenitore delle camicie blu irlandesi [un’organizzazione filofascista attiva nell’Irlanda degli anni trenta]. E se pure tali accuse fossero infondate o esagerate, resta comunque aperta la questione di come sia stato possibile per qualsiasi scrittore straniero dotato di coscienza non farsi parte attiva nella condanna di una dittatura i cui tratti distintivi erano la brutalità, la censura e la repressione». Pittore e scrittore, nonché fondatore del movimento «vorticista», Wyndham Lewis fu – insieme a Knut Hamsun, un dichiarato collaborazionista dei nazisti durante la guerra – l’intellettuale che si sbilanciò di più a favore della Germania, dove andò spesso in visita, accolto con benevolenza dai nazisti. Pubblicò un libro intitolato Hitler: «È fondamentale», scrisse, «capire che Adolf Hitler non è un guerrafondaio». E per meglio chiarire il concetto, racconta Boyd, «intitolò uno dei capitoli “Adolf Hitler: un uomo di pace”».
C’erano tifosi del regime, indifferenti alla sua ferocia e al terribile destino degli ebrei, anche tra gli ambasciatori delle potenze democratiche superstiti, e persino tra gli aristocratici inglesi (compreso il re d’Inghilterra, Edoardo VIII, che simpatizzava apertamente per la svastica, e che anche per questo, non solo per la sua liaison con Wally Simpson, americana e divorziata, dovette abdicare in fretta e furia nel 1936). Impiegati e studenti, massaie e bottegai passavano le vacanze in Germania, elogiandone l’ordine e la disciplina. Ma guardiamoci intorno. Succede anche adesso. Quanti tifano per Putin e contro Zelensky? In America milioni di elettori hanno votato e torneranno a votare per Donald Trump. Quanti italiani continuano a osannare i populisti, i «neo» e i «vetero», e persino peggio, rapiti da Giuseppe Conte e Giorgia Meloni, da Elly Schlein e Maurizio Landini, da Matteo Salvini?

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Diego Gabutti




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