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Antonio Donno
Israele/USA
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A 25 anni dagli Accordi di Oslo 26/09/2018

A 25 anni dagli Accordi di Oslo
Commento di Antonio Donno

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La stretta di mano tra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat sotto gli auspici di Bill Clinton

A venticinque anni dagli Accordi di Oslo si fa sempre più evidente che il governo israeliano di Yitzhak Rabin abbia commesso uno dei più grandi errori della storia dello Stato ebraico nella gestione delle trattative con la controparte palestinese, con a capo il terrorista Yasser Arafat. Ma l’aspetto più inquietante è che, dopo la firma degli accordi e nonostante lo scatenamento della seconda intifada, il governo israeliano continuò a sostenere la validità di quegli accordi, supportato dal Dipartimento di Stato americano, con a capo Colin Power e dal suo vice, Richard Armitage, contro le posizioni del presidente George W. Bush. Non è la prima volta nella storia del secondo dopoguerra che un presidente americano sia stato contrastato dal proprio Dipartimento di Stato, il cui compito è di dare attuazione alla politica estera decisa dal presidente, sentiti i propri collaboratori. Per restare nel campo delle questioni mediorientali e dei rapporti con Israele, non si può dimenticare lo stridente contrasto tra il presidente Truman e il Dipartimento di Stato, con in testa George Marshall, a proposito della spartizione (novembre 1947) e poi del riconoscimento di Israele (1948). Meno marcato, ma chiaro, fu il contrasto tra Richard Nixon e il segretario di Stato, William Rogers, sempre a proposito della questione israelo-palestinese.

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Donald Trump

Nel caso specifico, a rivelare il contenuto di questo contrasto è Douglas J. Feith in un recente, lungo articolo apparso su “BESA Perspectives” (September 13, 2018). Feith fu un testimone diretto degli eventi perché tra il 2001 e il 2005 fu Sottosegretario alla Difesa. Immediatamente dopo la firma degli accordi, il Dipartimento di Stato, spalleggiato dal Pentagono, era dell’avviso che, proprio in virtù di quegli accordi, Israele avrebbe potuto operare un ritiro unilaterale dai territori “occupati” della Cisgiordania. Da parte sua, Rabin chiese ad Arafat un impegno per la pace e per la rinuncia al terrorismo in cambio del ritiro unilaterale. Nonostante un fitto scambio di lettere, apparve chiaro che il capo terrorista non intendeva giungere a un impegno che avrebbe compromesso l’obiettivo storico della distruzione di Israele. Il governo di Rabin lasciò cadere la questione. “Ciò stava a dimostrare – scrive Feith – che il governo israeliano era determinato a compiere il ritiro, fosse o meno Arafat deciso a impegnarsi per la pace”. Insomma, il governo laburista era entrato in una fase critica della sua politica verso la questione palestinese; era posseduto da una sorta di nevrotica volontà di chiudere la decennale questione a tutti i costi, si potrebbe dire. Da parte sua, scrive Feith, “Arafat aveva capito che il governo israeliano semplicemente voleva mettere fine all’occupazione e perciò egli non intendeva impegnarsi in promesse di pace. In ogni caso, non voleva porre termine al conflitto. Non aveva alcuna intenzione di consegnare a Israele il diritto di esistere. Egli prese ciò che Israele gli volle dare, ma non si impegnò per la pace”. Quando George W. Bush divenne presidente, le cose cambiarono. Egli si rese conto che Arafat, scatenando la seconda intifada, aveva fatto il doppio gioco. Ma Powell e Armitage lo pressavano perché riprendesse il discorso iniziato a Oslo. Bush si oppose. Così, il 24 giugno 2002, Bush tenne un discorso il cui punto fondamentale Feith riporta: “La pace richiede una nuova e diversa leadership palestinese perché uno Stato palestinese possa nascere”, disse il presidente. Bush non volle più incontrare Arafat. Ma Powell e Armitage – sostiene Feith – non accettarono i contenuti del discorso di Bush ed elaborarono la ben nota “Road Map”, accettata da Ariel Sharon, allora primo ministro di Israele. Dunque, secondo Feith, anche Israele ignorò il discorso di Bush. Sharon continuò a sostenere la “Road Map”, anche quando quella strategia si dimostrò inutile, anzi dannosa per Israele. Feith conclude il suo interessante articolo con un riferimento alla situazione attuale: l’amministrazione Trump “sembra aver fatto propri i punti di vista fondamentali del discorso di Bush del 24 giugno 2002”.


Antonio Donno


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