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Antonio Donno
Israele/USA
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Il progetto egemonico di Erdoğan nel Mediterraneo Orientale 06/09/2020
Il progetto egemonico di Erdoğan nel Mediterraneo Orientale

Analisi di Antonio Donno

A destra: il sultano Erdogan

Il 26 agosto 2020, il presidente turco Erdoğan, in occasione di una cerimonia ufficiale, ha detto: “La conquista turca non è occupazione, né saccheggio. Essa diffonde la giustizia di Allah. Se qualcuno vuole opporsi a noi, ne pagherà il prezzo. Si facciano avanti”. Poi è passato a definire le aree della conquista turca: “La Turchia prenderà ciò che le appartiene per diritto nel Mare Mediterraneo, nel Mare Egeo e nel Mar Nero”. Qualche giorno dopo, il 1° settembre, il vice-capo della polizia di Dubai, ha così replicato a Erdoğan: “L’Iran e la Turchia, non Israele, minacciano gli Stati del Golfo. L’Iran deve scegliere tra la morte economica, il collasso del regime, e la pace con Israele. Il presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, deve dimettersi”. In estrema sintesi, queste sono le posizioni che si confrontano all’interno del mondo islamico del Medio Oriente, in considerazione che, dopo gli Emirati Arabi Uniti, anche Dubai si accinge a fare il passo verso la pace con Israele.

La grave crisi interna del regime di Teheran ha posto in maggiore risalto le ambizioni turche di conquista nelle regioni che Erdoğan stesso ha indicato. Di qui le preoccupazioni della Grecia, di Israele e degli Stati del Golfo Persico, dopo che la Turchia si è inserita di fatto nella questione libica, ponendosi come potenza risolutrice del conflitto interno a favore di ‎Fayez al-Sarraj. Di fronte alla sostanziale inazione dell’Europa e all’indifferenza americana verso la guerra civile libica, Erdoğan ha rotto gli indugi e ha messo piede in Libia. Nel progetto di “turchizzazione” del Mediterraneo, la Libia riveste un ruolo strategico fondamentale, anche se siamo ancora all’inizio del progetto ambizioso di Erdoğan. A ciò occorre aggiungere che Ankara non ha la forza economica in grado di dar vita a tale conquista, in considerazione della grave crisi economica del paese. Per questo motivo, i contatti tra Turchia e Cina si sono moltiplicati in questi ultimi mesi. La Turchia ha bisogno del sostegno economico di Pechino e quest’ultimo ha in corso l’ambizioso progetto di uno sbocco economico nel Mediterraneo. Nello stesso tempo, l’appartenenza di Ankara alla NATO fornisce uno scudo protettivo contro ogni critica che dovesse giungere dai paesi europei membri dell’Organizzazione; una situazione che i vertici della NATO non osano modificare e che avvantaggia la politica espansionistica di Erdoğan nella regione. Finora, Trump ha avuto amichevoli rapporti con Erdoğan, ritenendo probabilmente che le ambizioni di Ankara non potessero avere un esito concreto.

US slams Turkey's Erdogan for hosting Hamas – Middle East Monitor
Il capo di Hamas Khaled Meshaal con Recep T. Erdogan

Ma gli ultimi fatti di Libia dovranno porre all’attenzione della nuova Amministrazione americana questa realtà che potrebbe mettere a rischio la stabilità del Mediterraneo Orientale. Israele e il mondo arabo sunnita che si sta avvicinando allo Stato ebraico vedono con preoccupazione le mosse di Erdoğan nella regione. Di fatto, si sta sviluppando un duplice movimento strategico profondamente antitetico: un processo di distensione tra Israele e il mondo arabo sunnita, da una parte, e il piano di conquista turca di posizioni importanti nella regione, dall’altra. In sintesi, alla stabilizzazione in corso in virtù dell’incontro israelo-sunnita si contrappone un progetto di destabilizzazione dell’intera area a causa del progetto egemonico di Erdoğan di costruzione di un neo-Impero Ottomano. Se questa contrapposizione strategica dovesse incrementarsi nel futuro, il problema acquisirebbe dimensioni internazionali impreviste. È per questo motivo che gli Stati Uniti dovranno ripensare la propria amicizia con il regime di Ankara e la stessa Unione Europea dovrà darsi una mossa per uscire dal suo insopportabile letargo. Uno sguardo più attento alle azioni di Erdoğan nella regione ci porta a considerazioni di più vasta scala. Accanto alle posizioni acquisite in Siria e al ruolo che ormai svolge in Libia, la Turchia è in conflitto di interessi nel Mediterraneo Orientale per quanto riguarda il petrolio scoperto in un tratto di mare tra la stessa Turchia, Cipro, Siria e Israele. In particolare, ciò che maggiormente preoccupa è la strisciante polemica tra Ankara e Gerusalemme sullo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e di gas naturale: una polemica che è destinata ad acutizzarsi, anche in considerazione del fatto che Erdoğan ha condannato l’avvicinamento degli Emirati a Israele, un passo che porterebbe l’intero mondo arabo sunnita a stipulare accordi di pace con Israele e a rafforzare la posizione di quest’ultimo nello scenario regionale.

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Antonio Donno

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