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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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La parola sicurezza nelle due versioni 21/02/2015
 La parola sicurezza nelle due versioni
Commento di Angelo Pezzana


Abu Mazen

Sbaglia chi ritiene l’Autorità nazionale palestinese (Anp) disinteressata alla parola “sicurezza”, perlomeno alla propria. Diverso, se invece si tratta di Israele, in questo caso l’interesse è uguale a zero, dominando ancora l’ideologia distruttiva che ha sempre contraddistinto la politica dei regimi arabi – e di conseguenza quella delle varie dirigenze palestiniste – che scomparendo Israele, per lasciare il posto ad un ennesimo stato arabo, tutto continuasse come prima.

Via gli ebrei, ma non tutto quanto hanno fatto, costruito, inventato, le città che hanno fondato, l’enorme progresso che ha cambiato quel piccolo pezzo di terra in un secolo di duro lavoro, ma sostenuto da creatività, capacità imprenditoriale, una società moderna aperta a tutti, senza distinzione. La sola idea che bastasse impossessarsene per garantirne la continuità non è mai stata scalfita dalla evidente realtà storica, Israele spariva e magicamente tutto continuava come prima.

Una illusione che dura tuttora, tranne in un caso, per essere precisi quando in questione entra la sicurezza nei territori di Giudea e Samaria, Cisgiordania o West Bank, dove la traballante gestione dell’Anp deve quotidianamente confrontarsi con la crescita dei consensi verso Hamas. Entra allora in gioco il bisogno determinante della collaborazione con Israele, più che mai indispensabile per individuare i gruppi o le cellule terroriste che potrebbero come primo risultato mettere in discussione - all’interno del mondo palestinista - la legittimità del governo di Abu Mazen.


Abu Mazen

Israele diventa allora l’alleato indispensabile, non lo dichiareranno apertamente, ma sarà un segreto di Pulcinella. Shin Bet, il servizio segreto interno israeliano, di fatto lavora in stretto collegamento con quello di Abu Mazen, il nemico da stanare è comune, che si chiami Hamas, o Stato Islamico poco importa. Ce ne ha dato prova ieri un reportage di Le Monde da Hevron.

La storia inizia con la scoperta da parte di Israele di una cellula di arabi israeliani affiliati allo Stato Islamico, partiti per andare a combattere in Siria, tutti identificati dallo Shin Bet e arrestati lo scorso novembre. Qui entra in scena Ahmed Shihadeh, di Hevron, 22 anni, il cui obiettivo era quello di uccidere un soldato israeliano nella città dei patriarchi, usare le sue armi per colpirne altri, senza escludere anche militari palestinesi dell’Anp, giudicati collaboratori degli ‘occupanti’. L’ha ammesso lo stesso Ahmed durante gli interrogatori. Per i servizi di sicurezza palestinisti non ci sono gruppi armati in Cigiordania affiliati allo Stato Islamico, ma solo individui “dai comportamenti violenti e estremisti dovuti all’occupazione israeliana”. Perché mai ammettere che lo Stato Islamico sta mettendo radici nei territori dell’Anp ? Sono solo dei gruppi salafiti, peraltro già conosciuti e anche arrestati dai loro servizi segreti.


Abu Mazen allo specchio: ecco Arafat

Segue però l’ammissione di una stretta collaborazione con i servizi israeliani, anche se ne viene data una spiegazione, imbarazzata quanto poco credibile: “vedono che l’occupazione continua, la presenza dei coloni a Hevron, sarei sorpreso se non diventassero degli estremisti”, ha dichiarato Kamel Khmeid, governatore di Hevron. Naturalmente il servizio del giornale parigino enfatizza l’occupazione come la sorgente di tutti i mali della regione, come se il terrorismo dello Stato Islamico avesse le radici nel conflitto israelo-palestinese, una tesi smentita dalle milizie terroriste che operano in tutti i paesi arabo-musulmani, ma è un particolare che al cauto giornalista francese sfugge.

La morale di questa storia è quella che apriva queste righe. L’Anp, per quanto sia ingenuo considerarla ‘moderata’, se vuole sopravvivere senza ricorrere ai modi tout court terroristi del Califfato o dei cugini di Hamas e Hezbollah, non ha altri a cui rivolgersi se non l’Entità Sionista. Una collaborazione che la manterrà in vita non per molto, il vento del Califfato soffia anche sui territori di Abu Mazen, che è troppo occupato nella sua guerra diplomatica a Israele per riconoscerlo pubblicamente. Pensaci tu, sembra suggerire a Israele, senza valutare che il doppio gioco alla fine gli presenterà il conto. E non sarà Israele a presentarglielo.


Angelo Pezzana


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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