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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Il moloch palestinese continua a divorare i propri figli 31/01/2023
Il moloch palestinese continua a divorare i propri figli
Analisi di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)


Israel-Palestinian conflict: Fears of wider flare-up after deadly Jenin  raid - BBC News

Lui ha tredici anni. Non è più un bambino, ma non è ancora un adolescente. Questa mattina di sabato 28 gennaio esce di casa prestissimo. Il sole splende già in un cielo senza nuvole, ma fa ancora fresco nonostante i venti gradi annunciati a Gerusalemme per la giornata. Cammina, stringendo la sua pistola in tasca. Un'arma che ha già imparato a usare. Pensa a quello che sta per realizzare, sogna la gloria che presto sarà la sua. Prima di uscire, ha postato un messaggio sulla sua pagina Facebook: “Allah, vittoria o martirio. Mamma, perdonami, sarai orgogliosa di me.”  Occorre precisare che ieri lui aveva visto svolgersi il dramma non lontano da lì, aveva sentito il nome di Kheiry Alkam, l'uomo morto da eroe, ucciso dai soldati dopo aver compiuto la sua missione, vendicare i nove martiri di Jenin. Lui aveva sentito le grida di gioia, l'esplosione di esultanza degli abitanti del suo quartiere scesi in piazza, i petardi, i fuochi d'artificio e le donne che distribuivano dolcetti ai passanti. Aveva visto il ritratto del nuovo shahid trasmesso su internet, gli elogi, le congratulazioni di Hamas, quelle delle fazioni palestinesi. E aveva preso la sua decisione. Anche lui si sarebbe sacrificato per la Palestina. Stasera, sarebbe stato il suo nome a essere sulla bocca di tutti. Poteva già vedere il suo ritratto sui muri. Sui muri, ma anche nella sua scuola, nella sua classe, l'ammirazione dei suoi compagni, gelosi della sua gloria. Si immaginava i vicini correre a congratularsi con suo padre, il sorriso pieno di orgoglio di sua madre. E poi, come era accaduto a un lontano parente, la bella somma che la sua famiglia avrebbe ricevuto dall'Autorità palestinese in segno di riconoscenza per il sacrificio che suo figlio aveva fatto per la causa. Non avrebbero più avuto preoccupazioni per i soldi. E tutto questo sarebbe merito suo.

È arrivato al suo obiettivo. Si è calato sulla fronte il cappuccio della giacca e, accovacciato dietro una macchina, aspetta, come l'eroe del giorno prima, l'uscita degli ebrei dal loro tempio. Vede due uomini venire verso di lui. Un padre e suo figlio. Prende la mira con cura. Soprattutto, non bisogna sbagliare. Spara un primo proiettile. Colpito al ventre, il padre crolla. Ormai anche il secondo proiettile è partito, colpendo il figlio in pieno petto. Lui vacilla, ma riesce a sua volta a sparare prima di crollare. Gravemente ferito, il bambino che voleva essere shahid è a terra. Portato d'urgenza in ospedale, lotta tra la vita e la morte. Sa almeno che non è riuscito a uccidere le sue vittime? Ma cosa importa? È iniziato il solito, terribile, tripudio. Ora i giovani della sua età non fanno che lodarlo, parlano già di imitarlo, di sacrificarsi a loro volta e di dare anche loro la vita per “liberare” la Palestina e scacciare l'Occupante.         

Il moloch palestinese può sogghignare nell'ombra. L'insegnamento dell'odio fin dalla più tenera infanzia e l'istigazione all'omicidio continueranno a offrirgli i sacrifici che esso esige.

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Michelle Mazel

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