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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Il mondo arabo impantanato nelle proprie delusioni 09/06/2018

Il mondo arabo impantanato nelle proprie delusioni
Analisi di Mordechai Kedar


(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

www.israelnationalnews.com/Articles/Author.aspx/614  

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Sono passati cinquantun anni dalla Guerra dei Sei Giorni, e Israele è avanzato su tutti i fronti, in economia, tecnologia, una società è passato da un sistema socialista ad una democrazia liberale e, soprattutto, nella sua dimensione geo-politica. Due Paesi arabi confinanti con Israele, Giordania ed Egitto, hanno firmato trattati di pace con lo Stato ebraico e un certo numero di Stati arabi intrattengono relazioni con Israele dietro le quinte. Israele è membro onorario dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) e il suo PIL pro capite si avvicina a 40.000 dollari all'anno.

Israele ha risolto tutti i suoi problemi? No, di certo. Israele ha sempre dovuto continuare a lottare per la sua esistenza, anche dopo il 1967. Ha combattuto una guerra di logoramento negli anni 1968-70, la Guerra dello Yom Kippur nel 1973, la Prima Guerra del Libano nel 1982 e la Seconda Guerra del Libano nel 2006, ha continuato a combattere il terrorismo senza tregua, e di recente si trova di fronte all’enorme minaccia iraniana. Ma l'Iran è un problema che può essere affrontato. 

Al contrario, il mondo arabo non si è ancora ripreso dalla Guerra dei Sei Giorni, soprattutto perché la cultura araba ha difficoltà a gestire il fallimento e l’umiliazione che ne consegue. L'ammissione del fallimento richiede naturalmente la ricerca delle cause e l’individuazione dei suoi responsabili, e impone l’obbligo di agire al fine di impedire un'altra sconfitta. Questo processo è problematico per definizione perché, nella maggior parte dei casi, la responsabilità della sconfitta era da imputare ai regimi, e nel mondo arabo del 1967 ai cittadini era proibito criticare il regime di Gamal Abdel Nasser in Egitto, di re Hussein in Giordania e di Hafez al Assad in Siria. 
Israele iniziò la guerra di difesa con un attacco aereo che distrusse le flotte aeree di Egitto, Giordania e Siria , danneggiando anche quelle dell'Iraq e del Libano. Gamal Abdel Nasser, Presidente dell'Egitto, incapace di affrontare la vergogna, dopo una telefonata con re Hussein di Giordania decise di annunciare che era stata l'aviazione americana ad attaccare e a distruggere le loro basi aeree.

Dopo che le stazioni radio egiziane e giordane ebbero riferito di "un attacco americano", i servizi segreti israeliani che avevano intercettato quella conversazione la misero in onda su Radio Israele. La trasmissione alla radio israeliana aveva messo a nudo tutta la falsità dei due dittatori, e Nasser sentì che avrebbe dovuto dimettersi per i danni inflitti alla sua credibilità. Però con manifestazioni organizzate dal regime, masse di egiziani irruppero nelle strade e il loro Presidente "dovette cedere alla volontà del popolo" e ritirare le sue dimissioni. Tre anni dopo Nasser morì di crepacuore, probabilmente per la vergogna di aver subìto la sconfitta della Guerra dei Sei Giorni e per l'umiliazione che patì quando Israele trasmise la sua conversazione con Re Hussein. 

Anche il Presidente siriano Salah Jadid e il suo Ministro della difesa, Hafez el Assad, che aveva ai suoi comandi anche l'aviazione, subirono una profonda umiliazione. A loro fu imputata la sconfitta a causa del fatto che un anno prima, nel 1966, quando avevano assunto il controllo della Siria, si erano sbarazzati di metà degli ufficiali dell'esercito sospettati di slealtà nei confronti del nuovo regime. Un gran numero di ufficiali furono giustiziati, e la conseguenza fu il fallimento dell’esercito siriano nella guerra del 1967.
Quella sconfitta fu una delle scuse che Assad addusse per rimuovere Jadid dal suo incarico presidenziale nel novembre del 1970. Per quanto riguarda la Siria, Israele aveva coperto di vergogna Jedid e Assad quando conquistò Kuneitra, la capitale delle alture del Golan, il 10 giugno.
Israele aveva trasmesso un falso notiziario sulla radio ufficiale siriana, e l’annunciatore - un soldato israeliano la cui famiglia era immigrata dalla Siria - aveva dichiarato che Kuneitra era stata sconfitta, prima ancora che la battaglia fosse iniziata. Le forze siriane che difendevano la città ascoltarono la sua presunta caduta e fuggirono senza muovere un dito per combattere, ritenendosi gli unici sopravvissuti. 
Assad soffriva di una profonda depressione che si ripresentava ogni anno il 10 giugno, a causa della perdita delle alture del Golan e del modo in cui Kuneitra cadde nelle mani di Israele. Durante i 30 anni del suo regno, Assad non riuscì a riconquistare il Golan alla Siria, per cui non riuscì a recuperare l’ onore perduto. Vecchio, malato e debole, morì di insufficienza cardiaca il 10 giugno 2000.

La sconfitta della Guerra dei Sei Giorni aveva portato anche un declino della popolarità dell’ideologia del panarabismo, che era stata promossa da Gamal Abdel Nasser e da lui usata per controllare altre nazioni arabe al fine di creare la cosiddetta “ Unità araba “. Solo la Siria accettò di unirsi all'Egitto, dando vita alla "Repubblica araba unita", che durò per tre anni, dal 1958 al 1961. Tutti gli altri governanti arabi si resero conto che "l'unità araba" era semplicemente una scusa per Nasser al fine di ottenere il controllo sui loro Paesi, per cui rifiutarono di aderirvi. Il declino dell'idea di un’unità araba, portò alla sua sostituzione con un'ideologia individualista che vedeva ogni Stato arabo come un’entità che doveva rimanere separata e indipendente.
Allo stesso tempo, si formò un risveglio del sentimento religioso poiché molti cittadini arabi cercavano giustificazioni religiose per spiegare la sconfitta.
Imam e predicatori affermarono che le due ideologie che avevano guidato gli arabi - il nazionalismo in Egitto e il socialismo Baath in Siria - erano intrinsecamente ideologie anti-religiose perché mettevano la nazione e la società al centro, relegando Allah in secondo piano. La sconfitta, secondo i predicatori nelle moschee, era la punizione inflitta da Allah a questi Paesi che gli avevano voltato le spalle. 

Questo approccio religioso alla sconfitta della Guerra dei Sei Giorni fu una caratteristica cardine delle esortazioni della Fratellanza Musulmana mentre lottava con tutte le forze di conquistare Egitto e Siria. Fu l'ascesa della popolarità della Fratellanza che portò Nasser e il suo successore Anwar Sadat a giustiziare regolarmente dirigenti di quell'organizzazione. In Siria, i Fratelli si organizzarono in segreto e si ribellarono pubblicamente solo nel 1976. Assad li combatté senza pietà e mise fine alla ribellione con il massacro di Hama nel febbraio del 1982. 

L'ascesa dell'Islam come alternativa politica all'ideologia laica e moderna negli ultimi 50 anni è vista anche come una risposta alla sconfitta della Guerra dei Sei Giorni e al fallimento delle ideologie laiche. Ecco perché il terrorismo islamico di cui soffre oggi tutto il mondo, può essere visto come una risposta ritardata e un risultato indiretto di quella guerra.
Israele l’ha chiamata "La Guerra dei Sei Giorni" per sottolineare come ci sono voluti solo sei giorni per sconfiggere tre nazioni arabe. I media arabi si sentirono in dovere di chiamarla “ La guerra del giugno 1967 “ per far sembrare che la guerra sia andata avanti per un intero mese, alcuni addirittura adottarono una forzatura chiamandola la "Guerra del 1967" dando l'impressione che sia durata un anno intero.  Nei media siriani non la chiamano neppure guerra, ma aggressione, perché la guerra è combattuta tra due Stati, mentre l'aggressione è attuata da un Paese contro un altro, con una sola parte che combatte.
 Presentare la guerra come "aggressione" fa sembrare che la Siria non sia stata sconfitta, dato che non ha nemmeno combattuto un giorno.

Fino alla Guerra dei Sei Giorni, la Giordania governava Giudea e Samaria, soffocando qualsiasi tentativo da parte dei cittadini di aderire a posizioni nazionalistiche palestinesi indipendenti dal Regno Hascemita. Con la liberazione di questi territori dall'occupazione giordana si liberò la popolazione araba anche dalla paura del potere dell’ intelligence giordana.
Israele ha permesso loro di parlare, scrivere e diffondere le aspirazioni nazionaliste palestinesi, purché non si rivolgessero apertamente contro Israele. 

Paradossalmente, la Guerra dei Sei Giorni ha permesso agli arabi di Giudea, Samaria e Gaza di inventare l'idea di un "popolo palestinese" e svilupparla fino alle proporzioni raggiunte oggi; al punto che i suoi portavoce sono in grado di convincere la squadra di calcio argentina ad annullare il viaggio programmato a Gerusalemme per giocare una partita amichevole contro la squadra di Israele. 
Ma anche l’idea del "nazionalismo palestinese" si è frantumata, sin da quando il suo principale sostenitore - l'OLP - aveva firmato un trattato di pace con Israele nel settembre del 1993. Infatti lOLP collabora con le forze di sicurezza israeliane per combattere altre organizzazioni. 
Hamas ha distrutto l'idea nazionalista palestinese quando ha compiuto un colpo di stato a Gaza nel giugno 2007, confermando la caduta dell'idea nazionalista araba, già caduta nella Guerra dei Sei Giorni. 
Questa situazione blocca gli arabi su linee di frontiera che vanno da una ideologia moderna importata dall'Europa ( e distrutta nella Guerra dei Sei Giorni ) a un'altra anch’essa senza sbocco, nonostante il fatto che l'unica forma di governo che può funzionare nel mondo arabo è la forma tribale, alla base della cultura mediorientale della tribù e del deserto. 

Gli Emirati del Golfo sono l'unica storia di successo nella regione perché ognuno di loro è governato dalla tribù dominante. È tempo che il mondo arabo si svegli dalle sue illusioni e metta fine, con aiuti occidentali e russi, agli Stati artificiali e falliti, creati nella regione da potenze coloniali. Sulle rovine fisiche e ideologiche di questi Stati, potrebbero nascere Emirati prosperosi e di successo, governati dalle famiglie locali, come avviene nel Golfo.



Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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