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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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‘Le vite degli arabi contano’, ma contano per gli arabi? 23/09/2021
‘Le vite degli arabi contano’, ma contano per gli arabi?
Analisi di Michelle Mazel

(traduzione di Yehudit Weisz)


Arab Lives Matter - Accueil | Facebook

Questo é il nuovo “hashtag” che sta accendendo i social media nella comunità araba israeliana: “#Le vite degli arabi contano”. Fa eco a quello di “#Black Lives Matter” che ha mobilitato centinaia di migliaia di afroamericani per protestare contro la violenza della polizia di cui la loro comunità è stata vittima. È vero che la situazione è grave. Dall’inizio del 2021, novantaquattro arabi israeliani, tra cui undici donne, hanno perso la vita. Strangolati, pugnalati più volte, uccisi a colpi d’arma da fuoco a distanza ravvicinata, colpiti a morte con mitragliatrici nella loro auto o deliberatamente investiti da un veicolo d’assalto, come è successo martedì 21 scorso. È arrivato il momento di fare qualcosa? Senza dubbio. Ma a chi è destinato questo slogan, precisamente?  A differenza di quanto accade negli Stati Uniti, in tutti questi casi specifici si è trattato di violenze intracomunitarie. Lungi dall'essere imputabili alla polizia, esse sono state perpetrate da arabi israeliani. Una realtà che i rappresentanti di questa comunità, dagli eletti nelle amministrazioni locali ai deputati arabi alla Knesset, si rifiutano di affrontare. È molto più facile incolpare il governo israeliano e la polizia! Nella maggior parte dei casi, quest’ultima non sarebbe in grado di arrestare i colpevoli perché non sono stati stanziati i fondi necessari. Secondo Ayman Odeh, leader della Lista degli Arabi Uniti che conta sei deputati, ne è la prova il fatto che i poliziotti sono riusciti ad acciuffare i sei detenuti evasi dal carcere di Gilboa, perché avevano dato alla loro cattura una priorità assoluta e dispiegato personale e mezzi senza precedenti. Un’argomentazione interessante , se ci dimenticassimo che non solo i fuggitivi non sono stati aiutati dagli arabi israeliani, ma che alcuni di questi ultimi non avrebbero esitato persino a denunciare la loro presenza alle autorità. Ciò non era mai successo nei casi come quelli sopra citati, dove nessuno è disposto a parlare con le forze dell'ordine, essendo più forte il timore di rappresaglie rispetto al desiderio di vedere che giustizia sia fatta. Per i rappresentanti della comunità, non avvezzi all'autocritica, è importante non sollevare la questione della responsabilità della società araba in una situazione di cui essa è sia mandante che vittima. Una società che pratica l'omertà e dove si perpetuano i cosiddetti “delitti d'onore”, l'omicidio da parte di un fratello o di un padre di ragazze o di giovani donne la cui condotta “disonorerebbe” la famiglia, mentre la madre copre il delitto con il suo silenzio. Una società in cui questo stesso onore richiederebbe ancora oggi di perpetuare una faida la cui origine si perde nella notte dei tempi. Al silenzio assordante dei rappresentanti arabi eletti riecheggia quello delle élite, mentre gli insegnanti esitano a lanciarsi su un terreno che li esporrebbe alla pubblica riprovazione degli elementi tradizionalisti. Vorremmo credere che questo grido di allarme che “le vite degli arabi contano” venga ascoltato e che finalmente possa portare ad una vera presa di coscienza. Tuttavia, ci sono tutte le ragioni per credere che sarà rapidamente snaturata dai detrattori di Israele.

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Michelle Mazel
scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".


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