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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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La “drôle de guerre” in versione israeliana 05/04/2023
La “drôle de guerre” in versione israeliana
Analisi di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)


Hamas fa giustiziare 5 palestinesi: condanna Onu

La  “drôle de guerre” in Europa, se non era davvero strana era già davvero una guerra. In Israele abbiamo trovato un'altra espressione, “Mabam”, che significa “la guerra tra due guerre” per descrivere una strana situazione. È che il Paese non è formalmente in guerra con nessuno dei suoi vicini. Non con il Libano, dove sono ancora in vigore gli accordi di cessate il fuoco del 1949; non con la Siria, nemmeno con l'Autorità palestinese dai tempi degli Accordi di Oslo e ovviamente non con la Giordania né con l’Egitto, Paesi con i quali la pace è stata conclusa da decenni. L'esercito, infatti, non è mobilitato. Allora perché la vita è scandita da attentati? Nella Striscia di Gaza, Hamas, il movimento terroristico che ha cacciato i rappresentanti di Ramallah, fa della distruzione di Israele e della sua sostituzione con un califfato islamico la sua ragion d'essere. Manifesta la sua ostilità in due modi. Con lanci di razzi contro kibbutz e città, presentati sempre non come atti di guerra, ma come “rappresaglie” – su questo torneremo; e con attentati perpetrati da suoi militanti terroristi originari dei territori dell'Autorità Palestinese e commessi sia all'interno di detti territori che in Israele. Quanto alle rappresaglie, per giustificarle si può fare riferimento all'eliminazione dei suddetti militanti da parte delle forze di sicurezza del “nemico sionista” o ad un'azione percepita da Hamas come un attacco ad Al Aksa. In Libano, Hezbollah moltiplica dichiarazioni roboanti e minacce e si abbandona a delle provocazioni per mettere alla prova la determinazione di Israele.   Il movimento terrorista sciita è il vassallo dell'Iran, che afferma alla luce del sole la sua volontà di distruggere “l'entità sionista”. È a questo scopo che questo Paese finanzia Hezbollah e gli fornisce le armi destinate alla lotta contro il suo vicino. Armi che transitano attraverso la Siria. Gli ayatollah hanno lì una base operativa avanzata, delle caserme, degli  istruttori. Anche Hezbollah, che aveva inviato i suoi combattenti per aiutare Assad a rimanere al potere, ha lì una base e persino un piccolo aeroporto. Ciò che è ammirevole in questa costellazione di attori tutti uniti - non necessariamente per gli stessi motivi - nella volontà di cancellare dalla carta geografica un Paese membro dell'ONU, è che, qualunque siano le loro azioni, la colpa è sempre di Israele. I suoi aerei lanciano un raid su Gaza dopo un lancio di razzi? Gli si rimprovera una risposta sproporzionata: del resto, se i razzi hanno seminato il panico, fatto precipitare donne, bambini e anziani verso i rifugi in piena notte, “essi non hanno fatto né danni né vittime.”  Se degli attacchi attribuiti a Israele su siti appartenenti a Hezbollah o all'Iran in Siria, allora Israele viene accusato colpevole della “morte di civili innocenti” che si trovavano “per caso” in questi siti. E quanto alla quotidiana lotta al terrorismo palestinese incoraggiata dalle generose rendite concesse da Ramallah agli “eroi” e alle loro famiglie, essa si conclude con un appello delle grandi potenze che invitano “entrambe le parti” ad una maggiore moderazione.

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Michelle Mazel

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