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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Anche la Giordania sta per crollare? 15/04/2018

Anche la Giordania sta per crollare?
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/21986

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Quando verso la fine del 2010, era esplosa la "primavera araba" destabilizzando governi e ordine sociale nella maggior parte dei Paesi mediorientali, ci eravamo posti delle domande sul regno hascemita di Giordania e se e quando le maree che attraversano il mondo arabo avrebbero travolto le sue frontiere. Finora, il re Abdullah II è riuscito a fermare ai confini del Paese la devastante avanzata, anche se negli ultimi sette anni ci sono state occasionali manifestazioni di sostegno a Daesh, in particolare nella città meridionale di Ma’an, e nei campi di profughi siriani, su al Nord. La direzione dell'intelligence del regno, il Mukhabarat, è il braccio principale del regime per mantenere il controllo, ma ci sono forze esterne importanti - Stati Uniti, Europa, Israele - che non cessano mai di proteggere il regno da coloro che hanno minato le fondamenta della legge e dell'ordine su cui il mondo moderno basa la propria esistenza. Israele in particolare, considera il Regno hashemita giordano come una zona cuscinetto tra lo Stato ebraico e il caos generale che caratterizza i suoi vicini ad Est - Iraq e Siria - e la pace con la Giordania è considerata una risorsa strategica da preservare a tutti i costi, anche se Israele è costretto a pagare un costo elevato per rinunciare alla sovranità su parti di Gerusalemme. Ogni volta che nella sua capitale esplode la violenza arabo-islamica, Israele cede ai dettami giordani, concordati nel Trattato di pace del 1994, che concedono al Regno lo status di "Guardiano dei luoghi santi dell'Islam a Gerusalemme".

Nel cedere ai dettami giordani, Israele è guidato dalla convinzione - o dal timore - che se il re non rispetta i suoi doveri su questa questione, l’intera monarchia potrebbe perdere la sua legittimità e collassare. A questo punto, è importante ricordare la composizione etnica dei cittadini giordani (esclusi i rifugiati siriani e iracheni). Questi sono divisi grosso modo in due gruppi: i beduini, ed i palestinesi. I beduini costituiscono circa un quarto dei cittadini giordani, sono persone con un background culturale tipico delle tribù del deserto, mentre i palestinesi - che rappresentano gli altri tre quarti - sono divisibili in due gruppi: A) quelli che abitano nei villaggi ("falakhim") e nelle città ("mdanim") della "Piccola Mezzaluna Fertile", che si estende dalle valli vicino ad Amman, nel Nord della Giordania fino al confine siriano, e ad Est fino a Zarka; B) i rifugiati e gl’immigrati che dal 1948 in poi si erano trasferiti dalla riva occidentale del fiume Giordano alla sua riva orientale. Nel mondo arabo ci sono vaste differenze culturali tra i beduini che coltivano la terra e quelli che vivono in città e ogni gruppo guarda l'altro con disprezzo. Entrambi, tuttavia, considerano gli abitanti del deserto primitivi e di classe inferiore e ci sono pochissimi matrimoni tra i gruppi. Fin dalla fondazione degli "Emirati della Transgiordania" nel 1921, i suoi sovrani, Abdullah I, suo nipote Hussein ibn Talel e il figlio di Hussein, Abdullah II, si erano affidati ai beduini per formare i ranghi della sicurezza, dell'esercito e della pubblica amministrazione. Ai palestinesi, di regola, non fu mai dato un ruolo simile: a loro venne affidata l’attività commerciale, il settore che costituisce la base economica del regno. Loro non hanno mai dimenticato il "Settembre nero" del 1970 , quando re Hussein massacrò migliaia di palestinesi che, guidati da Yasser Arafat, avevano sfidato il suo potere. Per colmare la sfiducia causata dai ricordi amari di quel periodo, il re Abdullah II ha sposato una donna di origine palestinese, Rania Yassin. Questo matrimonio crea davvero un ponte tra i diversi settori della popolazione o serve a dimostrare il controllo del re – tramite i suoi collaboratori beduini – sui suoi sudditi palestinesi? Questa è una domanda la cui risposta resta negli occhi di chi osserva: gli stranieri lo vedono come un ponte, mentre molti palestinesi lo considerano un problema politico negativo e persino un tradimento da parte della regina, in cui vedono colei che collabora con chi li opprime.

L'uomo della strada
Negli ultimi anni, soprattutto da quando è iniziata la "primavera araba", è cresciuto il ruolo dell'uomo della strada arabo, con le masse che si rafforzano grazie alle parole che possono esprimere, alla presenza, all'influenza e al potere che hanno sui social media. Prima dell'avvento del web, i media erano nelle mani del governo e trasmettevano solo ciò che al sovrano andava bene e voleva pubblicizzare. Negli anni passati, ci sono state a volte proteste locali, specialmente nella città meridionale di Ma’an, i cui residenti non si sono uniti al regime e a volte hanno espresso sostegno all’ ISIS. Il governo ha gestito queste proteste dietro le quinte ed esse sono svanite nel nulla. Nei primi mesi del 2018, una nuova serie di dimostrazioni inedite iniziò con slogan che presentavano contenuti problematici per il re. Un dettaglio importante, da non trascurare, è che chi utilizzava quelle espressioni non nascondeva il proprio volto, non aveva perciò paura del re o del suo apparato di sicurezza. Sullo sfondo di queste proteste si staglia immediatamente il deterioramento economico in Giordania, derivante - tra le altre cose - dalla diminuzione del sostegno finanziario concesso da altri Paesi, principalmente dagli Stati del Golfo. La difficile situazione si riscontra nell’aumento dei prezzi per i prodotti di base, come il pane, le nuove tasse sul settore agricolo (palestinesi), sulle auto e la benzina importate, oltre a maggiori tasse sulle auto ibride che consumano meno carburante, prezzi più elevati per l'elettricità; è aumentata la disoccupazione dovuta all'afflusso di rifugiati siriani e iracheni - e vi è un generale sentimento di impotenza di fronte a quasi 2 milioni di rifugiati che inondano il Paese, distruggono la sua economia e il delicato tessuto sociale tra le sue componenti demografiche.

Molti temono che il regime corrotto ceda alle pressioni provenienti dall’esterno - Stati Uniti, Europa, Nazioni Unite e Fondo Monetario Internazionale – grazie alle tangenti che finiscono nelle tasche dei governanti. I membri del Parlamento, che dovrebbero rappresentare la cittadinanza e i suoi interessi, approvano il budget annuale e quindi sono percepiti come traditori, che collaborano con il governo e la famiglia reale. Alle recenti proteste a Dhiban, un villaggio a 72 km a Sud di Amman, alcuni degli slogan che si ascoltavano erano questi (le mie aggiunte tra parentesi, MK) :

" Perché continuiamo a menare il can per l’aia? La colpa è del re! Il regime è il responsabile!" "Tu che stai scrivendo il rapporto (gli informatori): dillo al grande capo - il piccolo capo ( diceva la folla in modo sprezzante): Cambiamento! Cambiamento! E’ necessario un cambiamento! Ci sarà! Abbiamo deciso e tu rappresentante di (parola improponibile ), otterrai l'inferno da noi " "Oh, Allah l'eroe! Vogliamo portare questo traditore ruffiano alla giustizia!" "O, gente di Dhiban, noi preferiamo la morte all'umiliazione ( da parte del regime)" "Libertà, libertà e all'inferno i ladri" "Per quanto riguarda Ziad (identità poco chiara) e Ali ( Ali al-Brizat , un avvocato di Dhiban, arrestato a febbraio di quest'anno per aver preso parte a una protesta contro l'aumento dei prezzi e delle tasse. Insieme con lui, altri attivisti di Karak, as-Salt e Hay al-Tafail, sono stati arrestati.) che vengano liberati, chiunque li abbia arrestati (il re) è un traditore, il loro carceriere (il re) ha la dipendenza dal gioco d'azzardo (un pettegolezzo sul re - nota che l'Islam proibisce il gioco d'azzardo) " " Il problema non sono i dinari (costi) ma la dipendenza dal gioco d'azzardo" "Tu giochi con i nostri soldi, tua moglie (la regina Rania) ci ha derubato." "Dove sta andando questa nazione? Dove sono i soldi della Giordania? Maledetti quelli che proteggono i corrotti!" "Grida con tutta la forza dei tuoi polmoni: la morte ti verrà da Dhiban!" "Da Dhiban ad Amman: ascolta questo, Presidente del Palazzo di Raadan (il re): perché criminalizzi i manifestanti e proteggi i traditori e i corrotti?" "Ascolta qui, Majdi Yassin (il fratello della regina), stai seguendo le orme di Khaled Shahin (arrestato per corruzione)" Il 12 marzo di quest'anno, in Giordania, dovevano esserci le " Parate della lealtà tribale" in onore del re, ma queste hanno attirato pochissimi partecipanti. Le grida di "La nostra paura è scomparsa, i corrotti devono andarsene", sono state ascoltate anche tra la più grande tribù della Giordania, quella dei Bani Hassan. Nella manifestazione tenutasi nella città di Madaba l'8 marzo di quest'anno, Ali al-Sanid (ex membro del parlamento giordano che ha fortemente criticato le politiche economiche del governo), ha gridato al re: "Vattene!" Questo è lo stesso grido ascoltato nelle manifestazioni egiziane anti-Mubarak, nelle proteste libiche contro Gheddafi e in Siria contro Bashar Assad, solo per citarne alcuni. "Abbiamo cancellato la piena fiducia dei nostri cuori, la tua immagine è distrutta, abbiamo espulso il tuo monumento da dentro di noi. Vattene, il gioco è finito, la tua santità immaginaria è distrutta, le vele della nave che hai acquistato per affogare i suoi passeggeri, quelli che si fidavano di te, sono distrutte; li hai trasformati in schiavi del tuo piacere e dei tuoi capricci, li hai portati senza pietà in una vita di sofferenze: fallisci ogni giorno e ogni canzone canta contro di te e quello che hai creato collassa ogni giorno". "Sei diventato lo zimbello del paese! Il pubblico ti querela in modo retroattivo per i tuoi crimini contro il popolo, unito in un’unica onda che fluisce contro di te, mentre viaggi attraverso una palude di vergogna. Vattene! Non puoi continuare a restare sui cadaveri che sono diventati i nostri sogni! Ci hai abbandonato sconfitti, preoccupati e persi, indigenti, viviamo in miseria, privati delle più elementari necessità umane, ci hai fatto odiare e detestare l'un l'altro. Vattene! Esci dalle nostre case e dalle nostre canzoni, non abbiamo paura! La Giordania è stata disseccata (dalla povertà)! Vattene! Hai rubato tutto e hai lasciato la nazione senza niente! " "Non hai mai mantenuto le tue promesse, hai rubato i nostri sogni, ucciso i nostri cuori per la tua felicità! Ci hai trasformato in un deposito di tristezza, vattene! La santità è distrutta, non sei più sacro! Ci hai oppresso e fatto soffrire. Le nostre anime, che bramavano la pace, sono state deluse; tu hai distrutto la cosa pubblica, sei la fonte dei problemi e del ladrocinio. Vattene! Il Paese è diventato povero, le difficoltà crescono, i ladri prosperano, la vita è lugubre e ne abbiamo abbastanza delle tue bugie." “La First Lady ruba i nostri beni giorno e notte (una folla plaudente fischia), tu sei bravo con i poveri quando sei davanti alle telecamere e in televisione, ma c'è una grande differenza tra chi ha dedicato la sua vita a compiacere la gente (un riferimento al padre di Abdullah, Hussein) e colui che ha causato sofferenze a milioni di persone per il proprio potere e denaro, costruendo il suo impero da sogno sulle spalle della gente. Parti! Questa è la ninna nanna che ti elogerà nel tuo cammino verso il fondo della storia (Lascia!) Questo è ciò che sarà detto, che la nostra gola urlerà domani, sarai sconfitto e fuggirai e là (in esilio) prenderai atto della sconfitta totale. Partirai e le nostre maledizioni ti perseguiteranno, gli opportunisti con cui ti circondasti ti abbandoneranno e morirai in esilio, con i ricordi del tuo potere, senza gloria eterna." " Finirai la tua vita alla ricerca di un momento di pace interiore. I prossimi giorni ti cancelleranno e sparirai come un brutto sogno. Il popolo giordano riuscirà a curare le sue ferite e ricomincerà una nuova vita con la cosa più importante di tutte: tu, fuori dai piedi. " https://www.youtube.com/watch?v=CipURHsI3Yc

Tuttavia, ci sono alcuni commenti da fare: Il primo è che i video che mostrano queste proteste sono diffusi principalmente da organismi di opposizione, desiderosi di sostituire il regime giordano. Ciò non significa che non siano autentici, ma che la loro diffusione debba essere inserita nel contesto politico di una lotta anti-regime delle forze di opposizione: sia quelle che sono in Giordania, come i Fratelli Musulmani, sia quelle che vivono in altri Paesi che hanno concesso loro asilo politico. La seconda osservazione è che il governo è ben consapevole di queste proteste e degli slogan che vengono ripetuti, e il re di proposito non interviene contro di loro, per permettere alla gente di sfogarsi. In questo modo ha solo da guadagnarci: agli occhi dell’Occidente e dei giordani lui passa per un sovrano liberale e moderno, nel rispetto del diritto alla libertà di opinione e di parola. Conosce bene il prezzo economico e politico che sarebbe costretto a pagare se desse l'immagine di un dittatore crudele e oppressivo nei confronti dell'opposizione, come fece il suo vicino del Nord e (all'inizio del nuovo millennio) amico e collega, Bashar Assad. Il terzo commento è che esiste una possibilità, almeno in teoria, che le dimostrazioni e gli slogan siano in realtà finanziati dal regime al fine di creare un'atmosfera di minaccia per la stabilità, che si tradurrebbe in un aumento degli aiuti - soprattutto finanziari - da parte di governi esteri , sia arabi che non arabi, che temono che un’alternativa al re sarebbe molto peggiore della situazione attuale. In Medio Oriente, a volte, le teorie del complotto sono la realtà. Qualunque sia la vera ragione di queste dimostrazioni, le forze di intelligence israeliane e quelle di altri Paesi, devono spendere uomini e risorse per seguire da vicino gli sviluppi in Giordania. Il mondo non deve lasciarsi sorprendere di nuovo, quando erutterà il prossimo vulcano arabo, questa volta in Giordania.



Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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