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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Bisogna firmare o no l’accordo con il Libano? 24/10/2022
Bisogna firmare o no l’accordo con il Libano?
Commento di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)



Firmare o non firmare l'accordo sul confine marittimo e la delimitazione della zona economica esclusiva, un negoziato durato anni di faticoso lavoro e strappato all'ultimo momento nonostante gli ostacoli? Questa è la domanda che agita l'opinione pubblica in Libano e a Gerusalemme. Mentre esperti e avvocati si stanno sbranando sulla questione, s’immischiano i politici. In Libano alcuni si vantano: “gli israeliani hanno accolto tutte le nostre rivendicazioni” mentre altri si lamentano di fronte a questa porta semiaperta alla normalizzazione con il nemico.  In Israele i vertici militari ed i capi del Mossad e del Shin Bet, si congratulano per quello che considerano un successo che rafforza la sicurezza del Paese; tuttavia, in questo periodo elettorale, l'opposizione spara a zero sull'accordo che sta prendendo forma e che, secondo loro, si concretizzerebbe in un abbandono della sovranità su una parte delle acque territoriali nazionali e delle possibili risorse in esse contenute. Non ci sono relazioni diplomatiche tra il Paese dei Cedri e lo Stato ebraico, di cui il primo si rifiuta di riconoscere l'esistenza e con il quale si trova ancora in stato di belligeranza. Il “confine” de facto tra i due Paesi è quello delle linee dell'armistizio del 1949, che metteva fine alla Guerra di Indipendenza di Israele a cui il Libano aveva partecipato. Non c'è una disputa territoriale in senso stretto, il che non ha impedito una serie di scontri armati con il movimento terroristico Hezbollah, che controlla il Paese grazie all'assistenza dell'Iran, che gli fornisce finanziamenti, armamenti e che addestra i suoi militanti. I leader del movimento moltiplicano le minacce. Sembra sia solo una questione di tempo per il prossimo scontro. Tuttavia, la scoperta di vaste riserve di gas nel Mediterraneo, e più precisamente in prossimità delle coste libanesi e israeliane, ha creato una nuova situazione.  Israele sta già sfruttando il giacimento di Karish, che è interamente nella sua area, e il Libano vorrebbe esplorare il vicino giacimento di Cana, che fornirebbe all'economia libanese, ora in bancarotta, il reddito di cui ha disperatamente bisogno. Il problema è che questo giacimento sconfina nella zona israeliana. Le grandi società che investono miliardi nella prospezione e nell'estrazione di queste risorse, hanno bisogno di sapere a chi appartengono i giacimenti che a loro interessano e, più precisamente, se questa proprietà è oggetto di consenso tra i Paesi rivieraschi.  Ma come condurre dei negoziati su una disputa di confine tra due Paesi che non intrattengono relazioni? La soluzione ? Amos Hochstein, coordinatore degli Affari energetici internazionali presso il Dipartimento di Stato americano, ha fatto la spola tra Beirut e Gerusalemme. Il suo non è stato un compito facile. Hezbollah ha moltiplicato gli incidenti, arrivando persino a tentare un attacco alla piattaforma Karish che, se fosse riuscito, avrebbe portato alla ripresa delle ostilità. In definitiva, l'attuale accordo sancisce l'abbandono di 860 kmq della zona dove sarebbe situato il giacimento da parte di Israele, che riceverebbe in compenso una parte di eventuali profitti. Sembra ovvio che questo accordo allontani la prospettiva di una ripresa delle ostilità, durante le quali le infrastrutture offshore dei due Paesi sarebbero le prime ad essere colpite. Hezbollah, che ha dato il suo consenso, lo avrebbe fatto senza l'approvazione dell'Iran?  Soprattutto, è difficile non vedere che si tratta di un riconoscimento de facto di Israele da parte del suo vicino: il Presidente del Libano e il Primo Ministro israeliano apporranno le loro firme sull'accordo definitivo. Il gioco vale la candela? A ciascuno la sua risposta.

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Michelle Mazel

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