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Antonio Donno
Israele/USA
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Trump e la Corea del Nord 10/03/2018

Trump e la Corea del Nord
Analisi di Antonio Donno

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Chi la dura la vince

Il rappresentante americano indipendente, Luke Messer, ha detto che se il presidente Trump dovesse riuscire nell’impresa di convincere il leader nord-coreano, Kim Jong Un, a denuclearizzare il proprio paese dopo una serie di incontri e di decisioni comuni, egli meriterebbe di ottenere il Nobel della Pace. In questi giorni, più realisticamente, sei senatori repubblicani – Cory Gardner (Colo.), Jim Inhofe (Okla.), James Risch (Idaho), Marco Rubio (Fla.), Ron Johnson (Wis.) and Todd Young (Ind.) – hanno inviato una lettera a Trump invitandolo a impegnarsi perché gli incontri tra Stati Uniti e Corea del Nord abbiano luogo, per quanto, si legge nella lettera, “non dobbiamo mai dimenticare che la Corea del Nord continua a rappresentare una grave minaccia per gli Stati Uniti, i nostri alleati e la pace e la stabilità globali”. 
Al di là di queste prese di posizione di alcuni repubblicani su questa materia, è opportuno oggi fare un breve bilancio dell’azione e dei risultati di Trump nel campo delle relazioni internazionali. Dopo l’incontro al vertice tra i due presidenti di Corea del Nord e del Sud, evento importante che non si era mai verificato dopo la fine della guerra di Corea nel 1953, Kim Jong Un si è detto disposto ad incontrare Trump per dibattere le questioni sul tappeto tra i due Stati. Come interpretare questa apertura da parte del dittatore di Pyongyang? In passato v’erano stati accordi, ma a più basso livello, e comunque non avevano portato ad alcun risultato, tranne l’esborso di grandi cifre per la Corea del Nord in cambio di impegni mai mantenuti. 
Forse il tempo della furbizia sta per finire. La minaccia costante militare da parte di Washington nei confronti di Pyongyang, lo spostamento di forze navali americane nei mari intorno alla Corea del Nord e, probabilmente, la necessità di denaro da parte nord-coreana hanno spinto il dittatore del nord a più miti consigli.
Ma un altro fattore deve essere preso in considerazione. Mentre nel passato le minacce occidentali contro il regime di Pyongyang avevano ottenuto una risposta altrettanto minacciosa da parte della Cina di Mao e dell’Unione Sovietica, oggi il loro atteggiamento è molto più conciliante, limitandosi a predicare la moderazione tra le parti. 
È molto probabile che il regime nord-coreano abbia capito la posizione di Pechino e Mosca e non è escluso che da parte delle due capitali siano giunti consigli a Kim Jong Un di non lanciare più missili intercontinentali. 
In fondo, sia la Cina, sia la Russia hanno ambizioni di altro genere nello scacchiere internazionale. La Cina vuole conquistare mercati nel Medio Oriente e nell’America Latina, la Russia è impegnata nella faccenda mediorientale accanto all’Iran e alla Turchia. Sta di fatto, però, che la dura azione di Trump nei confronti della Corea del Nord ha rimesso in moto la questione, ha riassicurato sia la Corea del Sud, sia il Giappone e, infine, cosa di grande rilievo, ha riproposto la presenza americana nel Pacifico, che si era andata sfibrando nel corso degli otto anni di pessima amministrazione di Obama. 
È difficile pronosticare quale sarà l’esito della politica di Trump verso quella regione di fondamentale importanza strategica. Ma intanto l’iniziativa è passata nelle mani americane. Staremo a vedere.
Ma l’azione di Trump deve essere posta accanto ad altre questioni in cui gli Stati Uniti hanno ripreso a lavorare. Innanzitutto, il problema mediorientale. Le aperture dell’Arabia Saudita verso la modernità non sono da scindere dalla questione più generale degli accordi, espliciti o impliciti, che Riad sta maturando con Washington. 
Il pericolo dell’Iran sciita sta spingendo il mondo arabo a considerare che la protezione americana è indispensabile, facendo scadere il problema di Israele a un livello secondario nell’agenda politica araba e costringendo di fatto le diplomazie europee a riconsiderare i contenuti dell’accordo sul nucleare stipulato con Teheran.
In secondo luogo, le misure protezionistiche di Trump, al di là della loro efficacia, tutta da verificare, hanno lanciato un monito generale sul fatto che l’Amministrazione americana intende rispettare fino in fondo le promesse elettorali, ridando fiducia al mercato interno e favorendo così il mondo del lavoro che lo aveva votato massicciamente.


Antonio Donno


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