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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Il trionfo del Qatar e l’accondiscendenza dell’Occidente 16/11/2022
Il trionfo del Qatar e l’accondiscendenza dell’Occidente
Analisi di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)


Qatar Calls New Terror List 'Disappointing Surprise'
Doha, capitale del Qatar

All’approssimarsi del tanto atteso fischio d’inizio di questo mondiale del mastodontico, la stampa araba non trova sufficienti superlativi per il successo del Qatar che nel 2010 si era aggiudicato il diritto di organizzare questa grande manifestazione nel 2022, una novità assoluta in Medio Oriente.  Una vittoria che le malelingue attribuiscono alla prodigalità offerta agli “influencer” da parte di questo piccolo Stato - un terzo della superficie del Belgio – che è il quinto Paese produttore di gas naturale e che dispone anche di vasti giacimenti di petrolio. Soprattutto perché per la prima volta la competizione non avrà luogo in estate, quando avrebbe fatto troppo caldo. I lavori faraonici necessari per far nascere dal deserto le installazioni olimpiche - stadi, alloggiamenti per i funzionari delle delegazioni, ma anche strade e infrastrutture alberghiere per accogliere le centinaia di migliaia di visitatori attesi – sono stati eseguiti in tempo per il fischio d’inizio della Coppa del Mondo di Calcio, che avrà luogo il 20 novembre. Naturalmente una tale impresa è stata accompagnata da danni collaterali ampiamente insabbiati. 

Così come durante il “COP27”- la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si concluderà il 18 novembre -  non è stato ancora affrontato il problema delle emissioni di CO2 dell’Emirato che nel 2014 erano dell’ordine di 45,4 tonnellate metriche per abitante, quando la media mondiale era di 5,0. Ciò è dovuto sia ad un consumo molto alto per abitante, sia ad una forte estrazione di idrocarburi, molto energivora. In realtà nel 2019 il Qatar ha avuto la peggiore impronta ecologica di tutti i Paesi presenti nella classifica del Global Footprint Network e l’intensa attività di trasporto aereo prevista per l’invio di squadre e di visitatori dovrebbe aggravare di molto ancora questa situazione. Inoltre, se ne è parlato molto in questi giorni, c’è lo spaventoso costo umano che ha reso possibile “l’impresa” del Qatar. Si stima che 6500 operai abbiano perduto la vita nei cantieri. Quanti altri sono stati feriti o sono rimasti invalidi? E’ vero che non si tratta di cittadini qatarioti ma di lavoratori immigrati privi di stato giuridico e di diritti. In realtà solo un po’ più del dieci per cento dei tre milioni che vivono nell’emirato delle sabbie ne sono cittadini, tutti gli altri costituiscono una mano d’opera a buon mercato spesso sfruttata, sistemata in condizioni indegne e sottomessa al beneplacito dei loro datori di lavoro. In sintesi, lo spettacolare successo delle autorità del Qatar e l’immagine paradisiaca presentata al mondo poggia su una sistematica violazione dei diritti umani in una società fondata sul più ferreo degli apartheid. Questi non sono fatti che il mondo in generale e l’Occidente in particolare, hanno scoperto solo dopo l’attribuzione al Qatar dell’organizzazione della Coppa del Mondo di Calcio. Quei fatti erano noti a tutti. La FIFA, l’Organismo che controlla questo sport, ne è perfettamente al corrente. Eppure ha appena proibito ai giocatori della squadra danese di indossare delle maglie su cui ci sarebbe scritto lo slogan “Human rights for all” – diritti umani per tutti.

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Michelle Mazel


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