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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Il futuro dell’Iraq 11/06/2016
 Il futuro dell’Iraq
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

Falluja è l’immagine di tutto ciò che c’è di sbagliato nell’opinione dei Paesi occidentali sul Medio Oriente.
In questo momento, il governo iracheno è nel mezzo di una feroce offensiva volta a riconquistare la città di Falluja per strapparla dalle mani dell’ ISIS.
Questa campagna militare è stata meticolosamente pianificata per diversi mesi con l’aiuto di consulenti americani e iraniani, e di rappresentanti delle “Forze popolari”, un gruppo di milizie sciite le cui attività sono indistinguibili da quelle dell’ ISIS, perché anche loro, senza pietà, massacrano, bruciano ed eliminano i loro nemici, l’unica differenza è che i loro nemici sono sunniti anziché sciiti.


Diversi gruppi con obiettivi diametralmente opposti, stanno partecipando alla battaglia per Falluja, ma è chiaro che l’ostilità tra musulmani sunniti e sciiti è al centro degli eventi.
I residenti della città e i combattenti dell’ ISIS sono sunniti, mentre il governo, le milizie, le “Forze popolari” e gli iraniani che li tengono sotto tiro sono sciiti.
E’ paradossale che delle forze sciite che lottano contro l’ISIS sunnita sacrifichino realmente la loro vita pur di salvare dalle grinfie dell’ISIS i residenti sunniti della città, che considerano infedeli. Questo spiega il loro uso eccessivo di esplosivi, missili inclusi, sulla città e sui suoi abitanti. Agli sciiti non importa nulla della sorte dei civili, che considerano nemici alla stessa stregua dell’ISIS. Le forze governative e le milizie sciite hanno il sostegno delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane, che combattono sotto il comando di Kassem Suleimani, capo della Forza Quds, e della forza aerea della coalizione guidata dagli Stati Uniti.

Obiettivo dell’Iran è chiaramente l’eliminazione di qualsiasi presenza sunnita a Fallujah, che siano l’ISIS o i residenti della città. Ma quel che è peggio è la cooperazione tra i membri della coalizione occidentale e l’Iran, insieme stanno distruggendo una città in cui fino alla settimana scorsa, vivevano 45.000 civili iracheni.
I residenti di Falluja sanno esattamente cosa li attende e stanno ora fuggendo in massa. Molti sono morti annegati nel tentativo di attraversare il fiume Eufrate. Quelli che ce l’hanno fatta, vivono nel terrore delle forze governative e delle milizie sciite il cui obiettivo è stanare ogni sunnita per fargli pagare quel che i jihadisti dell’ISIS hanno fatto agli sciiti.
Il regime iracheno aveva intimato ai residenti di lasciare la città dato che Falluja sarebbe stata rasa al suolo: questo era l’unico modo con cui il governo avrebbe potuto sbarazzarsi dei jihadisti dell’ISIS nascosti in tunnel sotterranei e negli scantinati.

Purtroppo, il governo e le milizie sospettano che i jihadisti si uniranno ai cittadini in fuga, e questo sospetto ha trasformato i fuggitivi in possibili terroristi dell’ISIS. Le forze del regime e le milizie hanno finora arrestato più di 1.000 cittadini nelle cittadine vicine a Falluja, li hanno torturati, e, secondo le testimonianze, hanno decapitato i più giovani solo perché sospettati di essere combattenti dell’ISIS.
I residenti di Falluja sono convinti che lo scopo della guerra non sia quello di sradicare l’ISIS, ma quello di garantire che in città non rimanga un solo sunnita.
Hanno il presentimento che i proclami secondo cui la guerra è contro ISIS siano una foglia di fico che nasconde le vere intenzioni degli iraniani,delle milizie e del regime.

Anche il regime iracheno si comporta in modo ostile con i residenti della città. Diversi mesi fa aveva chiuso gli ingressi alla città, rifiutandosi di consentire alle forze saudite di raggiungere i residenti assediati, con la scusa che sarebbero potute cadere nelle mani dell’ISIS.
Le tribù sunnite sono disposte a combattere l’ISIS, ma sono fermamente contrarie al coinvolgimento della milizia sciita, a causa degli attacchi indiscriminati delle milizie nei confronti dei sunniti civili iracheni nella regione, mentre dovrebbero concentrare il fuoco sui jiadisti sunniti dell’ISIS.
Le tribù chiedono garanzie internazionali che lo Stato, gestito da sciiti, dopo che l’ISIS sarà distrutto, non li perseguiterà per il fatto di essere sunnite. Dopo tutto, per quanto sia temibile, l’ ISIS ora li protegge dal terrore sciita.

Ora si trovano ad affrontare il problema delle forze della coalizione internazionale guidate dagli Stati Uniti che sostengono il regime e quindi anche le milizie, forniscono loro copertura aerea e bombardano obiettivi dell’ISIS. E’ ovvio che le forze della coalizione internazionale stanno volutamente ignorando la pulizia etnica che le forze del governo stanno portando avanti contro i cittadini sunniti iracheni.
Qassam Suleimani, comandante della Forza Quds delle Guardie Rivoluzionarie supervisiona personalmente le battaglie a cui i suoi uomini prendono parte, ignorando la decisione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che vieta all’Iran di inviare armi e combattenti ovunque al di fuori dei propri confini.
L’Occidente, di solito così attento al rispetto del diritto internazionale, non ha alcun problema a ignorare la sfida dell’Iran nei confronti delle decisioni internazionali e di fatto lo sta aiutando a combattere i sunniti iracheni.
L’Iraq ha individuato un “passaggio sicuro” per consentire alla popolazione delle città di fuggire, ma la gente non si fida dell’esercito e ha paura che i passaggi li renderanno semplicemente facile preda per le milizie.

Decine di migliaia di uomini, donne e bambini hanno scelto di rimanere a Falluja sperando che i bombardamenti continui metteranno fine alle milizie – sempre che le milizie sciite o i bombardieri della coalizione internazionale non riescano a farlo prima. Alcuni avevano persino esposto delle bandiere bianche davanti alle loro case per evitare l’attacco delle milizie, ma fu un tentativo inutile, dato che sia i combattenti dell’ISIS, che ancora rifiutano di arrendersi al regime, sia le milizie sciite, li hanno attaccati ugualmente.
Purtroppo i combattenti dell’ISIS stanno anche impedendo la fuga a quei cittadini che lo vorrebbero, in modo da poterli usare come scudi umani, qualora diventasse necessario, proprio come Hezbollah aveva fatto nel Sud del Libano durante la Seconda Guerra del Libano (2006) e proprio come fa Hamas ogni volta che scoppia un conflitto armato tra Gaza e Israele.

Una atmosfera da guerra etnica circonda la battaglia di Falluja. L’analista politico siriano Bassem J'ara ha dichiarato che l’Iran è più pericoloso di Israele per i musulmani sunniti, affermando che gli iraniani progettano di annegare il mondo islamico in fiumi di sangue, al fine di ottenerne il controllo totale.
Altri analisti accusano il mondo islamico sunnita di mantenere un silenzio fragoroso di fronte alle stragi ed alla pulizia etnica che l’Iran ed i suoi scagnozzi stanno portando avanti a Falluja, il tutto con la benedizione dell’Occidente.

Falluja e il destino dei suoi cittadini porterà per sempre il segno di Caino sulla fronte dell’Iraq. Quello che sta accadendo nella città assediata è una prova ulteriore dell’inutilità di mantenere intatto il territorio nazionale iracheno, dato che si traduce in continui combattimenti e massacri tra i gruppi etnici che compongono la popolazione del Paese. E’ giunto il momento che il cosiddetto mondo “illuminato” capisca che in Medio Oriente le popolazioni rimangono fedeli al loro quadro tribale tradizionale, al loro gruppo etnico, religioso o confessionale, e che non scambiano questa lealtà con la fedeltà a uno Stato moderno artificiale, di recente formazione. E’ giunto il momento che il mondo si renda conto che non c’è nessuna nazione irachena, siriana, libica, sudanese, yemenita – ancor meno esiste una nazione palestinese – ma che ci sono solo tribù, sette, gruppi etnici, e religiosi.

Costretti a vivere insieme, si combattono l’un l’altro. L’unica soluzione per l’Iraq è quella che si può applicare a tutti le fallite entità nazionali del Medio Oriente, quindi la creazione di emirati omogenei che potranno vivere in armonia stabile e in pace tra di loro, cooperando con gli altri per il bene collettivo.
Sono passati 100 anni da quando furono firmati gli accordi Sykes-Picot, è giunto il momento di ammettere il loro fallimento. Al loro posto, cerchiamo l’unica soluzione che potrebbe funzionare in Medio Oriente: dare ad ogni gruppo etnico il proprio Emirato.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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