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Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 24/09/2022, a pag.15, la cronaca di Rosalba Castelletti dal titolo "Putin sempre più solo il suo 'viceré' gli dice no. Silenzio ostile dal premier".
Su un palco allestito in piazza del Maneggio, alle spalle del Cremlino, ieri si sono alternati i leader di diversi partiti politici per salutare l’avvio dei “referendum” sull’annessione alla Russia di quattro regioni ucraine. «È l’inizio di una nuova storia comune », «Un momento storico», hanno scandito mentre la folla — stipendiata, stando a diverse inchieste — riunitasi attorno alla statua del maresciallo Georgij Zhukov, uno dei grandi generali sovietici durante la Seconda Guerra Mondiale, sventolava bandiere con la “Z” o i nastri nero-arancioni di San Giorgio o cartelloni con lo slogan patriottico «Non abbandoneremo i nostri». Ma, a dispetto della manifestazione organizzata, non tutti gli uomini del presidente sarebbero d’accordo con il voto orchestrato in fretta e furia. Il primo ad avereespresso la sua contrarietà, stando a fughe di notizie dal Cremlino, sarebbe niente di meno che Serghej Kirienko, soprannominato “il viceré del Donbass”, il primo vice capo dell’amministrazione presidenziale incaricato di curare i rapporti con leRepubbliche separatiste nell’Est Ucraina e con tutti i territori ucraini “liberati” dalla Russia. Altri esprimerebbero il loro dissenso verso la cosiddetta “operazione militare speciale” in Ucraina in maniera più velata. Il primo ministro Mikhail Mishustin con il silenzio, mentre il sindaco di Mosca, Serghej Sobjanin, facendo rimuovere dalla capitale le “Z” a sostegno dell’offensiva. «Vladimir Putin è in una situazione catastrofica non solo sul fronte ucraino, ma anche su quello interno. Per la prima volta in vent’anni, trapelano informazioni sull’amministrazione presidenziale a un ritmo allarmante e nelle fughe di notizie Putin viene dipinto come insensato e inappropriato», ha scritto suNovaja Gazeta Europe Julija Latynina, l’ex commentatrice di Eco di MoscaeNovaja Gazeta con ottime fonti. Proclamando la mobilitazione “parziale”, Putin ha scontentato quello che l’analista Aleksandr Baunov ha battezzato “partito delle operazioni speciali” che credeva che soltanto i soldati professionisti dovessero essere coinvolti e che il conflitto dovesse restare ai margini della quotidianità. Anche se, secondo Latynina, ancora più pericolosi per Putin sarebbero proprio i falchi del cosiddetto “partito della guerra” che chiedevano la mobilitazione, come il leader ceceno Ramzan Kadyrov che ora invita i governatori ad armarsi e il cosiddetto “chef del presidente” Evgenij Prigozhin che recluta prigionieri nel suo gruppo di mercenari Wagner. «In un modo o nell’altro, in Russia, come in Cina durante la rivolta dei Taiping, il processo di creazione di eserciti privati è iniziato irreversibilmente», avverte Latynina.E quando, come prevedono diversi analisti militari, si capirà che la mobilitazione “parziale” non ha cambiato le sorti sul campo di battaglia in Ucraina, i Kadyrov e i Prigozhin saranno i primi a ribellarsi. Il fatto è che, dal 24 febbraio a oggi, «quasi nulla è andato secondo i piani e ci sono seri dubbi sul fatto che Putin avrà risorse sufficienti per stabilire il controllo fisico sul “nuovo territorio russo”, per non parlare del resto», osserva l’analista Tatiana Stanovaja, a capo del think tank R. Politik. Ma con la mobilitazione “parziale” Putin ha anche rotto il contratto sociale con i suoi cittadini: far tornare la Russia a essere “grande” senza interferire nelle loro vite. E non basta che le autorità continuino a parlare ipocritamente di “operazione militare speciale”. Con le chiamate al fronte, la realtà del conflitto adesso irrompe nelle famiglie russe. Non si può più nascondere. «La società lentamente si indignerà (non aspettatevi proteste di massa, ma ondate di indignazione)», prevede Stanovaja. «Il regime aumenterà la repressione. Questa è l’erosione del potere di Putin nella sua forma più pura».
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