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Antonio Donno
Israele/USA
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La crisi politica in Israele avvantaggia i suoi nemici 24/05/2022
La crisi politica in Israele avvantaggia i suoi nemici
Analisi di Antonio Donno

A destra: Joe Biden

La crisi politica che si prospetta in Israele, a causa della defezione di alcuni membri dell’attuale maggioranza, avrà riflessi non solo all’interno del mondo politico israeliano, ma ha anche una valenza che supera i confini di Israele e si proietta sull’intero scacchiere mediorientale. È un pericoloso segnale di disunione e di incapacità di governare stabilmente un Paese che si troverà tra non molto a fronteggiare gli esiti dei negoziati di Vienna tra Stati Uniti (e altri Paesi) e l’Iran dell’oltranzista Raisi.

Nulla si sa ancora di tali esiti ma nessun elemento di novità impedisce di pensare che Teheran continuerà (lo sta facendo tuttora) a sviluppare il progetto di arricchimento dell’uranio e a rinforzare il suo apparato bellico. Nello stesso tempo, tutte le formazioni terroristiche agli ordini del regime iraniano premono perché la fase di stallo nella lotta contro Israele cessi al più presto.

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     La guerra islamica per la distruzione dello Stato di Israele è un punto fermo della dottrina jihadista. Nulla potrà modificare questo impegno sacro perché Israele occupa una parte del suolo dell’Islam. Benché gli Accordi di Abramo abbiano determinato una situazione di pace e collaborazione tra Israele e alcuni Stati arabi sunniti, il dato di fatto che resta inalterato è che l’Iran, l’Iraq controllato da Teheran e i numerosi gruppi terroristi sparsi nella regione sono unanimi nel ritenere che la lotta contro Israele, fino alla sua scomparsa, debba costituire un obbligo religioso per i fedeli dell’Islam. In sostanza, la stragrande maggioranza del mondo sciita, guidato dagli ayatollah iraniani, si pone come antagonista feroce nei confronti degli ebrei che hanno dato vita a una realtà che deve essere a tutti i costi eliminata.

     Tutto questo è risaputo e proprio per questo motivo le ripetute crisi politiche israeliane – soprattutto quella che si prospetta a breve termine – impongono una riflessione molto seria al mondo politico di Israele e al suo elettorato. L’incertezza politica avvantaggia i nemici di Israele. Israele non deve aspettarsi esiti tranquillizzanti dai negoziati di Vienna. Al contrario. I recenti attacchi terroristici mandano un segnale negativo, anche se i gruppi terroristici legati all’Iran – Hamas e Jihad islamica – sono fermi e attendono buone nuove da Teheran per rimettersi al lavoro contro Israele.

     La politica di Washington nel Medio Oriente soffre di una stasi preoccupante. Le ragioni sono tutte interne al mondo politico che sostiene l’Amministrazione Biden. Essa è nata da un incontro provvisorio anti-Trump tra i moderati del Partito Democratico e la sua ala sinistra, costituita dal progressismo liberal, che è cosa ben diversa, anzi opposta, rispetto alla tradizione liberal che ha dato vita alla nazione americana e l’ha guidata sino a poco tempo fa. Il progressismo liberal, che spesso acquisisce i connotati di una sorta neo-marxismo, disdegna Israele perché si oppone alle “giuste rivendicazioni” del popolo palestinese. L’influenza di questa corrente politica in seno al Partito Democratico si è andata rafforzando nel corso degli anni di Trump, la cui azione politica in favore di Israele ha finito per costituire un fattore di contrapposizione anti-repubblicana da parte democratica. Di conseguenza, lo scostamento dell’Amministrazione Biden dalle problematiche mediorientali ha significato una presa di distanza da Israele, come attuazione di un impegno preso da Biden nei confronti dell’ala sinistra del Partito Democratico, gli esponenti del progressismo liberal.

     Questa valutazione non può sfuggire ai vertici politici iraniani e dei gruppi terroristici organizzati che combattono Israele. Essi si augurano che le prossime elezioni presidenziali americane confermino il Partito democratico e rafforzino al suo interno l’ala di sinistra anti-israeliana.

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Antonio Donno

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