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Antonio Donno
Israele/USA
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Il cessate il fuoco favorisce il terrorismo di Hamas 18/05/2021
Il cessate il fuoco favorisce il terrorismo di Hamas
Analisi di Antonio Donno

Hamas offers Qassam rockets to any Arab army willing to fight Israel — RT  World News

In tutti i telegiornali della Rai che si sono succeduti nel corso del conflitto in atto tra Israele e Hamas, mai si è detto in maniera chiara che Hamas è un’organizzazione terroristica riconosciuta come tale da Unione Europea, Stati Uniti, Canada, Egitto e Giappone. Anche nello Speciale di Rai1, condotto da Emma d’Aquino venerdì scorso, mai si è fatto riferimento esplicito a Hamas come organizzazione terroristica, per quanto Daniele Raineri, del “foglio”, sia stato il più chiaro nell’attribuire a Hamas la responsabilità di aver aperto le ostilità contro Israele. Ciò non deve sorprendere, perché ora il refrain che si ripete in continuazione è quello del “cessate-il-fuoco” tra i due contendenti. Ma quali sono i due contendenti? Da una parte, uno Stato sovrano, riconosciuto internazionalmente, presente nelle Nazioni Unite e attivamente impegnato sul piano diplomatico e degli scambi culturali ed economici con ogni parte del mondo; dall’altra, un’organizzazione terroristica la cui finalità è la distruzione dello Stato di Israele, cioè di uno Stato ben presente e radicato nel sistema politico internazionale. Eppure, quest’assurdità finisce per essere una copertura per invocare un “cessate-il-fuoco” tra uno Stato sovrano e un’organizzazione terroristica, che andrebbe eliminata dalla scena del Medio Oriente. Ha ragione Bassem Eid, un palestinese che ha fondato a Gerusalemme il Palestinian Human Rights Monitoring Group, il quale ha sostenuto (https://blogs.timesofisrael.com/this-has-nothing-to-do-with-sheikh-jarrah/) che la vera ragione che ha spinto Hamas ad attaccare Israele è l’annullamento delle elezioni in Cisgiordania da parte di Abu Mazen, per il timore che fossero vinte da Hamas. Così, l’organizzazione terroristica ha attaccato Israele, adducendo pretesti inconsistenti, ma con lo scopo di fomentare la ribellione dei palestinesi di Gerusalemme Est e di altre città israeliane e ottenere un sostegno sempre più ampio al suo progetto di conquista della leadership in Cisgiordania e poi di distruzione di Israele.

Nonostante questa evidenza, all’interno di Israele si sentono voci che attribuiscono a Netanyahu pesanti responsabilità per la presente situazione. Così, il giornalista Avi Issacharoff, di “Haaretz” e ora di “Walla!”, tra le varie accuse a Netanyahu, sostiene, nel numero di ieri di “Repubblica”, che il primo ministro israeliano “negli ultimi 12 anni [abbia] lasciato che Hamas si rafforzasse militarmente, permettendo che producesse missili non stop, facendo entrare i milioni dal Qatar, concedendo agevolazioni umanitarie ed economiche che sperava avrebbero comprato la quiete. Allo stesso tempo indebolendo Abu Mazen [...]”. Secondo Issacharoff, dunque, Netanyahu avrebbe dovuto attaccare Gaza per distruggere il suo arsenale, omettendo di dire che ciò avrebbe comportato un diluvio di accuse a livello internazionale, ponendo Israele in una difficile condizione a livello internazionale e favorendo proprio i nemici dello Stato ebraico. Ancora: Netanyahu avrebbe indebolito Abu Mazen? È un’affermazione grottesca, segno della malafede dei nemici interni di Netanyahu. Abu Mazen si è indebolito con le sue stesse mani, a causa della sua incapacità cronica di gestire la situazione interna all’Autorità Palestinese e nei rapporti con i governi israeliani. Questo è riconosciuto, a livello internazionale, da tutti gli osservatori politici, tranne che dall’ineffabile Avi Issacharoff. Quante menzogne nei confronti del primo ministro israeliano, in un momento di estrema difficoltà per Israele!

Chi sono gli arabi israeliani che manifestano violentemente per le città di Israele? La risposta, inequivocabile, è stata data da Efraim Karsh in un articolo pubblicato su “Commentary Magazine” del dicembre 2003. Dal 1948 fino a oggi una quota crescente di arabi israeliani ha raggiunto gradi di istruzione sempre più elevati, ha migliorato la propria condizione economica, si è inserita nell’economia di Israele. Eppure, scrive Karsh, proprio costoro oggi “sfidano apertamente i principi fondamentali che sono alla base della loro stessa esistenza”. Ha ragione Gianni Vernetti nel suo articolo pubblicato su “Huffpost” il 15 maggio scorso: “La comunità internazionale [...] dovrebbe porsi un obiettivo chiaro: lo smantellamento delle capacità militari di Hamas nella striscia di Gaza”. Giusto. Ma dov’è la comunità internazionale?

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